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Ma 'l bel guardo divin, per cui m' alzai Fin sopra 1 cielo, è quel, che più m' atterra. Mirando de' bei lumi i dolci rai,

Voce par ch' oda, ch' ivi dentro gridi:
Questi son gli occhi, onde tu lunge andrai.
Occhi de' miei desiri, e d' Amor nidi,

Vorrei chiedervi in don qualche mercede,
Pria che l'aura mi tolga ai cari lidi;
Ma 'l vostro duro orgoglio, che non crede
L'ardor, che tanto in picciol tempo crebbe,
Così sperar mercè non mi dà fede.

Una pur chiederò, che mi si debbe;

Ed ella è tal, che, benchè d' odio accesi,
L' un nemico talor dall' altro l' ebbe:
Occhi, s' io moro, e fia chi veľ' palesi,
Perchè voi vivi abbiate lode, ed io
Già spento, qualche onor, siate cortesi
D' una lagrima vostra al cener mio.

BATTISTA GUARINI.

1532-1613.

SONETTI.

Amoroso pallore, argomento di grande incendio.

Se gli amorosi miei gravi tormenti

L'ardor dal viso, e non dal sen m' han tolto
Es' un nembo di duol pallido, e folto
V'asconde i rai delle mie fiamme ardenti:
Perchè, stelle d' Amor chiare, e lucenti
Mirate il freddo incenerito volto?

Mirate il cor dove l' incendio accolto
Più chiare ha le faville, e più cocenti.
Così in gelida selce, anco dimora

Chiusa favilla, e talor d' Etna il seno
Sotto falda di neve arso fiammeggia.

Non ha folgori il ciel quand' è sereno;
Ma se livido nembo il discolora,

Gravido il sen di fiamme arde, e lampeggia.

Suppliscano gli occhi, se la lingua manca.

O nel silenzio ancor lingua bugiarda,
Dove son le promesse, e gli ardimenti?
Com' esser può che 'n tante fiamme ardenti
La ministra del cor seco non arda?

Allor ti stai più gelata, e tarda,

Che con guardi amorosi, e cari accenti Par che Madonna accenni ai miei tormenti Quella mercè, che tua viltà ritarda. Ma se muta se' tu, sien gli occhi nostri

Loquaci, e caldi; e 'n lor le sue profonde Piaghe, e l'interno duol discopra il core. Non è sì chiuso o sì segreto ardore

Che un ciglio all' altro no 'l riveli, o mostri
Là dove Amor vera eloquenza asconda.

MADRIGALI.

Fierezza vana.

Lasso, perchè mi fuggi,

S' hai della morte mia tanto desio?
Tu se' pur il cor mio;

Credi tu per fuggire,

Crudel farmi morire?

Ah non si può morir senza dolore,

E doler non si può chi non ha core.

Avventuroso Augello.

Oh! come sei gentile,

Caro augellino: oh! quanto

È 'l mio stato amoroso al tuo simile.

Tu prigion, io prigion: tu canti, io canto.

Tu canti per colei,

Che t' ha legato, ed io canto per lei.

Ma in questo è differente
La mia sorte1 dolente,

Che giova pure a te l' esser canoro,
Vivi cantando, ed io cantando moro.

Sugli occhi della sua Donna.

Occhi, stelle mortali,

Ministre de' miei mali,
Che 'n sogno anco mostrate,
Che 'l mio morir bramate;
Se chiusi m' uccidete,
Aperti che farete?

TORQUATO TASSO.

1544-1595.

CANZONI.

I.

O con le Grazie eletta, e con gli Amori,
Fanciulla avventurosa,

A servir a colei, che Dea somiglia:

Poichè 'l mio sguardo in lei mirar non osa
I raggi, e gli splendori,

El bel seren degli occhi, e delle ciglia,

Nè l'alta meraviglia,

Che ne discopre il lampeggiar del riso,

Nè quanto ha di celeste il petto, e 'l volto:

Io gli occhi a te rivolto,

E nel tuo vezzosetto, e lieto viso

Dolcemente m' affiso;

Bruna sei tu, ma bella,

Qual vergine viola: e del tuo vago

Sembiante io sì m' appago,

Che non disdegno signoria d' ancella.

