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Iacobus Cardinalis Presiensis (1)
Vespasiano suo salutem.

Carissime frater et caetera. El Phedone di Platone che mi prestasti l'ò già tutto scripto e ricorretto, e mancami da scrivere. Il perchè, pigliando in voi la sicurtà usata vi priego carissimamente che adoperiate di farmi avere, se possibile è, il Gorgia, o veramente l'epistole sue, o almanco el Thimeo, s'è traslatato cioè per messer Leonardo. Sarete cagione ch'io non perda tempo, però che qua su mi dilecta non meno lo scrivere ch'el leggere, e parmi avere d'avanzo ogni cosa ch'io ci fo. E quanto più presto mel manderete tanto ve ne sarò più obligato. E datelo per meno vostra fatica ad Andrea pettinatore, che sta in una casetta di Piero Acciaioli, e che forse vi darà questa lettera, perchè spesso ci viene a vedere: è giovane da fidargli ogni cosa. Pregovi m'avvisiate se costà è alcuna cosa di nuovo: e quel che è seguito dello studio, perocchè tutto mi sarà acceptissimo. Manderevi de' beccafichi, se ce ne fussono; ma in questo anno se n'è veduti pochissimi, e maxime qua su fra queste montagnuole dove el vento può assai: arete per tanto patientia come noi. Le profferte del venire a vederci son facte già più volte; el mettere ad executione sta ora a voi. Salutate per mia parte Iacopo de' Rossi e Domenico di Carlo, et in primis il mio ser Pellegrino. Et a Goro da Legnaia mi raccomandate quanto potete. Nè altro per questa. Dominus tecum. Ex monte Ghufone, v. idus Septembris.

(1) Forse deve leggersi Pesciensis; poichè Jacopo Ammanati detto Piccolomini nacque a Villa-Basilica (alias Pescia) l'8 marzo 1422, fu Vescovo di Pavia (1460) Cardinale di S. Crisogono (1461) Arcivescovo di Lucca (1477) e Vescovo di Frascati. Mori a Roma il 10 settembre 1479.

Vol. 3.o

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M. Giannozzo Manetti a Vespasiano salute.

Egli è più di ch' io ricevetti una tua, alla quale non ho potuto fare risposta per molte e varie occupazioni publiche di questa nostra benedetta città, le quali quanto più fuggo tanto più a gara mi corrono dietro. Et io vorrei pure in queste cose gratificare a Dio, al quale io sono certo che le piacciono grandemente, e satisfare a me medesimo, e al debito che mi pare avere verso la patria, poichè la m'ingenerò, che Iddio gliel perdoni, ch'ella m' à dato e dà e darà sempre briga; e io ho fatto, fo e farò durante la vita il contrario a lei sine intermissione, benchè mi paja essere certo ch' io non abbi avere nè altro grado nè altro merito che l'usato. Pure nientedimeno io spero e confidomi nell'eterno giudice, qui non mentitur; et retribuet unicuique secundum opera sua, et qui scrutatur corda et renes Deus. E per questa cagione io vi metto tempo assai, per non lasciare alcuna cosa adietro che s' appartenga o alla dignità di qualunque magistrato io abbia, o a qualunque commissione mi sia fatta. E quando io mi trovavo degli Otto al tempo degli altri priori ne fe' parecchie pruove; però che in verità in quel tempo l'ufficio nostro governava il tutto: e poi, al tempo de' presenti, ho avuto ancora, circa all' ordinazione s'è presa de' fatti del comune, pur delle brighe e noje assai. E pertanto ti priego m'ammetta la scusa del non t'avere prima risposto. Tu prendi scusa del non m'avere scritto prima, la quale in verità è molto gentile et è dirittamente oratoria: e benchè tu sia dotato di buono ingegno, più che non si richiede all'arte e alla professione tua, credo nientedimeno che tu l'abbi presa piuttosto dall' artificio che dalla natura che mi piace assai, perchè intendo che a un

tratto tu faccia un viaggio e parecchi servigi: perchè fuggi la moría consolandoti cogli amici, e 'mpari le cose gentili da cotesti garzoni, che in verità sono una coppia, la quale, è, come dice el poeta: Rara avis in terris nigroque simillima cigno. Preterea tu impari quell'arte che fa i suoi professori avanzare gli altri uomini hoc enim, ut inquit Cicero, praestamus vel maxime feris quod loquimor inter nos, et quod exprimere dicendo sensa possumus. Et alibi verba hec ponit: « Ac mihi quidem videntur homines cum multis rebus humiliores et infirmiores sint, hac re maxime bestiis praestare, quod loqui possint. Quare praeclarum mihi quiddam videtur adeptus qui, qua re bestiis homines praestent, ea in re hominibus ipsis antecellat ».

