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E se 'l bel, che appar fuor, vincea 'l mio ingegno;
Pur n'ombreggiava or' una, or altra parte,
Mercè d' Amor, che mi porgea il colore.
Ma tosto, che in le man presi il disegno
Dell' interne bellezze, mancò l'arte:
Ond' io mi tacqui per più vostro onore.

BERNARDO TASSO.

1493-1569.

SONETTI.

Poichè gli amari, e rapidi torrenti
Del pianto, e l' aura calda de' sospiri,
Le parole interrotte, i color spenti,
E gli altri testimon de' miei martiri
Non han potuto a gravi aspri tormenti
Impetrar tregua unquanco, onde respiri
Il cor, perchè, fallace speme, tenti
D' impennar l' ali a mei fieri desiri?
False meco lusinghe oprasti sempre,
Nè mai serbasti la promessa fede,
Avezza ad ingannar per lunga usanza:
Partiti omai; che sel dolor non tempre,
Altri non averà tanta possanza,

Che tenga l' alma in sì noiosa sede.

Così breve è 'l piacere, e sì fugace,
Così lungo il dolore, e sì mortale,
Che l'usato conforto omai non vale,

Donna, al mio cor, che si consuma, e tace;
Ma molto non andrem, ch' avremo pace
Scarchi da questo peso umano, e frale,
E fia spento il desio, ch' ognor m' assale,
E con la vita l' amorosa face:

ANTOLOGIA.

8

Forse, ch' accorta poi de' vostri danni,
Tardi, direte, o mio fedele amico,

Chi da me ti scompagna, e mi ti toglie?
Ma non fia a tempo che l' acerbe doglie
Mort' avrà spente, e gli amorosi inganni:
Così Amor detta, ed io piangendo il dico.

ODE.

A Vittoria Colonna.

Non sempre il cielo irato
Nasconde il bel sereno,
Nè 'l mar d' Adria turbato
Ogn' ora alzando l'onde,
Percuote l'alte, ed arenose sponde;
Non sempre Appennin pieno

Di fredde nevi, e bianche
Mostra l'orrido seno;

Ma talor dilettoso

Vagheggia il sol col crin verde e frondoso.

Talor pace (acciò manche

Il lor travaglio) fanno

Co' venti l' onde stanche:

E l'aere puro intorno

Ne porta il di più dell' usato adorno.

Ma voi nel settim' anno

Qual nel primo piangete;

E con gravoso affanno

Il gran Davalo vostro

Chiamate or con la voce, or con l'inchiostro.

Ne perchè Hespero liete

Accenda in ciel le stelle,

Freno al pianto ponete;

Ma torni, o parta il sole

Sente le meste vostre alte parole.

Non pianser le sorelle

Sempre il caro Fetonte;

Nè con le Ninfe belle

Del gran padre Oceano

Pianse il figlio ad ogn' or Tetide invano.

Serenate la fronte,

Omai chiudendo il varco

Al lagrimoso fonte;

E più tosto cantate

Per farlo conto alla futura etate,

Com' ei l' umano incarco
Sprezzando, di valore
Più che di ferro carco,
Con l'armi, e col consiglio

Ruppe al gran re de' Franchi il fero ciglio: Onde d'eterno onore

S' ornò l'altera chioma

Sicchè del suo splendore

Vivranno i chiari raggi,

Mentre avran erbe i prati, e fronde i faggi. Ritogliete la mente

All' empia doglia acerba;

E scrivete altamente,

Chiara illustre Vittoria,

Del gran Davalo vostro eterna istoria.

Ch' a voi sola si serba

Peso così onorato:

Voi potete superba

Gir di si grave obbietto;

Ed ei di stil sì puro e sì perfetto.

LUIGI ALAMANNI.

1495-1556.

SONETTI.

