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Dolesi l' una con parole molto,
E 'n sulla man si posa

Come succisa rosa:

Il nudo braccio, di dolor colonna,
Sente lo raggio che cade dal volto:
L'altra man tiene ascosa

La faccia lagrimosa;

Discinta e scalza, e sol di sè par donna.
Come Amor prima per la rotta gonna
La vide in parte, che il tacere è bello,
Egli, pietoso e fello,

Di lei e del dolor fece dimanda.

Oh di pochi vivanda

(Rispose in voce con sospiri mista)
Nostra natura qui a te ci manda.

Io, che son la più trista,

Son suora alla tua madre, e son Drittura; Povera, vedi, a panni ed a cintura. Poichè fatta si fu palese e conta,

Doglia e vergogna prese

Lo mio signore, e chiese

Chi fosser l' altre due ch' eran con lei.
E questa, ch' era di pianger sì pronta,
Tosto che lui intese,

Più nel dolor s' accese,

Dicendo: Or non ti duol degli occhi miei?
Poi cominciò: Siccome saper dei,

Di fonte nasce Nilo picciol fiume:

Ivi, dove 'l gran lume

Toglie alla terra del vinco la fronda,

Sovra la vergin onda

Generai io costei, che m' è da lato,

E che s' asciuga con la treccia bionda.

Questo mio bel portato,

Mirando sè nella chiara fontana,
Generò quella che m' è più lontana.

Fenno i sospiri Amore un poco tardo;
E poi con gli occhi molli,

Che prima furon folli,
Salutò le germane sconsolate.

E poichè prese l' uno e l'altro dardo,
Disse: Drizzate i colli:

Ecco l'armi ch' io volli;

Per non l' usar, le vedete turbate.

Larghezza e Temperanza, e l' altre nate
Del nostro sangue mendicando vanno.
Però, se questo è danno,

Pianganlo gli occhi, e dolgasi la bocca
Degli uomini a cui tocca,

Che sono a' raggi di cotal ciel giunti;
Non noi, che semo dell' eterna rocca:
Chè, se noi siamo or punti,

Noi pur saremo, e pur troverem gente,
Che questo dardo farà star lucente.
Ed io che ascolto nel parlar divino
Consolarsi e dolersi

Così altri dispersi,

L'esilio, che m' è dato, onor mi tegno:
E se giudizio, o forza di destino,
Vuol pur che il mondo versi

I bianchi fiori in persi,

Cader tra' buoni è pur di lode degno.
E se non che degli occhi miei'l bel segno
Per lontananza m' è tolto dal viso,

Che m' have in fuoco miso,

Lieve mi conterei ciò che m' è grave.
Ma questo foco m' have

Già consumato sì l'ossa e la polpa,

Che morte al petto m' ha posto la chiave:
Onde s' io ebbi colpa,

Più lune ha volto il Sol, poichè fu spenta;
Se colpa muore purchè l' uom si penta.
Canzone; a' panni tuoi non ponga uom mano,
Per veder quel che bella donna chiude:
Bastin le parti nude:

Lo dolce pomo a tutta gente niega,

Per cui ciascun man piega.

E s'egli avvien che tu mai alcun truovi
Amico di virtù, e quel ten priega,

Fatti di color nuovi:

Poi gli si mostra; e 'l fior, ch'è bel di fuori,

Fa desiar negli amorosi cuori.

CINO DA PISTOJA.

1270-1336.

BALLATA.

Li più begli occhi che lucesser mai,, Oimè lasso! lasciai:

Ancider mi dovea quando il pensai.

Ben mi dovea ancider io stesso,
Come fe, Dido quando quell' Enea
Le lasciò tanto amore;

Ch' era presente, e fecimi lontano
Da quella gioia, che più mi diletta
Che nulla creatura.

Partirsi da così bello splendore!
Dov' io tanto fallai,

Che non è colpa da passar per guai.

