E da quale è più rupe alta, e romita , Se all' Italia si volta il guardo mio, Tu pur tra le mie dita
Tu gridi meco ai cari amici: Addio. Venti, cui farvi nido
Piacque di grotte e di caverne tali, Qual è tra voi, che fido Metter si voglia questo addio sull' ali, E là volar dove alcun forse siede, Che di me pensa o chiede ? Legge di fato avaro, Che sempre un qualche amaro Sorga di mezzo al dolce in noi mortali ! Ciel sereno non è senza vapori, Onda chiara non è d' altro non mista; E negli umani cori
Cerchi una gioia invan, che non sia trista. Desire antico e bello
Mi conduce a veder per monti e fiumi, Come l'uom sempre è quello Sotto il vario color de' suoi costumi. O soggiorno fedel d' orsi e di lupi, Dure vetuste rupi, Del vostro aspro rigore Date, vi prego, a un core, Che diero a me tenero troppo i Numi, Date di quella neve anco, che suole Seder su voi così ostinata e salda , Da farme scorno al Sole,
Che l'indora coraggi, e non la scalda. Tal su nude io vedea
Candide spalle un biondo crin lucente, Quando d amore ardea Questo mio cor, che l' amistade or sente. Poi la gloria cercai, dorata e bella Ombra di bene anch'ella, Non già in un pien senato, Non per insanguinato Sentier coverto di trafitta gente: Come su questi la cercar macigni Libiche fieri uscite di lor tane, Che laceri e sanguigni
Fer quasi i nidi all' Aquile Romane. Ma fu, fu questa l'Alpe,
Per cui si aperse is calle a Italia e Roma Degli allori di Calpe Il gran Duce African cinto la chioma ?
Qual abete o qual pin fermo e sublime Sovra l' ultime cime Stette del monte: 0 amici, Ecco i piani felici D'Ausonia, che da voi tosto fia doma, Gridando il Duce dalla vinta balza, Stende il sinistro braccio : la visiera Con la man destra s'alza,
E manda lampi dalla faccia nera. Queste, che abbiam salito,
Non son, dicea, non son le balze Alpine, Ma posto il piede ardito Sulle stesse abbiam noi mura Latine. Laste tremar, tremar le spade in mano Veggio d'ogni Romano: Veggio confusi i padri, E le spose e le madri Battersi il petto e lacerarsi il crine. Che resta or più ? Roma spogliar, che tante Spogliò provincie con ingiusta guerra: Ite, e in un solo istante Fate vendetta dell'oppressa terra.
GIOVANNI GHERARDO DE' ROSSI.
FAVOLE. Dori ferita dalle Spine della Rosa, e Coridone. Dalle spine di una rosa
Punta fu la vaga Dori, E con voce dolorosa
Si lagnava fra i pastori. Coridone a quei lamenti
Disse: a che tanto dolore? Ti era forse ignoto, o bella , Che le spine aspre, e pungenti
Son compagne di quel fiore? Al pastore la donzella:
Io pur troppo lo sapea, Ma la rosa, ch' io volea,
Con indegno tradimento Fra le foglie avea celate Quelle punte dispietate, E quando ebbra di contento Mi credea raccorre alfine Una rosa senza spine, Crudelmente mi ferì,
Sì, che iniqua mi tradì. Ancor io, rispose allora
Coridon con un sorriso, Quando vidi il tuo bel viso, E quel guardo, che innamora, Che ogni donna è cruda, e rea, Cara Dori, lo sapea: Ma celar le fiere voglie Di dolcezza tra le foglie Ben sapesti in quel momento Con indegno tradimento. Io credei con folle speme Te pietosa, e bella insieme; Ma di quanto m'ingannai, Cara Dori, tu lo sai: Pure iniqua non ti chiamo, Non mi lagno, e ancora ti amo.
L'Usignuolo, é g’i Uccelli notturni. Un tenero Usignuolo
Rammentando l'antica sua sventura, Sfogava il crudo duolo Con le note soavi a notte oscura, Vicino a quella pianta, Su cui l'augel mesto si posa, e canta, Sorgean gli avanzi di un antico muro, Dirupato abituro Di gufi, di civette, e pipistrelli, Tristi notturni augelli. Quando ascoltaron questi i dolci canti, Dissero: e soffrirem, che a nostro scorno Un augello del giorno Di sue gorghe fra noi tanto si vanti ? Oda i nostri concenti Quest' audace cantore.
Usciro, in così dir, dal muro fuore
E con sibili, strida, urli, e lamenti Mossero intorno sì discorde suono, Che l'Usignuol confuso, e sbigottito, Lasciato l' arboscello in abbandono,
Sen volò ad altro lito. Quando partir lo videro
Ebbri furon di gloria Quei brutti augelli striduli, E cantando vittoria , Ripeteano fra loro: Vedeste come l'augellin canoro, Appena udita la nostra canzone,
Colla fuga ne schiva il paragone? Sempre ignoranza audace
Giudica in suo favore. Se di uno stolto ai detti il saggio tace, E dal disprezzo quel silenzio nasce, Colui lo crede figlio del timore.
Amore agricoltore.
EPIGRAMMA. Univa al giogo due colombe Amore,
Novello agricoltore; Era vomere il dardo, e del terreno Fendea col dardo il seno. Amor, gli dissi, nei lavori tuoi Per compagno mi vuoi? Sì, mi rispose il Fanciulletto infido, I semi, che alla terra ora confido, Tu, venendomi accanto, Inaffiar puoi col pianto.
MADRIGALE,
alla Primavera. Amica Primavera De' tuoi piacer la schiera Dura, è ver, brevi giorni, Ma ogni anno a noi ritorni; In tutto a te simile Dell' età nell'Aprile Fù la mia gioventù, Ma oh Dio? fuggita, non ritorna più.
EPIGRAMMA,
la Primavera. Amor volea schernir la Primavera Sulla breve durata e passeggiera Dei vaghi fiori suoi; Ma la bella Stagione a lui rispose: - Forse i piaceri tuoi Vita più lunga avran delle mie rose? –
CANZONETTA, l'Anticamera d'Amore.
ANACREONTICA. Udïenza solenne Amore un giorno tenne. Il regolar l'ingresso Fu al Capriccio commesso, Che senza aver rispetti A chi più merto avea, Gli amici prediletti Al Nume introducea. Entraro il Riso e il Gioco, Ma si trattenner poco. Con Amore assai più Parlò la Gioventù. Fu la Bellezza udita, Ma colle Grazie unita.
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