E se 'l bel, che appar fuor, vincea 'l mio ingegno; Pur n' ombreggiava or' una, or altra parte, Mercè d' Amor, che mi porgea il colore. Dell' interne bellezze, mancò l'arte: BERNARDO TASSO. 1493–1569. SONETTI. Poichè gli amari, e rapidi torrenti Del pianto, e l' aura calda de' sospiri, E gli altri testimon de' miei martiri Impetrar tregua unquanco, onde respiri D'impennar l’ali a mei fieri desiri? Nè mai serbasti la promessa fede, Avezza ad ingannar per lunga usanza : Altri non averà tanta possanza, Così breve è 'l piacere, e sì fugace, Così lungo il dolore, e sì mortale, Donna, al mio cor, che si consuma, e tace; Scarchi da questo peso umano, e frale, ANTOLOGIA. Forse, ch' accorta poi de' vostri danni, Tardi, direte, o mio fedele amico, Chi da me ti scompagna, e mi ti toglie? Mort' avrà spente, e gli amorosi inganni: ODE. A Vittoria Colonna. Nasconde il bel sereno, Percuote l'alte, ed arenose sponde; Di fredde nevi, e bianche Vagheggia il sol col crin verde e frondoso. Il lor travaglio) fanno Ne porta il di più dell'usato adorno. Qual nel primo piangete; Chiamate or con la voce, or con l' inchiostro. Ne perchè Hespero liete Accenda in ciel le stelle, Sente le meste vostre alte parole. Sempre il caro Fetonte; Pianse il figlio ad ogn' or Tetide invano. Omai chiudendo il varco Com' ei l' umano incarco Sprezzando, di valore Ruppe al gran re de' Franchi il fero ciglio: Onde d' eterno onore S’ ornò l' altera chioma Mentre avran erbe i prati, e fronde i faggi. Ritogliete la mente All' empia doglia acerba; Del gran Davalo vostro eterna istoria. Peso così onorato: LUIGI ALAMANNI. 1495—1556. SONETTI. L’almo terren dove infelice nacqui, Il mio fiorito albergo, il mio bel nido, Occhi, per ch' io giammai non taccio, o tacqui: Lascio a me lunge: ahi come sempre spiacqui A te Fortuna ria, che 'n ogni lido, Altrui contrario, a me gravoso giacqui. Già per pruova saper com' oggi il mondo È nudo di virtù, ch' ogni uomo sprezza: Sovr' ogni altro si fa lieto e giocondo Quanta invidia ti porto, amica Sena, Vedendo ir l' onde tue tranquille, e liete A? fiori, e l' erbe, ond' ogni riva è piena. Circundi, e bagni e ’n lei concordi, e quete Utile e dolce, ad altrui danno e pena. Per alcun tempo mai tanta ira accolta, Quant or sopra di lui sì larga cade?) Piange suggetto, e sol; poi che gli è tolta Lieta, vaga, amorosa, alma Durenza, Ch' al tuo Signor per queste apriche valli Ch' assai men bello appar quand' egli è senza; Il mio Tosco gentil, di cui Fiorenza Devria di lauro, e fior vermigli, e gialli Sì come egli orna lei di sua presenza; Ch' al nido antico suo ritorno faccia, Nè più tenga di se vedovo il cielo: Tal, che s' avvien, che queste grazie neghi, Io pur, la Dio mercè, rivolgo il passo Dopo il sest' anno, a rivederti almeno, Dal barbarico stuol m'è tolto (ahi lasso!) Sospiro e 'nchino il mio natio terreno, i Alamanni mandato in esilio dalla sua patria Firenze elesse per sua stanza Parigi. GIOVANNI GUIDICCIONI. – GALEAZZO DI TARSIA. 117 . Poi ritorno a calcar l' Alpi nevose, E 'l buon Gallo sentier; ch' io trovo amico Più de' figli d' altrui, che tu de' tuoi. Ivi al soggiorno solitario, antico Mi starò sempre in quelle valli ombrose, GIOVANNI GUIDICCIONI. 1500—1541. Sei già tanti anni, omai sorgi e respira, Italia mia, non men serva che stolta. Per tuo non sano oprar, cerca e sospira; Da quel torto sentier dove sei volta. Vedrai che quei, che i tuoi trionfi ornaro, T'han posto il giogo, e di catene avvinta. Con gloria d' altri, e con tuo duolo amaro, GALEAZZO DI TARSIA. Visse oltre al 1551. SONETTO. Spalmato legno queta onda marina, O piè veloce nudo aperto seno Nel verde fondo del suo error dechina; |