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IV. 1

Voi, che portate la sembianza umile,
Cogli occhi bassi mostrando dolore,
Onde venite, che 'l vostro colore
Par divenuto di pietà simile?
Vedeste voi nostra donna gentile

Bagnata il viso di pianto d'amore?
Ditelmi, donne, chè mel dice il core,
Perch' io vi veggio andar senz' atto vile.
E se venite da tanta pietate,

Piacciavi di ristar qui meco alquanto,

E checchè sia di lei, nol mi celate:

Ch' io veggio gli occhi vostri c' hanno pianto,
E veggovi venir sì sfigurate,

Che cor mi trema di vederne tanto.

V. 2

Tanto gentile e tanto onesta pare

La donna mia, quand' ella altrui saluta,
Ch' ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non ardiscon di guardare.
Ella sen va, sentendosi laudare,

Benignamente d'umiltà vestuta,

E par che sia una cosa venuta

Da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,

Che dà per gli occhi una dolcezza al cuore,
Che intender non la può chi non la prova.

E par che della sua labbia si mova

Uno spirto soave e pien d' amore,
Che va dicendo a l' anima: sospira.

'Morto Folco Portinari, il genitore di Beatrice, e lasciata in lacrime ed in singulti la sua dolentissima figlia, molte donne si portarono alla casa del trapassato compiere gli estremi ufficii di tristezza. Nel mentre che quelle sen ritornavano, furono per via incontrate da Dante.

2 Questo sonetto è il migliore di quanti se n' abbia il Parnaso italiano. Fu scritto da Dante nella sua gioventù quando appena potea contare cinque lustri d' età.

VI.

Vede perfettamente ogni salute

Chi la mia donna tra le donne vede :
Quelle, che van con lei, sono tenute
Di bella grazia a Dio render mercede.
E sua beltate è di tanta virtute,

Che nulla invidia all' altre ne procede,
Anzi le face andar seco vestute
Di gentilezza, d' amore e di fede.
La vista sua face ogni cosa umile,

E non fa sola sè parer piacente,
Ma ciascuna per lei riceve onore.
Ed è negli atti suoi tanto gentile,

Che nessun la si può recare a mente,
Che non sospiri in dolcezza d'amore.

VII. 1

Deh peregrini, che pensosi andate
Forse di cosa, che non v' è presente.
Venite voi di sì lontana gente,
Come alla vista voi ne dimostrate?
Chè non piangete, quando voi passate
Per lo suo mezzo la città dolente,
Come quelle persone, che neente
Par che intendesser la sua gravitate.
Se voi restate per voler udire,

Certo lo core ne' sospir mi dice,
Che lagrimando n' uscirete pui.

Ella ha perduto la sua Beatrice;

E le parole, ch' uom di lei può dire,
Hanno vertù di far piangere altrui.

1 Avendo Dante veduto alcuni pellegrini passare dinanzi alla casa

della già morta Beatrice, scrisse il presente sonetto.

VIII. 1

Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi,
Per novella pietà che il cor mi strugge,
Per lei ti priego, che da te non fugge,
Signor, che tu di tal piacer gli svaghi;
Con la tua dritta man cioè che paghi

Chi la giustizia uccide, e poi rifugge
Al gran tiranno, del cui tosco sugge,

Ch' egli ha già sparto, e vuol che 'l mondo allaghi. E messo ha di paura tanto gelo

Nel cuor de' tuoi fedei, che ciascun tace:

Ma tu, fuoco d' amor, lume del cielo,

Questa virtù, che nuda e fredda giace,
Levala su vestita del tuo velo;

Chè senza lei non è qui in terra pace.

IX. 2

Io mi credea del tutto esser partito
Da queste vostre rime, messer Cino;
Chè si conviene omai alto cammino
Alla mia nave, già lunge dal lito:
Ma perch' i ho di voi più volte udito,
Che pigliar vi lasciate ad ogni uncino,
Piacemi di prestare un pocolino
A questa penna lo stancato dito.
Chi s' innamora (siccome voi fate)

E ad ogni piacer si lega e scioglie,
Mostra ch' Amor leggiermente il saetti:
Se'l vostro cuor si piega in tante voglie,
Per Dio vi prego che voi 'l correggiate,
Si che s' accordi i fatti a' dolci detti.

