Quell' io, che già con lungo amaro carme Amor derisi e il suo regno potente E tutta osai chiamar l' itala gente Col mio riso maligno ad ascoltarme: Or sento anch' io sotto all' indomit' arme, Tra la folla del popolo imminente, Dietro alle rote del gran carro lente Dall' offeso tiranno strascinarme. Ognun, per osservar l' infame multa,
Preme, urta e grida al suo propinquo: È quei!
E il beffator commun beffa ed insulta.
Io scornato, abbassando gli occhi rei,
Seguo il mio fato; e il fier nemico esulta. Imparate a deridere gli Dei!
Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie, ovunque il chiama Dura avarizia nel remoto flutto,
Musa, non ama; Nè quei, cui l'alma ambiziosa rode Fulgida cura, onde salir più agogna, E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna;
Nè giovane, che pari a tauro irrompa, Ove alla cieca più Venere piace; Nè donna, che d' amanti osi gran pompa Spiegar procace.
Sai tu, vergine Dea, chi la parola Modulata da te gusta od imita, Onde ingenuo piacer sgorga e consola L'umana vita?
Colui, cui diede il ciel placido senso E puri affetti e semplice costume; Che di sè pago e dell' avito censo Più non presume;
Che spesso al faticoso ozio de' grandi E all' urbano clamor s' invola, e vive, Ove spande natura influssi blandi O in colli o in rive:
E in stuol d' amici numerato e casto Tra parco e delicato al desco asside, E la splendida turba e il vano fasto Lieto deride;
Che ai buoni, ovunque sia, dona favore, E cerca il vero, e il bello ama innocente, E passa l' età sua tranquilla, il core Sano e la mente.
IL BRINDISI.
Volano i giorni rapidi Del caro viver mio; E giunta in sul' pendio Precipita l' età.
Le belle; ohimè! che al fingere Han lingua così presta, Sol mi ripeton questa Ingrata verità.
Con quelle occhiate mutole, Con quel contegno avaro, Mi dicono assai chiaro: Noi non siam più per te. E fuggono e folleggiano Tra gioventù vivace, E rendonvi loquace L'occhio, la mano e il piè. Che far? Degg' io di lagrime Bagnar per questo il ciglio? Ah no; miglior consiglio È di godere ancor.
Se già di mirti teneri
Colsi mia parte in Gnido, Lasciamo che a quel lido Vada con altri Amor.
Volgan le spalle candide, Volgano a me le belle: Ogni piacer con elle Non se ne parte alfin.
A Bacco, all' Amicizia Sacro i venturi giorni: Cadano i mirti, e s' orni D' ellera il misto crin. Che fai su questa cetera, Corda, che amor sonasti? Male al tenor contrasti Del nuovo mio piacer. Or di cantar dilettami
Tra' miei giocondi amici, Augurii a lor felici Versando dal bicchier. Fugge la instabil Venere Con la stagion de' fiori. Ma tu, Lieo, ristori, Quando il dicembre uscì. Amor con l' età fervida Convien che si dilegue; Ma l'amistà ne segue Fino all' estremo dì. Le belle, ch' or s' involano Schife da noi lontano, Verranci allor pian piano Lor brindisi ad offrir.
E noi, compagni amabili, Che far con esse allora? Seco un bicchiere ancora Bevere, e poi morir.
GLI AUGURJ AL MARCHESE MANFREDINI.
Torbido apportator di stragi e morte
E di nuove congiure e di nuov' onte, Schiude all' anno novel le ferree porte Giano bifronte.
Parea che pace ai bellicosi regni
Ormai recasse il sospirato ulivo,
È l'egida a depor pronto e gli sdegni Parea Gradivo.
Ma insultatrice della sorte Ibéra
L' aspra Albione il comun voto infrange; Ed oppressa in Europa opprimer spera I Re del Gange.
Di rigid' avi tralignata erede,
Quali oltraggi or non soffre e quai sciagure, Di un Pitt ligia all' impero, essa che diede Carlo alla scure?
Armi per lei grida il Danubio, e il corno Col congiurato Eridano solleva:
Perfida eccheggia dall' Artoo soggiorno Armi la Neva.
Tuona Clairfait sul Reno, e lo seconda Wurmser canuto: avido ognor, ma invano Di nuovi allor dall' occupata sponda Fugge Giordano.
Ma di Scherer all' armi il pria sì truce Dewins la spiaggia Ligure abbandona, Ed alla fuga del superbo duce Ride Savona.
Provido Colli or rompe, ora declina, Fabio dell' Alpi, il Gallico torrente; Per lui de' Cozj la città regina Timor non sente.
Qual sarà il duce, e qual l'eroe che scegli, Onde sposarne le vittorie al canto, Amabil Dio, che i lucidi capegli Lavi nel Xanto?
Se di perigli e di terror sei vago
E di palme recise in lunga guerra, Giammai di ferità più tetra immago Non diè la terra.
Ma i lauri che sull' Indo a mieter corse Ebro di gloria di Filippo il figlio, E sparso sangue e vasto orror son forse Cari al tuo ciglio?
solo co' Flegréi Giganti
Fiero, e col mostro in val di Pito ucciso, Padre accolsero ognor di gioje e canti Delo ed Anfriso.
Che se da eroe pacifico si spande
Luce più cara agli occhi tuoi; qual mai Eroe del prode Manfredin più grande Sceglier potrai?
Regnan per lui dall' Alpi ardue al Tirreno Fra genti a lituo marzial non use
Di un giovin Tito sottoposte al freno Temi e le Muse.
Pace per esso ai nostri voti arrise,
Nè gli aurei crini, ond' è fra noi sì altera, All' Italica Cerere recise
A lui vincer l' Invidia, i dardi avvezza A trar da inesauribile faretra;
E a me dona, gran Nume, agil vecchiezza Nè senza cetra.
ALL' EGREGIO CANTORE GIOVANNI ANSANI.
Ansani, ond' è che favolosi esempi
Sembrano i fasti dell' antico canto? Nè regna or più, come a quegli aurei tempi,
Qual Timoteo oggimai d' un Alessandro Molce, o raccende i mobili pensieri? O qual ne' molli cor sveglia Terpandro Spirti guerrieri?
Finchè l' arte de' suon quella de' carmi
Segui compagna, e al giusto e al ver soggiacque, Ne' teatri, ne' templi, e fin tra l'armi Semplice piacque.
Ma poichè schiva di promiscue lodi Ambì la gloria d' indiviso regno, E che strana armonía fu de' suoi modi Difficil segno;
Avida allor di popolar fortuna,
E campi intesa ad occupar più vasti, Ostento di ricchezza inopportuna Miseri fasti.
E di sedotti orecchi altera e paga;
Fra l'orgie audaci ed i Lenei clamori, Lasciva emerse, e coglier sol fu vaga Sterili fiori.
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