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Ma dono vostro, o Muse,

Fu questa cetra. Ah, se in un dì sì grande

Mi lascia in abbandono,

Ripigliate, io nol curo, il vostro dono,

Quella cetra, ah pur tu sei
Che addolcì gli affanni miei,
Che d' ogni alma a suo talento
D' ogni cor la via s' aprì.
Ah sei tu, tu sei pur quella
Che nel sen della mia bella
Tante volte, io lo rammento,
La fierezza intenerì.

Di quanto, o cetra ingrata,

Debitrice mi sei! Per farti ognora
Più illustre, più sonora, a te d' intorno
I dì, le notti impallidii; me stesso
Posi in obblio per te; fra le più care
Tenere cure mie tal luogo avesti,

Che Nice istessa a ingelosir giungesti.

Ed oggi... oh tradimento!... ed oggi...oh Dei!
Nel bisogno più grande.. Ah vanne al suolo,
Inutile stromento:

Te calpesti l'armento;

Te insulti ogni pastor; sua fragil tela
Nel tuo sen polveroso Aracne ordisca;
Nè dell' onore antico

Orma restando in te... Folle, che dico!
Tutta la colpa è mia. Punisce il Cielo
Un temerario ardir. Perdono, Augusta:
Errai; mi pento: io tacerò. Soggetto
Sia questo di felice

A più degno cantor. Sarà più saggio ·
In avvenir chi nel cimento apprese
Col suo valore a misurar l' imprese.
Non vada un picciol legno
A contrastar col vento,
A provocar lo sdegno
D'un procelloso mar.

Sia nobil suo cimento

L' andar de' salsi umori
Ai muti abitatori
La pace a disturbar.

ANTOLOGIA.

13

CANZONETTA.

La Partenza.

Ecco quel fiero istante;
Nice, mia Nice, addio.
Come vivrò, ben mio,
Così lontan da te?

Io vivrò sempre in pene,
Io non avrò più bene;
E tu, chi sa se mai
Ti sovverrai di me!

Soffri che in traccia almeno
Di mia perduta pace
Venga il pensier seguace
Sull' orme del tuo piè.

Sempre nel tuo cammino,
Sempre m' avrai vicino;
E tu chi sa, etc.

Io, fra remote sponde
Mesto volgendo i passi,
Andrò chiedendo ai sassi,
La Ninfa mia dov' è?

Dall' una all' altra aurora
Te andrò chiamando ognora;
E tu chi sa, etc.

Io rivedrò sovente

Le amene piagge, o Nice,

Dove vivea felice,

Quando vivea con te.

A me saran tormento
Cento memorie e cento;
E tu chi sa, etc.

Ecco, dirò, quel fonte,
Dove avvampò di sdegno,
Ma poi di pace in pegno
La bella man mi diè.

Qui si vivea di speme;
Là si languiva insieme;
E tu chi sa, etc.

Quanti vedrai giungendo
Al nuovo tuo soggiorno,
Quanti venirti intorno
A offrirti amore e fè!

Oh Dio! chi sa fra tanti
Teneri omaggi, e pianti,
Oh Dio! chi sa, etc.

Pensa qual dolce strale,
Cara, mi lasci in seno:
Pensa che amò Fileno
Senza sperar mercè.

Pensa, mia vita, a questo

Barbaro addio funesto

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Pensa.... Ah! chi sa se mai

Ti sovverrai di me.

La Primavera.

CANZONETTA.

1719.

Già riede Primavera

Col suo fiorito aspetto:
Già il grato zeffiretto
Scherza fra l' erbe e i fior.

Tornan le frondi agli alberi,

L' erbette al prato tornano;
Sol non ritorna a me

La pace del mio cor.

Febo col puro raggio

Su i monti il gel discioglie,
E quei le verdi spoglie
Veggonsi rivestir.

E il fiumicel, che placido
Fra le sue sponde mormora,
Fa col disciolto umor

Il margine fiorir.

L'orride querce annose
Su le pendici alpine

Già dal ramoso crine
Scuotono il tardo gel.

A gara i campi adornano
Mille fioretti tremuli,
Non violati ancor
Da vomere crudel.
Al caro antico nido

Fin dall' Egizie arene
La rondinella viene,

Che ha valicato il mar;

Che mentre il volo accelera,

Non vede il laccio pendere,

E va del cacciator

L' insidie ad incontrar.

L'amante pastorella

Già più serena in fronte
Corre all' usata fonte
A ricomporsi il crin.

Escon le greggie ai pascoli;
D' abbandonar s' affrettano
Le arene il pescator,
L'albergo il pellegrin.
Fin quel nocchier dolente
Che sul paterno lido,
Scherno del flutto infido,
Naufrago ritornò;

Nel rivederlo placido
Lieto discioglie l' ancore;
E rammentar non sa
L'orror che in lui trovò.

E tu non curi intanto,
Fille, di darmi aita?
Come la mia ferita
Colpa non sia di te.

Ma se ritorno libero

Gli antichi lacci a sciogliere,
No, che non stringerò
Più fra catene il piè.
Del tuo bel nome amato,
Cinto del verde alloro,
Spesso le corde d' oro
Ho fatto risuonar.

Or se mi sei più rigida,

Vuo' che i miei sdegni apprendano
Del fido mio servir

Gli oltraggi a vendicar.

Ah no; ben mio, perdona

Questi sdegnosi accenti;
Che sono i miei lamenti
Segni d' un vero amor.

S'è tuo piacer, gradiscimi;

Se così vuoi, disprezzami:
O pietosa, o crudel,
Sei l'alma del mio cor.

SONETTO.

1733.

Sogni e favole io fingo; e pure in carte
Mentre favole e sogni orno e disegno,
In lor, folle ch' io son, prendo tal parte,
Che del mal che inventai piango e mi sdegno.
Ma forse, allor che non m' inganna l' arte,
Più saggio io sono? È l'agitato ingegno
Forse allor più tranquillo? O forse parte
Da più salda cagion l'amor, lo sdegno?
Ah che non sol quelle, ch' io canto o scrivo,
Favole son; ma quanto temo o spero,
Tutto è menzogna, e delirando io vivo!
Sogno della mia vita è il corso intero.

Deh tu, Signor, quando a destarmi arrivo,
Fa ch' io trovi riposo in sen del Vero.

MADRIGALE

il Sogno.

Pur nel sonno almen talora
Vien colei, che m' innamora,
Le mie pene a consolar.

Rendi Amor, se giusto sei,
Più veraci i sogni miei,
O non farmi risvegliar.

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