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GIUSEPPE PARINI.

1729-1799.

SONETTO.

Di Se Stesso.

Quell' io, che già con lungo amaro carme
Amor derisi e il suo regno potente
E tutta osai chiamar l' itala gente
Col mio riso maligno ad ascoltarme:
Or sento anch' io sotto all' indomit' arme,
Tra la folla del popolo imminente,
Dietro alle rote del gran carro lente
Dall' offeso tiranno strascinarme.
Ognun, per osservar l' infame multa,

Preme, urta e grida al suo propinquo: È quei!

E il beffator commun beffa ed insulta.

Io scornato, abbassando gli occhi rei,

Seguo il mio fato; e il fier nemico esulta.
Imparate a deridere gli Dei!

ALLA MUSA.

Te il mercadante, che con ciglio asciutto
Fugge i figli e la moglie, ovunque il chiama
Dura avarizia nel remoto flutto,

Musa, non ama;
Nè quei, cui l'alma ambiziosa rode
Fulgida cura, onde salir più agogna,
E la molto fra il dì temuta frode
Torbido sogna;

Nè giovane, che pari a tauro irrompa,
Ove alla cieca più Venere piace;
Nè donna, che d' amanti osi gran pompa
Spiegar procace.

Sai tu, vergine Dea, chi la parola
Modulata da te gusta od imita,
Onde ingenuo piacer sgorga e consola
L'umana vita?

Colui, cui diede il ciel placido senso
E puri affetti e semplice costume;
Che di sè pago e dell' avito censo
Più non presume;

Che spesso al faticoso ozio de' grandi
E all' urbano clamor s' invola, e vive,
Ove spande natura influssi blandi
O in colli o in rive:

E in stuol d' amici numerato e casto
Tra parco e delicato al desco asside,
E la splendida turba e il vano fasto
Lieto deride;

Che ai buoni, ovunque sia, dona favore,
E cerca il vero, e il bello ama innocente,
E passa l' età sua tranquilla, il core
Sano e la mente.

IL BRINDISI.

Volano i giorni rapidi
Del caro viver mio;
E giunta in sul' pendio
Precipita l' età.

Le belle; ohimè! che al fingere
Han lingua così presta,
Sol mi ripeton questa
Ingrata verità.

Con quelle occhiate mutole,
Con quel contegno avaro,
Mi dicono assai chiaro:
Noi non siam più per te.
E fuggono e folleggiano
Tra gioventù vivace,
E rendonvi loquace
L'occhio, la mano e il piè.
Che far? Degg' io di lagrime
Bagnar per questo il ciglio?
Ah no; miglior consiglio
È di godere ancor.

Se già di mirti teneri

Colsi mia parte in Gnido,
Lasciamo che a quel lido
Vada con altri Amor.

Volgan le spalle candide,
Volgano a me le belle:
Ogni piacer con elle
Non se ne parte alfin.

A Bacco, all' Amicizia
Sacro i venturi giorni:
Cadano i mirti, e s' orni
D' ellera il misto crin.
Che fai su questa cetera,
Corda, che amor sonasti?
Male al tenor contrasti
Del nuovo mio piacer.
Or di cantar dilettami

Tra' miei giocondi amici,
Augurii a lor felici
Versando dal bicchier.
Fugge la instabil Venere
Con la stagion de' fiori.
Ma tu, Lieo, ristori,
Quando il dicembre uscì.
Amor con l' età fervida
Convien che si dilegue;
Ma l'amistà ne segue
Fino all' estremo dì.
Le belle, ch' or s' involano
Schife da noi lontano,
Verranci allor pian piano
Lor brindisi ad offrir.

E noi, compagni amabili,
Che far con esse allora?
Seco un bicchiere ancora
Bevere, e poi morir.

LUIGI CERETTI.

1732-1808.

GLI AUGURJ AL MARCHESE MANFREDINI.

1796.

Torbido apportator di stragi e morte

E di nuove congiure e di nuov' onte,
Schiude all' anno novel le ferree porte
Giano bifronte.

Parea che pace ai bellicosi regni

Ormai recasse il sospirato ulivo,

È l'egida a depor pronto e gli sdegni
Parea Gradivo.

Ma insultatrice della sorte Ibéra

L' aspra Albione il comun voto infrange;
Ed oppressa in Europa opprimer spera
I Re del Gange.

Di rigid' avi tralignata erede,

Quali oltraggi or non soffre e quai sciagure,
Di un Pitt ligia all' impero, essa che diede
Carlo alla scure?

Armi per lei grida il Danubio, e il corno
Col congiurato Eridano solleva:

Perfida eccheggia dall' Artoo soggiorno
Armi la Neva.

Tuona Clairfait sul Reno, e lo seconda
Wurmser canuto: avido ognor, ma invano
Di nuovi allor dall' occupata sponda
Fugge Giordano.

Ma di Scherer all' armi il pria sì truce
Dewins la spiaggia Ligure abbandona,
Ed alla fuga del superbo duce
Ride Savona.

Provido Colli or rompe, ora declina,
Fabio dell' Alpi, il Gallico torrente;
Per lui de' Cozj la città regina
Timor non sente.

Qual sarà il duce, e qual l'eroe che scegli,
Onde sposarne le vittorie al canto,
Amabil Dio, che i lucidi capegli
Lavi nel Xanto?

Se di perigli e di terror sei vago

E di palme recise in lunga guerra,
Giammai di ferità più tetra immago
Non diè la terra.

Ma i lauri che sull' Indo a mieter corse
Ebro di gloria di Filippo il figlio,
E sparso sangue e vasto orror son forse
Cari al tuo ciglio?

Te mite

solo co' Flegréi Giganti

Fiero, e col mostro in val di Pito ucciso,
Padre accolsero ognor di gioje e canti
Delo ed Anfriso.

Che se da eroe pacifico si spande

Luce più cara agli occhi tuoi; qual mai
Eroe del prode Manfredin più grande
Sceglier potrai?

Regnan per lui dall' Alpi ardue al Tirreno
Fra genti a lituo marzial non use

Di un giovin Tito sottoposte al freno
Temi e le Muse.

Pace per esso ai nostri voti arrise,

Nè gli aurei crini, ond' è fra noi sì altera,
All' Italica Cerere recise

Falce straniera.

A lui vincer l' Invidia, i dardi avvezza
A trar da inesauribile faretra;

E a me dona, gran Nume, agil vecchiezza
Nè senza cetra.

ALL' EGREGIO CANTORE GIOVANNI ANSANI.

Ode saffica.

Ansani, ond' è che favolosi esempi

Sembrano i fasti dell' antico canto?
Nè regna or più, come a quegli aurei tempi,

Musico vanto?

Qual Timoteo oggimai d' un Alessandro
Molce, o raccende i mobili pensieri?
O qual ne' molli cor sveglia Terpandro
Spirti guerrieri?

Finchè l' arte de' suon quella de' carmi

Segui compagna, e al giusto e al ver soggiacque,
Ne' teatri, ne' templi, e fin tra l'armi
Semplice piacque.

Ma poichè schiva di promiscue lodi
Ambì la gloria d' indiviso regno,
E che strana armonía fu de' suoi modi
Difficil segno;

Avida allor di popolar fortuna,

E campi intesa ad occupar più vasti,
Ostento di ricchezza inopportuna
Miseri fasti.

E di sedotti orecchi altera e paga;

Fra l'orgie audaci ed i Lenei clamori,
Lasciva emerse, e coglier sol fu vaga
Sterili fiori.

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