Si che io mi rallegro teco di tutte queste tue commodità, e prego Idio che te le conservi, accresca e dietene lunga consolazione; e ti conforto a seguitare nel buono e laudabile proposito. Tu di' non m' avere scritto, benchè n' avessi e voglia e desiderio, solamente perchè quando tu consideravi d' avere a scrivere a me, el quale tu reputi si dotto e si valente, che tu dubitavi non ti fusse imputato a presunzione lo scrivermi: et eziandio avevi sospetto di non satisfarmi nello scrivermi.

A che ti rispondo che, bench' io cognosca che questo sia un gentile colore retorico, nientedimeno, quando e' fusse come scrivi, tu sai bene che noi siamo amici, e che la buona amicizia, quale io credo che sia la nostra, non può essere nisi inter pares. Si che, quantunque per avventura io mi trovassi avere qualche prelazione più di te in genere eruditionis et doctrinae, per rispetto nientedimeno della nostra amicizia, tra noi cape ogni cosa. E se pur avessi quella opinione di me che tu scrivi, che potrebbe essere più tosto per la grande e singulare af

fezione che tu m'ài portato e porti che per altro rispetto, te ne ringrazio e rimangotene assai obligato, facis enim amice. E basti quanto a questa parte. All'altra dove tu mi richiedi ch' io t'avvisi chi fu prima o Moise o Omero, ti rispondo che, benchè e della patria e de' tempi appunto della natività d'Omero si dicano varie e diverse opinioni degli scritti greci e latini, nientedimeno egli è certo, supputata temporum ratione, qua quidem, ut inquit Hyeronimus, cronica historia continetur, che Moise fu assai prima che Omero, secondo qualunque opinione s' avesse de' tempi della sua natività. È nota la ragione chiara che si trae d'Eusebio de temporibus, il quale il trae del libro del Genesi. Moise nasce dopo la creazione del mondo anni circa 3600: a cuius quidem nativitate usque ad captivitatem Trojae sono circa d'anni 410: però che la captività di Troja fu nel quatro mila dieci a creatione mundi; e Omero nella sua Iliade scrive de bello Trojano, de obsidione urbis et de eius captivitate. Si che convenne che necessariamente e' fusse poi quando come poeta simile allo istorico, chè in quel poema egli è mezzo istorico, describit bellica Grecorum et Trojanorum gesta. Necessario di saper è adunche che Moise fusse innanzi a Omero: e per questa cagione mi pare avere satisfatto alla tua richiesta. Ma, se tu disiderassi quanto tempo la natività di Moise precedesse quella d' Omero, ti dico che questo è più difficile, per le varie e diverse opinioni che n'anno gli scrittori, che forse non sono in minore numero che quegli che scrivono della patria sua. Però che, non solo quegli de' quali fa menzione Tullio nella orazione pro Archia poeta, ma eziandio sette città contendono della patria d'Omero. E Tullio non fa menzione se non di quattro his verbis: Homerum Colofoni civem esse dicunt suum; Chii suum vindicant; Salaminii

repetunt; Smirnei vero suum esse confirmant: permulti alii preterea pugnant inter se atque contendunt. E appresso a' Greci si truova la varietà di sette città come io ho detto. Il Boccaccio nelle sue Genealogie ne fa espressa menzione, e contale in questi due versiculi, tratti di non so che poeta greco: Samos, Smirne, Chios, Colofon, Tilos, Argos et Athene de Homeri patria contendunt. E perchè tu possa considerare quale è maggiore o minore varietà degli scrittori, o della patria o della natività sua, ti porrò innanzi le parole che scrive Eusebio « in libro de temporibus, cuius hec verba sunt »: « Quodam commemini codicis loco Pyrrus delphis in templo Apollinis ab Horeste occiditur proditione sacerdotis Macarei, quo tempore quidam Homerum fuisse dicunt ». E poco più giù anni circa di 50 scrive in questa forma: « Anno mundi octuagesimo millesimo quarto, che nel 4080, Homerus, secundum quorundam opinionem, his fuisse temporibus vindicatur. Quanta vero de eo apud veteres dissonantia fuerit manifestum esse poterit ex sequentibus. Quidam eum ante descensum Heraclidarum ponunt: Aristoteles post centesimum annum trojanae captivitatis: Aristarcus ionica emigratione, sive post annos centum: Phiheorus emigrationis ionicae tempore sub Arseippi Atheniensium magistratu; et post captam Troiam anni centum octuaginta: Apollodorus Atheniensis post ducentesimum quadragesimum annum eversionis Ilii. Extiterunt alii qui modico tempore antequam Olimpiades inciperent quadringentesimo circiler trojanae captivitatis anno eum fuisse putent. Licet Archilocus vigesima tertia Olimpiade et quintum trojanae eversionis annum supputet. Haec Eusebius. Ex quibus palam et aperte Moisem longe Homericae nativitatis tempora percessisse, et non minorem forte

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