1 F. Fabbrucci: Perle del Parnaso Italiano, mette alma per sorte.

Mentre teco ragiono, e tu cortese
Sguardi bassi, e furtivi

Volgi in me, del tuo cor mute parole.
Ah, dove torci i lumi alteri, e schivi?
Da qual maestra apprese

Hai l'empie usanze, e 'n quai barbare_scole?
Così mostrar si suole

La tua donna superba incontra Amore,

E fulminar degl' occhi ira, ed orgoglio.
Ma tu del duro scoglio

Che a lei cigne, ed inaspra il freddo core,
Non hai forse il rigore.

Non voler, semplicetta,

Dunque imitar della severa fronte

L' ire veloci, e pronte,

Ma, s' ella ne sgomenta, tu n' alletta.

Mesci co' dolci tuoi risi, e co' vezzi

Solo acerbetti sdegni,

Che le dolcezze lor faccian più care,

Nè d'ella a te gli atti orgogliosi insegni,
E i superbi disprezzi,

Ma da te modi mansueti impare.

O se tu puoi destare,

Scaltra d' Amor ministra, e messaggiera,
Fra tante voglie in lei crude, e gelate,
Scintilla di pietate,

Qual gloria avrai dovunque Amor impera?
Tu voce hai lusinghiera,

E parole soavi,

Tu i mesti tempi, e lieti, e tu dei giochi
Sai gli opportuni lochi,

E tieni di quel petto ambe le chiavi.
So, ch' ella affissa ai micidiali specchi,
Suoi consiglier fedeli,

Sovente i fregi suoi varia, e rinova,
E, qual empio guerrier, ch' arme crudeli
A battaglia apparecchi,

Le terge ad una ad una, e ne fa prova:
Tal ella affina, e prova,

Di sua bellezza le saette, e i dardi,

Se siano acuti, e saldi al cor non giunge

Questo, ma leggier punge:

Quest' altro, dice, uccide sì, ma tardi;
Da questo, uom, che si guardi!

Può schermirsi, e fuggire:

È inevitabil questo? Or, tu, ch' intanto

Il crin l' adorni e 'l manto

Così le parla, e così placa l' ire:
O dell' armi d' Amore adorna, e forte
Guerriera ribellante,

Che lui medesmo, che t' armò, disfidi
Qual petto è di diaspro, ò di diamante;
Che di strazio, e di morte

Al balenar degli occhi suoi s' affidi
Chi non sa, come uccidi?

Ma chi sa come sani, ò come avviene?
Dell' armi tue sol le virtù dannose
Son note, e l'altre ascose,

Perchè di tant' onor te stessa prive?
Ah luci belle, e dive,

Ah voi non v' accorgete,

Ch' ai vostri rai rinovellar vi lice
Un cor quasi Fenice,

E le piaghe saldar, che aperte avete.
Or, che tutti son vinti, i più ritrosi
E i più alpestri, e selvaggi,

Scoprite altro valor in altri effetti,
Dolci gli strai vibrate, e mesti i raggi
De' folgori amorosi,

Sian con tempre di gioie, e di diletti;
Sani i piagati petti:

E ne' cor per timor gelati, e morti

Desti spirto di speme, aure vitali.
O fortunati mali,

Diranno poscia, ò liete, e care morti;
Nè più gli amanti accorti

Temeran di ferita,

Ma di morir per sì mirabil piagha:

Farà l'anime vaghe

Un bel disio di rinovar la vita.

Così le parla, e con faconda lingua

Lusinga insieme, e prega,

Ch' al fin si volge ogni femineo ingegno,

Ma, che rileva a me se ben si piega;

Cresca pure, ed estingua,

Gl' illustri amanti il suo superbo sdegno,

Me nel mio stato indegno,

L'umil fortuna mia sicuro rende.

Vil capanna dal ciel non è percossa,

Ma sovra Olimpo ed Ossa,

Trona il gran Giove, e l' alte torri offende.

Quinci ella esempio prende.

Ma tu, mio caro oggetto,

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