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Di si bel giorno in fronte gli si legge.
Ecco già folce, e regge

Il cielo.

Ecco che doma

I mostri. O sante, o rare

Sue pruove. O bella Italia, o bella Roma,
Or si vegg' io quanto circonda il mare,
Aureo tutto, e pien dell' opre antiche.
Adoratelo meco, anime chiare,

E di virtute amiche.

Così disse, canzone;

E del suo ricco grembo

Chẹ giammai non si serra

Sparse ancor sopra me di gigli un nembo.
Poi con la schiera sua, quanto il Sol erra,
E dall' un polo all' altro si distese.
Io gli occhi apersi, e riconobbi in terra
La gloria di Farnese.

ANGELO DI COSTANZO.

S' amate, almo mio

1507-1590.

SONETTI.

Sol, ch' io canti, o scriva
L' alte bellezze onde il Ciel volle ornarvi,
Oprate sì ch' io possa almen mirarvi,
Per potervi ritrar poi vera e viva.

La vostra luce inaccessibil, viva,

Nel troppo lume suo viene a celarvi,

Sì che, s' io tento gli occhi al volte alzarvi,
Sento offuscar la mia virtù visiva.

Fate qual fece il portator del giorno,

Che, per lasciar il suo figlio appressarsi, Depose i raggi di che ha il capo adorno. Ch' altro così per me non può narrarsi, Se non ch' io vidi ad un bel viso intorno Lampi, onde restai cieco, e foco, ond' arsi.

Quando dal Gange un dì, Sole, uscirai,
Che non mi trovi in più misero stato
Di quel ch' al tuo partir m' abbi lasciato
Poc' ore innanzi, e in maggior duolo assai?
Jer piansi del mio lume i vivi rai

Spariti a me per mio sinistro fato:
Oggi piango il suo cor già dilungato
Da me, ch' abbandonar non dovea mai.
Ma perchè questa è la maggior ferita

Ch' io sentir possa, al primo tuo ritorno
Spero pianger il fin della mia vita,
Se pur rider non dee l' alma quel giorno
Che sarà destinato alla partita
Dall' infelice suo fragil soggiorno.

Io piango in questo esilio, e non aspetto,
S'a voi ritorno, aver giorni men fieri:
Che s'or, c' ho sì da lungi i miei guerrieri,
Sento 'l mio cor di tal assedio stretto,

Che fia quando vedrò del vago aspetto
Accampar da vicin quei raggi alteri,
Che figurati sol dai miei pensieri

M' han' arso intorno e incenerito il petto? Però dal duol tra questi colli vinto

Meglio è morir; s' avvien che poco importe Ch' io qui rimanga, o nella patria estinto. Anzi è meglio il tornar: ch' apra le porte

Quel che da maggior forza è oppresso e vinto
A più lodata e gloriosa morte.

Credo che a voi parrà, fiamma mia viva,
Che sien le mie parole o false o stolte,
Perch' abbia di morir detto più volte
Senza rimedio alcuno, e poi pur viva.

ANTOLOGIA.

9

Per queste vostre luci, ond' io gioiva

Tanto quanto piango or che mi son tolte,
Vi giuro, e così 'l Cielo un dì m' ascolte,
E da si fiero mar mi scorga a riva:
Com' io sento talor porsi in cammino

Per uscir l'alma; e poscia, o sia 'l diletto
Che prova nel morire, o sia 'l destino,
Si ferma (io non so come) in mezzo al petto:
Ma pur le tien l'assedio sì vicino

Morte, accampata al mio già morto aspetto.

Mancheran prima al mare i pesci e l'onde,
Al ciel tutte le stelle, all' aria i venti,
Al Sole i raggi suoi vivi e lucenti,
E di Maggio alla terra erbette e fronde;
Ch' io per volgere il viso, e i passi altronde,
Di voi, dolce mio ben, non mi rammenti,
E che non brami con sospiri ardenti
Vostre bellezze a null' altre seconde.
Dunque error vano a sospettar v' invita,

Ch' io parta per fuggir l' ardor ch' io sento,
O cerchi di morir d' altra ferita.

Che, bench' è senza pari il mio tormento,
M' è più caro per voi perder la vita,
Che d'ogn' altra men bella esser contento.

