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I cavalier ch'avean voglia di gire
Quanto più tosto al lor dritto viaggio,
La ringraziar' del cortese offerire
Cortesemente anch'essi in lor linguaggio.
Disse lor la donzella nel partire:
Da l'altro lato si paga il passaggio;
Nè si può mai di quivi uscir, se prima
A quella Rocca non salite in cima;

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Perchè quest'acqua che qua giù discende,
Vien di due fonti da quel poggio al piano,
Nel qual, come vedete, si distende,
E va d'intorno un gran pezzo lontano:
Nè può uscir chi prima non ascende
A far conto là su col castellano,
Ove bisogna aver ardita fronte.

Ecco ch'egli esce appunto fuor del ponte.

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Così dicendo mostra lor col dito

Una gran gente che del ponte usciva.
Già non s'è alcun de' nostri sbigottito,
E già in sul pian la gente armata arriva.
Rinaldo innanzi va, ch' era il più ardito:
La lieta compagnia dietro veniva:

A l'ordin con gli scudi e con le spade,
Voglion veder dove la cosa cade.

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Fra quella gente veniva un vecchione,
E si vedeva a tutti gli altri avante,
Senz' arme sopr' un grosso cavallone
Che sarebbe bastato ad un gigante
Disse costui a lor: gentil persone,
Questa è la terra del re Monodante,
Ne la qual siete; e non potete uscire,
Se per un di nol venite à servire.

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Ed è il servigio di questa maniera
Che intenderete, s'ascoltar mi state
Dove mette nel mar questa riviera,
Due torri sopr' un ponte son murate.
Quivi dimora un uomo, anzi una fiera,
Per cui son genti assai mal capitate:
Chiamasi Balisardo, ed è gigante
Stregone incantatore e negromante.

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Monodante il vorrebbe ne le mani,

Perch' al suo regno ha fatto molto danno;
E vuol che tutti i cavalieri strani
Che da colei là giù passar si fanno,
Non escan mai, se d'esser capitani
Suoi contra quel la fede non gli danno.
Onde anche à voi bisogna là giù ire,
O in questo prato di fame morire.

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Disse Rinaldo: s'io fussi cavallo,
Verrei a posta a farmi ritenere
In questo prato sol per pascolallo;
Che c'è un' erba fresca ch'è un piacere.
Tu hai me per adesso tolto in fallo;
Ma fammi pur quel gigante vedere ;
Ch'io vo cercando questi avviamenti,
E questo appunto è pasto da' miei denti.

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Il castellan non fece altra risposta:

Chiamò colei che di bianco è vestita,
E disse fa ch' or or tu abbi posta
Di sotto al ponte questa gente ardita.
Ella di fatto a la ripa s'accosta,
E sorridendo i cavalieri invita
A saltar ne la nave piccolina:
E così ferno; ed ella giù cammina .

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Giù per quell'acqua la vaga barchetta
Fu dal fiume a seconda via portata:
Di qua di là girando l'isoletta,
Ultimamente al mar s'è pur piegata
Là dove è 'l ponte, e 'l gigante ch'aspetta
Che passi in giù e 'n su de la brigata,
Per alloggiarla a la mala osteria.
Veduto l'ha la nostra compagnia.

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Proprio a mezzo quel ponte un torrione
Par quel can traditor di ch'io ragiono:
Barbuto orrendo a guisa di stregone,
La voce ha di bombarda, anzi di tuono.
Dirovvi appresso la sua condizione:
Venuto al fin del Canto adesso io sono ;
E sento i nervi stanchi e rallentati.
Strane cose ad udir siate invitati.

ORLANDO INNAMORATO

CANTO TRENTESIMONONO.

I

Di

giardino in giardin, di ponte in ponte, Di lago in lago, e d'un in altro affanno Ora è condotto il Principe ora il Conte; E come voi vedete, allegri vanno . Non so se forse avessimo si pronte Le voglie e l'opre noi, si come essi anno; Noi che nel grado nostro abbiam da fare Non men di lor, se vi vogliam pensare.

2

Essi avevan centauri e dragoni,

Asini armati e simili altri mostri,
Che si doman con l'arme e con bastoni,
Purchè le mani e'l viso lor si mostri:
Noi abbiamo ire invidie ambizioni.
Questi sono i giardini e i ponti nostri,
Le fiere ch'anno l'artiglio si crudo,
Che contra lor non vale elmo nè scudo;

93

3

Ma vi vale umiltà piacevolezza,

Modestia e conoscenza di noi stessi.
Questa fra l'altre è quell'arme che sprezza
Punte fendenti e colpi duri e spessi.
Ma che tante parole? a dir la sezza,
Acciocchè tutto di non vi tenessi,
La vera e natural difesa fora

Virtù, ch'oggi fra noi più non dimora.

4

E però sono i miseri mortali

Parte uccisi in battaglia e parte presi,
Parte mangiati da questi animali.
Non aspettan le due, che sono arresi.
Ma torniamo a color che non son tali :
Vanno di volontà, d'ardore accesi
A trovar quel gigante ch'io v'ho detto,
Come s'a luogo andasser da diletto.

5

Com' io diceva nel Canto passato,
Co' tre compagni il principe Rinaldo
A la foce del fiume fu portato,
Ove sul ponte aspetta quel ribaldo.
Stava in sul mezzo appunto in piè piantato,
A guisa d'una torre fermo e saldo;
E si piacevol voce fuor mandava,
Che 'I fiume e la marina ne tremava.

6

Come l'ebber da presso più veduto,
Ognun d'andargli addosso ha più disio
E già s'anno l'un l'altro prevenuto,
Dicendo tutti: il primo ho ad esser io.
Sopra l'arco del ponte era venuto
Quel maladetto spregiator di Dio
Per intender chi fusse questa gente
Ch' a seconda venia per la corrente.

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