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GIO. BATTISTA MARINI.

1569-1625.

SONETTI.

Al Sonno.

Questi vinti dal duol possente e forte
Occhi, già stanchi da sì lungo pianto,
Con le tue dolci e lusinghiere scorte
Chiudi, deh chiudi, amico Sonno, alquanto.
Ben lor conviensi il lagrimar cotanto,

Che mal caute del cor, mal fide porte
Di lui dando ad Amor la palma, e 'l vanto
Fur la prima cagion della mia morte.
Ma tu, se vendicar tanti miei guai

Brami, in lor entra almen co' tuoi riposi Sol' una volta, e non gli aprir più mai. Vienne, e se ciechi alberghi, e tenebrosi Cerchi, ed ami l' orror, gli troverai Più del tuo speco orribili, ed ombrosi.

In morte di Filippo II, Rè delle Spagne.

Vinto, e sommerso oltre i confin del polo
L' Indo al suo giogo, e l' ultimo Oceano,
Domo l' Insubre, oppresso il Lusitano,
Lasciato il Belga in memorabil duolo:
Fugato in sù 'l Danubio il Tracio stuolo,
Rotto in Ambracia il perfido Ottomano,
Tolto l'orgoglio al Siro, all' Africano,
Fatto di mille Imperi un Regno solo,
Poichè de' pregi all' onorata salma,

Che l'invitto Filippo accolse, e strinse, Non mancava altra omai vittoria, ò palma: Vincitor di duo mondi, al fin s' accinse

Al mondo delle stelle: e pur con l' alma,
Non potendo con l'armi, il vide, e vinse.

A Roma.

Vincitrice del mondo, ahi chi t' ha scossa
Dal seggio, ove Fortuna alto t'assise?
Chi del tuo gran cadavere divise

Per l'arena le membra, e sparse ha l'ossa! Non di Brenno il valor, non fu la possa

D' Annibal, che ti vinse, e che t' ancise.
Nè, che dar potess' altri, il ciel permise
Al tuo lacero tronco erbosa fossa.
Per te stessa cadesti a terra spinta,

E da te stessa sol battuta, e doma
Giaci a te stessa in un' tomba, ed estinta.
E già non convenia, che chi la chioma
Di tante palme ornò, fusse poi vinta:
Vincer non devea Roma altri, che Roma.

Parole di Cristo a Giuda.

Giuda, amico ne vieni? ò pur fallaci
Sono i messi d' amor? s' amico vieni,
Perchè turba d' armati intorno meni?
E se nemico sei, perchè mi baci?
Fur del buon vecchio ebreo pietosi i baci
Allor, che 'n pace chiuse i dì sereni:
Fur della Peccatrice i baci pieni

Di dolcezza, e d'amor, caldi, e vivaci.
Ma 'l tuo bacio è veneno, a che rea sorte
Misero ti conduce empia follia?

Già mi sei nel morir fatto consorte.
Tu nel legno, io nel legno: a me la mia

Fa vita, a te fia morte: a te la morte
Cagion d' infamia, a me di gloria fia.

MADRIGALI.

Bacio involato.

Perchè fuggi tra' salci

Ritrosetta, ma bella

O cruda delle crude Pastorella?
Perch' un bacio ti tolsi?
Miser più, che felice,

Corsi per fugger vita, e morte colsi.
Quel bacio, che m' hà morto

Fra le rose d' Amor pungente spina,
Fu più vendetta tua, che mia rapina..
La bocca involatrice

La bocca stessa, che 'l furò, tel' dice.

Morte dolce,

Se la doglia, e 'l martire
Non può farmi morire,
Mostrami almeno amore,

Come di gioia, e di piacer si more.
Voi, che la morte mia negl' occhi avete,
E la mia vita siete,

Dite, dite, ch' io mora a tutte l' ore,
Ch' io son contento poi

Mille volte morir, ma in braccio a voi.

SALVATOR ROSA.

† 1615.

LA POESIA.

Satira.

Loda i Tersiti Favorino, e appena

Ai principi moderni un figlio nasce,
Che in augurj i cantor stancan la vena.
Quando Cintia falciata in ciel rinasce

Ha da servir per cuna; e col zodiaco
Hanno insieme le zone a far le fasce.