Par composto alle prime ingiustizie da Bonifazio commesse contro de' Bianchi fiorentini, uno de' quali era Dante.

Il Signore invocato è l'amor divino;

La donna che da tal signore non si scompagna mai, la sapienza;
Chi uccideva la giustizia era (a giudicio di Dante) il papa;

Il gran tiranno il re di Francia;

Il tossico sparso da lui, l' avarizia;

Il velo, onde il Poeta voleva vestita la giustizia è la carità.

2 Diretto all' amico suo Cino da Pistoja per riprenderlo della sua volubilità e leggerezza in fatto d' amori: e questi replicò gli con un altro sonetto, che incomincia: Poich' io fui Dante dal natal mio sito. Vedi p. 42.

X. 1

Due donne in cima della mente mia
Venute sono a ragionar d' amore:
L'una ha in sè cortesia e valore,
Prudenza ed onestate in compagnia.
L'altra ha bellezza e vaga leggiadria,
E adorna gentilezza le fa onore.
Ed io, mercè del dolce mio signore,
Stommene a piè della lor signoria.
Parlan bellezza e virtù all' intelletto,

E fan quistion, come un cuor puote stare
Infra due donne con amor perfetto.
Risponde il fonte del gentil parlare:

Che amar si può bellezza per diletto,
E amar puossi virtù per alto oprare.

XI. 2

Nulla mi parrà mai più crudel cosa,
Che lei, per cui servir la vita smago 3.
Chè 'l suo desire in congelato lago,
E in fuoco d' amore il mio si posa.
Di così dispietata o disdegnosa

La gran bellezza di veder m' appago;
E tanto son del mio tormento vago,
Ch' altro piacere agli occhi miei non osa.
Nè quella, ch' a veder lo Sol si gira,

E' non mutato amor mutata serba,
Ebbe quant' io giammai fortuna acerba:
Onde, quando giammai questa superba

Non vinca; Amor, fin che la vita spira,
Alquanto per pietà con me sospira.

Parla il Dante delle due femmine, cioè l' una Beatrice, l' altra la filosofia, delle quali fu acceso.

2 La donna di cui qui parla il Poeta, è la filosofia; ed ei la chiama disdegnosa e crudele perchè eragli duro e malagevole 1' entrare addentro nelle sentenze di lei. smarrire, perdere.

BALLATA.

Deh nuvoletta, che in ombra d' Amore
Negli occhi miei di subito apparisti,
Abbi pietà del cor che tu feristi,
Che spera in te, e desiando muore.
Tu, nuvoletta, in forma più che umana,
Foco mettesti dentro alla mia mente
Col tuo parlar ch' ancide,

Poi con atto di spirito cocente
Creasti speme,

che 'n parte m' è sana:

Laddove tu mi ride,

Deh non guardare perchè a lei mi fide,

Ma drizza gli occhi al gran disio che m' arde;
Chè mille donne già, per esser tarde,
Sentito han pena dell' altrui dolore.

CANZONI.

I. 1

Morte, poich' io non truovo a cui mi doglia,
Nè cui pietà per me muova sospiri,

Ove ch' io miri, o in qual parte ch' io sia;
E perchè tu se' quella, che mi spoglia
D'ogni baldanza, e vesti di martìri;
E per me giri ogni fortuna ria;
Perchè tu, Morte, puoi la vita mia
Povera e ricca far, come a te piace,
A te conven ch' io drizzi la mia face,
Dipinta in guisa di persona morta.
Io vegno a te, come a persona pia,
Piangendo, Morte, quella dolce pace,
Che 1 colpo tuo mi tolle, se disface
La donna, che con seco il mio cor porta,
Quella ch'è d'ogni ben la vera porta.
Morte, qual sia la pace che mi tolli,

Perchè dinanzi a te piangendo vegno,
Qui non l'assegno; chè veder lo puoi,
Se guardi agli occhi miei di pianto molli;
Se guardi alla pietà ch' ivi entro tegno;

1 Apparisce dettata nel tempo della mortale malattia di Beatrice. Alla Morte dirige le sue parole il Dante perchè vuol far prova d' ammansarla.

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