FRANCESCO COPPETTA DE' BECCUTI.

1509-1553.

SONETTI.

Al Tempo vincitore delle passioni.

Perchè sacrar non posso altari e tempj,
Alato Veglio, all' opre tue sì grandi?
Tu già le forze in quel bel viso spandi,
Che fe' di noi si dolorosi scempj.

Tu della mia vendetta i voti adempi;
L'alterezza e l'orgoglio a terra mandi;
Tu solo sforzi Amore, e gli comandi

Che disciolga i miei lacci indegni ed empj.
Tu quell' or puoi che la ragion non valse,
Non amico ricordo, arte o consiglio,
Non giusto sdegno d' infinite offese.
Tu l'alma acqueti, che tant' arse ed alse;
La quale or tolta da mortal periglio,
Teco alza 'l volo a più leggiadre imprese.

Porta il buon villanel da strania riva
Sovra gli omeri suoi pianta novella,
E col favor della più bassa stella
Fa che risorga nel suo campo e viva:
Indi 'l sole e la pioggia e l' aura estiva
L' adorna e pasce e la fa lieta e bella.
Gode 1 cultore e sè felice appella,
Che delle sue fatiche al premio arriva.
Ma i pomi un tempo a lui serbati e cari
Rapace mano in breve spazio coglie;
Tanta è la copia degl' ingordi avari.
Così, lasso, in un giorno altri mi toglie
Il dolce frutto di tanti anni amari,
Ed io rimango ad odorar le foglie.

LUIGI TANSILLO.

1510-1570.

TERZINE.

Se quel dolor, che va innanzi al morire,
E tal, ch' agguagli il mio; ciascun mortale
Si doglia d'esser nato, e se n' adire.
Ma non cred' io, che Morte, quando assale,
E quando della vita il filo incide,
Porga dolor, ch' al mio sen' vada eguale.

Quando si more, il corpo sol s'uccide;

Ma quando uom, ch' ama, dal suo ben diparte,
L'anima, ch' era integra, si divide,
Anzi la più perfetta e maggior parte

Negli occhi altrui riposta si rimane:
Che Amor di propria man la tronca e parte.
Dunque da voi convien ch' io m' allontane,
Oh dell' anima mia parte più cara,
Per commetter la vita all' onde insane ?
O dì, che mal per me Febo rischiara,
E qual sarà giungendo la partita,
Se aspettandola solo, ella è sì amara?
Dammi, pietosa Morte, a tempo aita:

Se mi sia del mio ben la via precisa,
Prima che parta il piè, parta la vita.
Meglio è, lasciando qui la carne uccisa,

Rimanersi con voi quest' Alma intera;
Che lontana da voi girsen' divisa.
Oh Fortuna volubile e leggiera!

Appena vidi il Sol che ne fui privo;
E al cominciar del dì giunse la sera.
Lunge da voi (se da voi lunge io vivo)

Le lagrime, il pensiero, e la speranza, Saranno cibo mio, d' ogni altro schivo. E se dal lungo pianto ora m' avanza,

Il sonno in braccio per pietà mi renda
La bella, cara, angelica sembianza.
Ma questo, oimè, tem' io, che 'n van s' attenda!
Come il sonno amator delle fredde ombre
Portar può cosa, che tanto arda e splenda?
Nè fia, ch' uman pensier dipinga ed ombre

Celeste lume, ond' è il bel viso adorno;
Sì che dal tristo cor le nebbie sgombre.
Nè perch' io vada ove che nasce il giorno,
Avrà mai raggio il Sol così lucente,
Che mi sgombri le tenebre d' intorno.
Altra Aurora bisogna, altro Oriente

Agli occhi miei, per cui, senza voi, sono
Il cielo scuro, e le sue luci spente.
Misero, che pensando a quel, ch' io sono,

Ed a quel, ch' io sarò preso il viaggio,
Quasi m' offende del bel guardo il dono.
Un tempo io mi credea, ch' avendo il raggio
De' begli occhi presente, e cielo, e terra
Non avesse bastato a farmi oltraggio.
Or ciò, che vedo, lasso, mi fa guerra;

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