Di si bel giorno in fronte gli si legge. Ecco già folce, e regge
Ecco che doma
I mostri. O sante, o rare
Sue pruove. O bella Italia, o bella Roma, Or si vegg' io quanto circonda il mare, Aureo tutto, e pien dell' opre antiche. Adoratelo meco, anime chiare,
E di virtute amiche.
Così disse, canzone;
E del suo ricco grembo
Chẹ giammai non si serra
Sparse ancor sopra me di gigli un nembo. Poi con la schiera sua, quanto il Sol erra, E dall' un polo all' altro si distese. Io gli occhi apersi, e riconobbi in terra La gloria di Farnese.
Sol, ch' io canti, o scriva L' alte bellezze onde il Ciel volle ornarvi, Oprate sì ch' io possa almen mirarvi, Per potervi ritrar poi vera e viva.
La vostra luce inaccessibil, viva,
Nel troppo lume suo viene a celarvi,
Sì che, s' io tento gli occhi al volte alzarvi, Sento offuscar la mia virtù visiva.
Fate qual fece il portator del giorno,
Che, per lasciar il suo figlio appressarsi, Depose i raggi di che ha il capo adorno. Ch' altro così per me non può narrarsi, Se non ch' io vidi ad un bel viso intorno Lampi, onde restai cieco, e foco, ond' arsi.
Quando dal Gange un dì, Sole, uscirai, Che non mi trovi in più misero stato Di quel ch' al tuo partir m' abbi lasciato Poc' ore innanzi, e in maggior duolo assai? Jer piansi del mio lume i vivi rai
Spariti a me per mio sinistro fato: Oggi piango il suo cor già dilungato Da me, ch' abbandonar non dovea mai. Ma perchè questa è la maggior ferita
Ch' io sentir possa, al primo tuo ritorno Spero pianger il fin della mia vita, Se pur rider non dee l' alma quel giorno Che sarà destinato alla partita Dall' infelice suo fragil soggiorno.
Io piango in questo esilio, e non aspetto, S'a voi ritorno, aver giorni men fieri: Che s'or, c' ho sì da lungi i miei guerrieri, Sento 'l mio cor di tal assedio stretto,
Che fia quando vedrò del vago aspetto Accampar da vicin quei raggi alteri, Che figurati sol dai miei pensieri
M' han' arso intorno e incenerito il petto? Però dal duol tra questi colli vinto
Meglio è morir; s' avvien che poco importe Ch' io qui rimanga, o nella patria estinto. Anzi è meglio il tornar: ch' apra le porte
Quel che da maggior forza è oppresso e vinto A più lodata e gloriosa morte.
Credo che a voi parrà, fiamma mia viva, Che sien le mie parole o false o stolte, Perch' abbia di morir detto più volte Senza rimedio alcuno, e poi pur viva.
Per queste vostre luci, ond' io gioiva
Tanto quanto piango or che mi son tolte, Vi giuro, e così 'l Cielo un dì m' ascolte, E da si fiero mar mi scorga a riva: Com' io sento talor porsi in cammino
Per uscir l'alma; e poscia, o sia 'l diletto Che prova nel morire, o sia 'l destino, Si ferma (io non so come) in mezzo al petto: Ma pur le tien l'assedio sì vicino
Morte, accampata al mio già morto aspetto.
Mancheran prima al mare i pesci e l'onde, Al ciel tutte le stelle, all' aria i venti, Al Sole i raggi suoi vivi e lucenti, E di Maggio alla terra erbette e fronde; Ch' io per volgere il viso, e i passi altronde, Di voi, dolce mio ben, non mi rammenti, E che non brami con sospiri ardenti Vostre bellezze a null' altre seconde. Dunque error vano a sospettar v' invita,
Ch' io parta per fuggir l' ardor ch' io sento, O cerchi di morir d' altra ferita.
Che, bench' è senza pari il mio tormento, M' è più caro per voi perder la vita, Che d'ogn' altra men bella esser contento.