L'almo terren dove infelice nacqui,

Il mio fiorito albergo, il mio bel nido,
I cari amici, i dolci in ch' io m'affido
Occhi, per ch' io giammai non taccio, o tacqui:
Lascio a me lunge: ahi come sempre spiacqui
A te Fortuna ria, che 'n ogni lido,
Ovunque i miei pensier più saldo annido,
Altrui contrario, a me gravoso giacqui.
Ma che più mi doglio io? che pur devrei
Già per pruova saper com' oggi il mondo
È nudo di virtù, ch' ogni uomo sprezza:
Come calcando i buoni, alzando i rei

Sovr' ogni altro si fa lieto e giocondo
Chi schivando il ben fare i vizj apprezza.

Quanta invidia ti porto, amica Sena,1
Vedendo ir l'onde tue tranquille, e liete
Per si bei campi a trar l' estiva sete

A' fiori, e l'erbe, ond' ogni riva è piena.
Tu la città, che 'l tuo gran regno affrena,
Circundi, e bagni e 'n lei concordi, e quete
Vedi le genti sì, che per se miete

Utile dolce, ad altrui danno e pena.
Il mio bell' Arno (ahi ciel, chi vide in terra,
Per alcun tempo mai tanta ira accolta,
Quant' or sopra di lui sì larga cade?)
Il mio bell' Arno in sì dogliosa guerra

Piange suggetto, e sol; poi che gli è tolta
L'antica gloria sua di Libertade.

Lieta, vaga, amorosa, alma Durenza,

Ch' al tuo Signor per queste apriche valli
Porti sì dolci, e liquidi cristalli,

Ch' assai men bello appar quand' egli è senza;
Il mio Tosco gentil, di cui Fiorenza

Devria di lauro, e fior vermigli, e gialli
Ornar le tempie (ahi nostri estremi falli!)
Sì come egli orna lei di sua presenza;
Umil ti prega ognor, che Cintia preghi,
Ch' al nido antico suo ritorno faccia,
Nè più tenga di se vedovo il cielo :
Ch' ancor arde per lei sempre, e s' agghiaccia
Tal, che s' avvien, che queste grazie neghi,
Ben poco avrà da soffrir caldo, e gelo.

Io pur, la Dio mercè, rivolgo il passo
Dopo il sest' anno, a rivederti almeno,
Superba Italia, poichè starti in seno
Dal barbarico stuol m' è tolto (ahi lasso!)
E con gli occhi dolenti e 'l viso basso

Sospiro e 'nchino il mio natio terreno,
Di dolor, di timor, di rabbia pieno,
Di speranza e di gioja ignudo e casso.

1 Alamanni mandato in esilio dalla sua patria Firenze elesse per sua stanza Parigi.

GIOVANNI GUIDICCIONI.

GALEAZZO DI TARSIA.

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Poi ritorno a calcar l' Alpi nevose,

E'l buon Gallo sentier; ch' io trovo amico
Più de' figli d' altrui, che tu de' tuoi.
Ivi al soggiorno solitario, antico

Mi starò sempre in quelle valli ombrose,
Poichè il Ciel lo consente, e tu lo vuoi.

GIOVANNI GUIDICCIONI.

1500-1541.

Dal pigro e grave sonno, ove sepolta
Sei già tanti anni, omai sorgi e respira,
E disdegnosa le tue piaghe mira,
Italia mia, non men serva che stolta.
La bella libertà, ch' altri t' ha tolta

Per tuo non sano oprar, cerca e sospira;
E i passi erranti al cammin dritto gira
Da quel torto sentier dove sei volta.
Che se risguardi le memorie antiche,

Vedrai che quei, che i tuoi trionfi ornaro,
T'han posto il giogo, e di catene avvinta.
L' empie tue voglie a te stessa nemiche,

Con gloria d' altri, e con tuo duolo amaro
Misera, t' hanno a sì vil fine spinta.

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GALEAZZO DI TARSIA.

Visse oltre al 1551.

SONETTO.

Non così lieve piuma aere sereno,
Spalmato legno queta onda marina,
Rapido fiume che giù d' alpe inchina,
O piè veloce nudo aperto seno
Solca, come il pensier, che senza freno
Nel verde fondo del suo error dechina;
Nè per aspro sentier, nè per ruina,
Od interposto monte, unqua vien meno.

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