Ma dono vostro, o Muse,
Fu questa cetra. Ah, se in un dì sì grande
Mi lascia in abbandono,
Ripigliate, io nol curo, il vostro dono,
Quella cetra, ah pur tu sei Che addolcì gli affanni miei, Che d' ogni alma a suo talento D' ogni cor la via s' aprì. Ah sei tu, tu sei pur quella Che nel sen della mia bella Tante volte, io lo rammento, La fierezza intenerì.
Di quanto, o cetra ingrata,
Debitrice mi sei! Per farti ognora Più illustre, più sonora, a te d' intorno I dì, le notti impallidii; me stesso Posi in obblio per te; fra le più care Tenere cure mie tal luogo avesti,
Che Nice istessa a ingelosir giungesti.
Ed oggi... oh tradimento!... ed oggi...oh Dei! Nel bisogno più grande.. Ah vanne al suolo, Inutile stromento:
Te calpesti l'armento;
Te insulti ogni pastor; sua fragil tela Nel tuo sen polveroso Aracne ordisca; Nè dell' onore antico
Orma restando in te... Folle, che dico! Tutta la colpa è mia. Punisce il Cielo Un temerario ardir. Perdono, Augusta: Errai; mi pento: io tacerò. Soggetto Sia questo di felice
A più degno cantor. Sarà più saggio · In avvenir chi nel cimento apprese Col suo valore a misurar l' imprese. Non vada un picciol legno A contrastar col vento, A provocar lo sdegno D'un procelloso mar.
Sia nobil suo cimento
L' andar de' salsi umori Ai muti abitatori La pace a disturbar.
Ecco quel fiero istante; Nice, mia Nice, addio. Come vivrò, ben mio, Così lontan da te?
Io vivrò sempre in pene, Io non avrò più bene; E tu, chi sa se mai Ti sovverrai di me!
Soffri che in traccia almeno Di mia perduta pace Venga il pensier seguace Sull' orme del tuo piè.
Sempre nel tuo cammino, Sempre m' avrai vicino; E tu chi sa, etc.
Io, fra remote sponde Mesto volgendo i passi, Andrò chiedendo ai sassi, La Ninfa mia dov' è?
Dall' una all' altra aurora Te andrò chiamando ognora; E tu chi sa, etc.
Io rivedrò sovente
Le amene piagge, o Nice,
Dove vivea felice,
Quando vivea con te.
A me saran tormento Cento memorie e cento; E tu chi sa, etc.
Ecco, dirò, quel fonte, Dove avvampò di sdegno, Ma poi di pace in pegno La bella man mi diè.
Qui si vivea di speme; Là si languiva insieme; E tu chi sa, etc.
Quanti vedrai giungendo Al nuovo tuo soggiorno, Quanti venirti intorno A offrirti amore e fè!
Oh Dio! chi sa fra tanti Teneri omaggi, e pianti, Oh Dio! chi sa, etc.
Pensa qual dolce strale, Cara, mi lasci in seno: Pensa che amò Fileno Senza sperar mercè.
Pensa, mia vita, a questo
Barbaro addio funesto
Pensa.... Ah! chi sa se mai
Ti sovverrai di me.
La Primavera.
CANZONETTA.
Già riede Primavera
Col suo fiorito aspetto: Già il grato zeffiretto Scherza fra l' erbe e i fior.
Tornan le frondi agli alberi,
L' erbette al prato tornano; Sol non ritorna a me
La pace del mio cor.
Febo col puro raggio
Su i monti il gel discioglie, E quei le verdi spoglie Veggonsi rivestir.
E il fiumicel, che placido Fra le sue sponde mormora, Fa col disciolto umor
Il margine fiorir.
L'orride querce annose Su le pendici alpine
Già dal ramoso crine Scuotono il tardo gel.
A gara i campi adornano Mille fioretti tremuli, Non violati ancor Da vomere crudel. Al caro antico nido
Fin dall' Egizie arene La rondinella viene,
Che ha valicato il mar;
Che mentre il volo accelera,
Non vede il laccio pendere,
E va del cacciator
L' insidie ad incontrar.
L'amante pastorella
Già più serena in fronte Corre all' usata fonte A ricomporsi il crin.
Escon le greggie ai pascoli; D' abbandonar s' affrettano Le arene il pescator, L'albergo il pellegrin. Fin quel nocchier dolente Che sul paterno lido, Scherno del flutto infido, Naufrago ritornò;
Nel rivederlo placido Lieto discioglie l' ancore; E rammentar non sa L'orror che in lui trovò.
E tu non curi intanto, Fille, di darmi aita? Come la mia ferita Colpa non sia di te.
Ma se ritorno libero
Gli antichi lacci a sciogliere, No, che non stringerò Più fra catene il piè. Del tuo bel nome amato, Cinto del verde alloro, Spesso le corde d' oro Ho fatto risuonar.
Or se mi sei più rigida,
Vuo' che i miei sdegni apprendano Del fido mio servir
Gli oltraggi a vendicar.
Ah no; ben mio, perdona
Questi sdegnosi accenti; Che sono i miei lamenti Segni d' un vero amor.
S'è tuo piacer, gradiscimi;
Se così vuoi, disprezzami: O pietosa, o crudel, Sei l'alma del mio cor.
Sogni e favole io fingo; e pure in carte Mentre favole e sogni orno e disegno, In lor, folle ch' io son, prendo tal parte, Che del mal che inventai piango e mi sdegno. Ma forse, allor che non m' inganna l' arte, Più saggio io sono? È l'agitato ingegno Forse allor più tranquillo? O forse parte Da più salda cagion l'amor, lo sdegno? Ah che non sol quelle, ch' io canto o scrivo, Favole son; ma quanto temo o spero, Tutto è menzogna, e delirando io vivo! Sogno della mia vita è il corso intero.
Deh tu, Signor, quando a destarmi arrivo, Fa ch' io trovi riposo in sen del Vero.
Pur nel sonno almen talora Vien colei, che m' innamora, Le mie pene a consolar.
Rendi Amor, se giusto sei, Più veraci i sogni miei, O non farmi risvegliar.
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