Io ho sentito dir parecchie volte,
Che più fatica è tacer, che parlare; Quantunque a le ignoranti genti stolte Strana proposta questa forse pare. Nè sia chi innanzi mi ponga le molte Orazioni, ed altre opre egregie e rare Di Tullio e di Demostene e di tanti Autor dotti eloquenti ed eleganti;
Nè chi m'alleghi un valente avvocato,
Un che esprimer ben sappia i suoi concetti, Che senza ch' alcun sia del suo fraudato, De la laude cioè de' suoi be' detti.
Dirò, che quando egli hanno anche ciarlato Meglio era lor tenere i labbri stretti: Che lasciando la briglia a l'eloquenzia Fatto an de' loro error la penitenzia.
Omero, il quale è il re de gli scrittori, Dice che le parole an tutte l'ale; E però, quando alcuna uscita è fuori Per trarla in dietro il fil tirar non vale. Dal cicalar son nati molti errori, Molti scandali usciti, e molto male: Pochi si son del silenzio pentiti; Da l'aver troppo parlato, infiniti .
Diciamo adunque che non è men bello Il saper ben tacer, che 'l parlar bene; E ch'esser mostra poco savio quello Che i suoi segreti in se stesso non tiene; Ma colui privo al tutto di cervello E debil molto, e tenero di schiene, Ch'ad una donna, sia chi vuol, gli dica; Perch' a tener le duran gran fatica.
Perdonatemi, donne, in questo caso; Parlo del tener vostro solamente : Avete troppi buchi al vostro vaso, E siete ragionevol' bestialmente. Però quel Greco al quale era rimaso Questo consiglio, a far colui prudente Che la casta mogliera aspetta e prega, Il conferir con lei gli vieta e niega,
Dicendo che imparar debbia da lui, Il qual la donna sua fece morire Per conferir con essa i pensier sui. Potriasi questo ad Orlando anche dire, Che dato fu ne le man di colui; Anzi apposta si fe' quasi tradire Da quella trista a la qual pazzamente Conferi i suoi segreti e la sua mente
- l'allegrezza va quasi saltando; gli avere il figliuol che tenea spento. pur anche fra se cheto pensando a forza del Conte e l'ardimento, mprende bene, e conoscer gli pare, e prima che lo pigli, arà da fare.
donzella fece dar Grifone.
si fra lei e 'l re l'accordo stava a egli uscir non volse di prigione, seco anche Aquilante non si cava. sì fu tratto con tal condizione ne s'egli e suo fratel non se n'andava n quella donna senza star punto ivi, nuovo fusser prigioni e cattivi.
e partirno, ch' era notte scura: etto altrove vi fia del lor viaggio. re d'aver Orlando in man proccura, enza a lui far, nè egli avere oltraggio. erchè del suo valore avea paura, ece ordinare un certo beveraggio he in tal maniera gli spiriti addormenta, he come morto l'uom nulla par senta.
A' cavalier che non avean sospetto, Mischiato a ber nel vin fu dato a cena; E poi la notte fur presi nel letto, Menati via, che lo sentirno appena ; Perch' ogni senso quel vin maladetto Avea legato lor con tal catena,
Che per piedi e per man furno menati, Nè sin al nuovo giorno mai svegliati.
Quando s'avvider dipoi la mattina Esser legati in un fondo di torre, Ben giudicar' la donzella assassina Avervegli per merto fatti porre. A Dio, ed a la Madre sua regina Con preghi e voti il Senator ricorre, E chiama tutt'i santi ch'egli adora Quanti n'ha il cielo, e poi de gli altri ancora.
Era quel Brandimarte Saracino
Ma d'ogni legge mal istrutto e grosso: Perocch' avvezzo fu da piccolino
A cavalcare, e portar l'arme indosso : E adesso sentendo il paladino
Ch' era con l'orazione a'santi addosso, E borbottava, e davasi nel petto; Gli domandava quel che avesse detto.
E benchè Orlando fusse mal contento Pur per salvar quell' anima perduta, Prima gli disse il vecchio Testamento, E poi per qual cagione Iddio lo muta; E de la morte e del suo nascimento: E tanto l'eloquenzia il Conte ajuta, Che convertì Brandimarte a la fede, E come lui dirittamente crede.
Bench' ivi non si possa battezzare, Ha però la credenza ferma e buona ; E poich' alquanto fu stato a pensare, Volto ad Orlando, così gli ragiona: Tu m'hai voluto l'anima salvare; Ed io vorrei salvarti la persona, Se mille volte dovessi morire. Or se ti piace, il modo puoi sentire.
Tu dei comprender ben, come fo io, Che per te solo è fatta questa presa, Che. de' Pagan fai sì mal lavorio, E di Cristianità se' la difesa.
S'io pigl' il nome tuo, tu pigl' il mio Non avendo altri questa cosa intesa, Nè sendo alcun di noi qui conosciuto, Tu sarai liberato, io ritenuto.
lo dirò sempremai che sono Orlando; Tu d'esser Brandimarte abbi a la mente. Guarda che non errassi ragionando; Che dei pensar che faremmo niente. Se fuor tu esci, io mi ti raccomando, Non mi lasciar ne la prigion dolente; E se pur muojo nel luogo ove sono, Fa orazion per me tu che se' buono.
Quasi piagnendo il cavalier umano, In questa voce il suo parlar finia. Allor rispose il senator Romano: Non piaccia a Dio che questa cosa sia. Speranza debbe aver chi è Cristiano In Dio, ch'ajuto e soccorso gli dia. Forse egli ancor ci caverà di guai; lo senza te non uscirò già mai. Orl. Innam. Vol. III.
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