FRANCESCO COPPETTA DE' BECCUTI.
Al Tempo vincitore delle passioni.
Perchè sacrar non posso altari e tempj, Alato Veglio, all' opre tue sì grandi? Tu già le forze in quel bel viso spandi, Che fe' di noi si dolorosi scempj.
Tu della mia vendetta i voti adempi; L'alterezza e l'orgoglio a terra mandi; Tu solo sforzi Amore, e gli comandi
Che disciolga i miei lacci indegni ed empj. Tu quell' or puoi che la ragion non valse, Non amico ricordo, arte o consiglio, Non giusto sdegno d' infinite offese. Tu l'alma acqueti, che tant' arse ed alse; La quale or tolta da mortal periglio, Teco alza 'l volo a più leggiadre imprese.
Porta il buon villanel da strania riva Sovra gli omeri suoi pianta novella, E col favor della più bassa stella Fa che risorga nel suo campo e viva: Indi 'l sole e la pioggia e l' aura estiva L' adorna e pasce e la fa lieta e bella. Gode 1 cultore e sè felice appella, Che delle sue fatiche al premio arriva. Ma i pomi un tempo a lui serbati e cari Rapace mano in breve spazio coglie; Tanta è la copia degl' ingordi avari. Così, lasso, in un giorno altri mi toglie Il dolce frutto di tanti anni amari, Ed io rimango ad odorar le foglie.
Se quel dolor, che va innanzi al morire, E tal, ch' agguagli il mio; ciascun mortale Si doglia d'esser nato, e se n' adire. Ma non cred' io, che Morte, quando assale, E quando della vita il filo incide, Porga dolor, ch' al mio sen' vada eguale.
Quando si more, il corpo sol s'uccide;
Ma quando uom, ch' ama, dal suo ben diparte, L'anima, ch' era integra, si divide, Anzi la più perfetta e maggior parte
Negli occhi altrui riposta si rimane: Che Amor di propria man la tronca e parte. Dunque da voi convien ch' io m' allontane, Oh dell' anima mia parte più cara, Per commetter la vita all' onde insane ? O dì, che mal per me Febo rischiara, E qual sarà giungendo la partita, Se aspettandola solo, ella è sì amara? Dammi, pietosa Morte, a tempo aita:
Se mi sia del mio ben la via precisa, Prima che parta il piè, parta la vita. Meglio è, lasciando qui la carne uccisa,
Rimanersi con voi quest' Alma intera; Che lontana da voi girsen' divisa. Oh Fortuna volubile e leggiera!
Appena vidi il Sol che ne fui privo; E al cominciar del dì giunse la sera. Lunge da voi (se da voi lunge io vivo)
Le lagrime, il pensiero, e la speranza, Saranno cibo mio, d' ogni altro schivo. E se dal lungo pianto ora m' avanza,
Il sonno in braccio per pietà mi renda La bella, cara, angelica sembianza. Ma questo, oimè, tem' io, che 'n van s' attenda! Come il sonno amator delle fredde ombre Portar può cosa, che tanto arda e splenda? Nè fia, ch' uman pensier dipinga ed ombre
Celeste lume, ond' è il bel viso adorno; Sì che dal tristo cor le nebbie sgombre. Nè perch' io vada ove che nasce il giorno, Avrà mai raggio il Sol così lucente, Che mi sgombri le tenebre d' intorno. Altra Aurora bisogna, altro Oriente
Agli occhi miei, per cui, senza voi, sono Il cielo scuro, e le sue luci spente. Misero, che pensando a quel, ch' io sono,
Ed a quel, ch' io sarò preso il viaggio, Quasi m' offende del bel guardo il dono. Un tempo io mi credea, ch' avendo il raggio De' begli occhi presente, e cielo, e terra Non avesse bastato a farmi oltraggio. Or ciò, che vedo, lasso, mi fa guerra;
« IndietroContinua » |