Quanti dal Messicano all' Egiziaco

Fiumi nobili son; quanti il Gangetico
Lido ne spinge al mar; quanti il Siriaco,

Tant' invitando va l' umor poetico

A battezzar tal un, che per politica
Cresce, e vive ateista, e muore eretico.
E canta, in vece d'adoprar la critica,
Ch' ei porterà la trionfante croce
Della terra Giudea per la Menfitica;
Che, dalla Tule alla Tirintia Foce,
Reciderà le redivive teste

Dell' eresia crescente all' idra atroce;
Che tralasciata la maggion celeste,
Ricalcheran gl' abbandonati calli
Con Astrea le virtù profughe, e meste.
Per inalzar a un rè statue e cavalli

Ha fatto insino un certo letterato 1
,,Sudare i fuochi a liquefar metalli“;
E un altro per lodar certo soldato

Dopo aver detto è un Ercole secondo;
Ed averlo ad un Marte assomigliato;
Non parendogli aver toccato il fondo
Soggiunse, e pose un po' più sù la mira:
,,Ai bronzi tuoi serve di palla il mondo."
Oh gran bestialità! come delira

L'umana mente! nè a guarirla basta
Quanto elleboro nasce in Anticira.

Divina verità quanto sei guasta

Da questi scioperati animi indegni,
Che del falso e del ver fanno una pasta!
Predican per Atlanti, e per sostegni

Della terra cadente uomini tali,

Che son rovine poi di stati, e regni.
S' un principe s' ammoglia, oh quanti, oh quali
Si lasciano veder subito in frotta

Epitalami, e cantici nuzziali!

Ogni poema poi mostra interrotta

Di qualche grande la genealogia,

Dispinta in qualche scudo ò in qualche grotta,
E quel, che fa spiccar questa pazzia
E che la razza effigiata e scolta
Dichiaran sempre i Maghi in profezia.

Ma s'è in costoro ogni virtude accolta

Come dite, o poeti: ond' è che ogn' uno
Vi mira ignudi, e lamentarvi ascolta?

1 Claudio Achillini nel suo sonetto:,, In lode del Rè di Francia." Ved. p. 154.

Se senza aita ogni scrittor digiuno

Piange, questi non han virtute; overo Quel letterato è querulo, ò importuno? Deh cangiate oramai stile, e pensiero; E tralasciate tanta sfacciataggine Detti un giusto furore ai carmi il vero. Chiamate a dir il ver Sunio, ò Timaggine; Giacchè l' uom tra gl' obbrobj oggi s' alleva, Nè timor vi ritenga, ò infingardaggine. Dite di non saper, qual più riceva

Seguaci, ò l' Alcorano, od il Vangelo,
O la strada di Roma, ò di Geneva.
Dite che della fede è spento il zelo,

E, che a prezzo d' un pan vender si vede
L' Onor, la Libertà, l' Anima, il Cielo:
Che per tutto interesse ha posto il piede:
Che dalla Tartaria fino alla Betica

L' infame tirannia post' ha la sede:
Ch' ogni grande a far' or suda, e frenetica;
E c' han fatta nel cor si dura cotica,
Che la coscienza più non gli solletica:
Deh prendete, prendete in man la scotica

Serrate gl' occhi; ed a chi tocca, tocca;
Provi il flagel questa canaglia zotica.
Tempo è omai c' Angerona apra la bocca
A rinovare i Saturnali antichi,

Or che i limiti il mal passa, e trabocca.
Uscite fuor de' favolosi intrichi,

Accordate la cetra, ai pianti, ai gridi
Di tante orfane, vedove, e mendichi,
Dite senza timor gl' orrendi stridi

Della terra che in van geme abbattuta,
Spolpata affato da' tiranni infidi.
Dite la vita infame, e dissoluta,

Che fanno tanti Roboan moderni;
La giustizia negata, e rivenduta.
Dite, che a' tribunali, e ne' governi,
Si mandan solo gl' avoltoj rapaci:
E dite l'oppression, dite gli scherni.
Dite l'usure, e tirannie voraci,

Che fà sopra di noi la turba immensa
De vivi Faraoni, e degl' Arsaci.

Dite, che sol da principi si pensa

A bandir pesche, e caccie: onde gl' avari
Sulla fame commune alzan la mensa:

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