Oimè più bella d' ogni altra figura,, Perchè tanto peccai,

Che nulla pena mi tormenta assai?

SONETTI.

Onde ne vieni, Amor, così soave
Con il tuo spirto dolce che conforta
L' anima mia, ched è quasi che morta,
Tanto l'è stata la partenza grave?
Vien tu da quella che lo mio cor have?
Dillomi, che la mente se n' è accorta:
Per quella fè che lo mio cor ti porta,
Di' se di me membranza le recave.
Mercè, Amor, fai; che confortar mi vuoi.
Tu vita e morte, tu pena e tu gioia
Mi dai; e, come signor, far lo puoi.
Ma, ora che 'l partir m' è mortal noia,
Per Dio, che non mi facci come suoi:
Fammi presente, se non vuoi ch' io moia.

Questa donna, ch' andar mi fa pensoso,
Porta nel viso la virtù d' Amore,

La qual fa risvegliare altrui nel core
Lo spirito gentil, che v' era ascoso.
Ella m' ha fatto tanto pauroso,

Poscia ch' io vidi quel dolce signore

Negli occhi suoi con tutto il suo valore,
Ch' io le vo presso, e riguardar non l'oso.
E quando avvien che que' begli occhi miri,
Io veggio in quella parte la salute,
Ove lo mio intelletto non può gire.
Allor si strugge sì la mia virtute,

Che l'alma, onde si muovono i sospiri,
S'acconcia per voler dal cor partire.

Lo fin piacer di quell' adorno viso

Compose il dardo, che gli occhi lanciaro
Dentro dallo mio cor quando giraro
Ver me, che sua beltà guardava fiso.
Allor senti' lo spirito diviso

Da quelle membra, che se ne turbaro;
E quei sospiri, che di fuori andaro,
Dicean piangendo, che 'l core era anciso.
Lasso! dipoi mi pianse ogni pensiero

Nella mente dogliosa, che mi mostra Sempre davanti lo suo gran valore, Ivi un di loro in questo modo al core Dice: Pietà non è la virtù nostra Che tu la truovi: e però mi dispero.

Sta nel piacer della mia donna Amore,
Com' in Sol raggio, e in ciel lucida stella,
Che nel muover degli occhi poggia al core
Sì, ch' ogni spirto si smarisce in quella:
Soffrir non ponno gli occhi lo splendore,
Nè il cor può trovar loco, tanto è bella,
Che 'l sbatte fuor, tal ch' ei sente dolore:
Quivi si prova chi di lei favella.

Ridendo par che s' allegri ogni loco,
Per via passando; angelico diporto,
Nobil negli atti, ed umil ne' sembianti;
Tutt' amorosa di sollazzo e gioco,

E saggia nel parlar; vita e conforto,
Gioia e diletto a chi le sta davanti.

A DANTE ALIGHIERI.

Poich' io fui, Dante, dal mio natal sito
Per greve essilio fatto peregrino
E lontanato dal piacer più fino
Che mai formasse 'l piacer infinito;
Io son piangendo per lo mondo gito,
Sdegnato del morir come meschino:
E se trovat' ho di lui alcun vicino,
Dett' ho che questo m' ha lo cor ferito.
Nè dalle prime braccia dispietate

Nè dal fermato sperar che m' assolve
Son mosso, perchè aita non aspetti.
Un piacer sempre mi lega e dissolve,
Nel qual convien che a simil di biltate
Con molte donne sparte mi diletti.

CANZONI.

I.

La dolce vista e 'l bel guardo soave
De' più begli occhi che si vider mai,
Ch'' ho perduto, mi fa parer grave
La vita sì ch' io vo traendo guai;
E 'n vece di pensier leggiadri e gai
Ch' aver solea d'amore,
Porto desii nel core

Che nati son di morte,

Per la partita che mi duol sì forte.

Ohimè! deh perchè, Amor, al primo passo Non mi feristi sì ch' io fussi morto? Perchè non dipartisti da me, lasso!

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