E se 'l bel, che appar fuor, vincea 'l mio ingegno; Pur n'ombreggiava or' una, or altra parte, Mercè d' Amor, che mi porgea il colore. Ma tosto, che in le man presi il disegno Dell' interne bellezze, mancò l'arte: Ond' io mi tacqui per più vostro onore.
Poichè gli amari, e rapidi torrenti Del pianto, e l' aura calda de' sospiri, Le parole interrotte, i color spenti, E gli altri testimon de' miei martiri Non han potuto a gravi aspri tormenti Impetrar tregua unquanco, onde respiri Il cor, perchè, fallace speme, tenti D' impennar l' ali a mei fieri desiri? False meco lusinghe oprasti sempre, Nè mai serbasti la promessa fede, Avezza ad ingannar per lunga usanza: Partiti omai; che sel dolor non tempre, Altri non averà tanta possanza,
Che tenga l' alma in sì noiosa sede.
Così breve è 'l piacere, e sì fugace, Così lungo il dolore, e sì mortale, Che l'usato conforto omai non vale,
Donna, al mio cor, che si consuma, e tace; Ma molto non andrem, ch' avremo pace Scarchi da questo peso umano, e frale, E fia spento il desio, ch' ognor m' assale, E con la vita l' amorosa face:
Forse, ch' accorta poi de' vostri danni, Tardi, direte, o mio fedele amico,
Chi da me ti scompagna, e mi ti toglie? Ma non fia a tempo che l' acerbe doglie Mort' avrà spente, e gli amorosi inganni: Così Amor detta, ed io piangendo il dico.
Non sempre il cielo irato Nasconde il bel sereno, Nè 'l mar d' Adria turbato Ogn' ora alzando l'onde, Percuote l'alte, ed arenose sponde; Non sempre Appennin pieno
Di fredde nevi, e bianche Mostra l'orrido seno;
Ma talor dilettoso
Vagheggia il sol col crin verde e frondoso.
Talor pace (acciò manche
Il lor travaglio) fanno
Co' venti l' onde stanche:
E l'aere puro intorno
Ne porta il di più dell' usato adorno.
Ma voi nel settim' anno
Qual nel primo piangete;
E con gravoso affanno
Il gran Davalo vostro
Chiamate or con la voce, or con l'inchiostro.
Ne perchè Hespero liete
Accenda in ciel le stelle,
Freno al pianto ponete;
Ma torni, o parta il sole
Sente le meste vostre alte parole.
Non pianser le sorelle
Sempre il caro Fetonte;
Nè con le Ninfe belle
Del gran padre Oceano
Pianse il figlio ad ogn' or Tetide invano.
Serenate la fronte,
Omai chiudendo il varco
Al lagrimoso fonte;
E più tosto cantate
Per farlo conto alla futura etate,
Com' ei l' umano incarco Sprezzando, di valore Più che di ferro carco, Con l'armi, e col consiglio
Ruppe al gran re de' Franchi il fero ciglio: Onde d'eterno onore
S' ornò l'altera chioma
Sicchè del suo splendore
Vivranno i chiari raggi,
Mentre avran erbe i prati, e fronde i faggi. Ritogliete la mente
All' empia doglia acerba;
E scrivete altamente,
Chiara illustre Vittoria,
Del gran Davalo vostro eterna istoria.
Ch' a voi sola si serba
Peso così onorato:
Voi potete superba
Gir di si grave obbietto;
Ed ei di stil sì puro e sì perfetto.
L'almo terren dove infelice nacqui,
Il mio fiorito albergo, il mio bel nido, I cari amici, i dolci in ch' io m'affido Occhi, per ch' io giammai non taccio, o tacqui: Lascio a me lunge: ahi come sempre spiacqui A te Fortuna ria, che 'n ogni lido, Ovunque i miei pensier più saldo annido, Altrui contrario, a me gravoso giacqui. Ma che più mi doglio io? che pur devrei Già per pruova saper com' oggi il mondo È nudo di virtù, ch' ogni uomo sprezza: Come calcando i buoni, alzando i rei
Sovr' ogni altro si fa lieto e giocondo Chi schivando il ben fare i vizj apprezza.
Quanta invidia ti porto, amica Sena,1 Vedendo ir l'onde tue tranquille, e liete Per si bei campi a trar l' estiva sete
A' fiori, e l'erbe, ond' ogni riva è piena. Tu la città, che 'l tuo gran regno affrena, Circundi, e bagni e 'n lei concordi, e quete Vedi le genti sì, che per se miete
Utile dolce, ad altrui danno e pena. Il mio bell' Arno (ahi ciel, chi vide in terra, Per alcun tempo mai tanta ira accolta, Quant' or sopra di lui sì larga cade?) Il mio bell' Arno in sì dogliosa guerra
Piange suggetto, e sol; poi che gli è tolta L'antica gloria sua di Libertade.
Lieta, vaga, amorosa, alma Durenza,
Ch' al tuo Signor per queste apriche valli Porti sì dolci, e liquidi cristalli,
Ch' assai men bello appar quand' egli è senza; Il mio Tosco gentil, di cui Fiorenza
Devria di lauro, e fior vermigli, e gialli Ornar le tempie (ahi nostri estremi falli!) Sì come egli orna lei di sua presenza; Umil ti prega ognor, che Cintia preghi, Ch' al nido antico suo ritorno faccia, Nè più tenga di se vedovo il cielo : Ch' ancor arde per lei sempre, e s' agghiaccia Tal, che s' avvien, che queste grazie neghi, Ben poco avrà da soffrir caldo, e gelo.
Io pur, la Dio mercè, rivolgo il passo Dopo il sest' anno, a rivederti almeno, Superba Italia, poichè starti in seno Dal barbarico stuol m' è tolto (ahi lasso!) E con gli occhi dolenti e 'l viso basso
Sospiro e 'nchino il mio natio terreno, Di dolor, di timor, di rabbia pieno, Di speranza e di gioja ignudo e casso.
1 Alamanni mandato in esilio dalla sua patria Firenze elesse per sua stanza Parigi.
Poi ritorno a calcar l' Alpi nevose,
E'l buon Gallo sentier; ch' io trovo amico Più de' figli d' altrui, che tu de' tuoi. Ivi al soggiorno solitario, antico
Mi starò sempre in quelle valli ombrose, Poichè il Ciel lo consente, e tu lo vuoi.
Dal pigro e grave sonno, ove sepolta Sei già tanti anni, omai sorgi e respira, E disdegnosa le tue piaghe mira, Italia mia, non men serva che stolta. La bella libertà, ch' altri t' ha tolta
Per tuo non sano oprar, cerca e sospira; E i passi erranti al cammin dritto gira Da quel torto sentier dove sei volta. Che se risguardi le memorie antiche,
Vedrai che quei, che i tuoi trionfi ornaro, T'han posto il giogo, e di catene avvinta. L' empie tue voglie a te stessa nemiche,
Con gloria d' altri, e con tuo duolo amaro Misera, t' hanno a sì vil fine spinta.
Non così lieve piuma aere sereno, Spalmato legno queta onda marina, Rapido fiume che giù d' alpe inchina, O piè veloce nudo aperto seno Solca, come il pensier, che senza freno Nel verde fondo del suo error dechina; Nè per aspro sentier, nè per ruina, Od interposto monte, unqua vien meno.
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