Lo spirito angoscioso ched io porto ? Amor al mio dolor non è conforto: Anzi, quanto più guardo, Al sospirar più ardo, Trovandomi partuto
Da 'quei begli occhi ovio t ho già veduto. O t'ho veduto in quei begli occhi, Amore,
Tal che la rimembranza me n' occide E fa sì grande schiera di dolore Dentro alla mente, che l'anima stride Sol perchè morte mai non la divide Da me; come diviso Mi trovo dal bel viso E d'ogni stato allegro,
Pel gran contrario ch'è tra 'l bianco e 'l negro. Quando per gentil atto di salute
Ver bella donna levo gli occhi alquanto, Sì tutta si disvia la mia virtute, Che dentro ritener non posso ''l pianto, Membrando di madonna, a cui son tanto Lontan di veder lei. 0 dolenti occhi miei, Non morite di doglia ?
Sì per vostro voler, pur che Amor voglia. Amor, la mia ventura è troppo cruda, .
E ciò che 'ncontran gli occhi più m'attrista: Dunque, mercè! che la tua man li chiuda, Da c'ho perduto l' amorosa vista; E quando vita per morte s' acquista, Gli è gioioso il morire: Tu sai dove dè' gire Lo spirto mio da poi,
E sai quanta pietà sarà di noi. Amor, ad esser micidial pietoso
T invita il mio tormento: Secondo cho talento. Dammi di morte gioia, Si che lo spirto al men torni a Pistoja.
II. Oimè lasso! quelle treccie bionde,
Dalle quai rilucieno D'aureo color gli poggi d' ogn’ intorno; Oimè! la bella cera, e le dolci onde, Che nel cor mi sedieno, Di que' begli occhi al ben segnato giorno; Oimè! 'l fresco ed adorno E rilucente viso; Oimè! lo dolce riso, Per lo qual si vedea la bianca neve Fra le rose vermiglie d' ogni tempo; Oimè! senza meve 2
Morte, perchè 'l togliesti sì per tempo ? Oimè! caro diporto e bel contegno;
Oimè! dolce accoglienza, Ed accorto intelletto e ben pensato; Oimè! 'l bello, umíle, alto disdegno, Che mi crescea l'intenza D' odiar lo vile e d'amar l' alto stato; Oimè! 'l disio nato Di sì bella creanza; Oimè! quella speranza, Ch' ogni altra mi facea veder addietro, E lieve mi rendea d'Amor lo peso; Oimè! rotto hai qual vetro,
Morte, che vivo m’hai morto ed impeso! Oimè! donna, d'ogni virtù donna,
Dea, per cui d'ogni dea, Siccome volse Amor, feci rifiuto; Oimè! di che pietra qual colonna In tutto 'l mondo avea, Che fosse degna in aere darti aiuto? Oimè! vasel compiuto Di ben sopra natura Per volta di ventura Condotto fosti suso gli aspri monti, Dove t'ha chiuso, ohime! fra duri sassi La Morte, che due fonti Fatto ha di lagrimar gli occhi miei lassi.
La donna della quale qui si piange la perdita, è Selvaggia Vergiolesi, l' amorosa di Cino. 2 senza me.
Oimè! Morte, finchè non ti scolpa,
Dimmi almen per gli tristi occhi miei, Se tua man non mi spolpa, Finir non deggio di chiamar omei? 1
SONETTO
IN MORTE DI CINO DA PISTOJA Piangete, donne, e con voi pianga Amore;
Piangete, amanti, per ciascun paese; Poi che morto è colui che tutto intese
In farvi, mentre visse al mondo, onore. Io per me prego il mio acerbo dolore
Non sian da lui le lagrime contese, E mi sia di sospir tanto cortese
Quanto bisogna a disfogare il core. Piangan le rime ancor, piangano i versi,
Perchè 'l nostro amoroso messer Cino
Novellamente si è da noi partito. Pianga Pistoia e i cittadin perversi,
Che perdut' hanno sì dolce vicino; E rallegres' il Cielo ov ello è gito.
SONETTI IN VITA DI MADONNA LAURA.
Mille fiate, o dolce mia guerrera,
Per aver co’ begli occhi vostri pace, V' aggio profferto il cor; ma a voi non piace
Mirar sì basso con la mente altera : E se di lui fors' altra donna spera,
Vive in speranza debile e fallace: Mio, perchè sdegno ciò ch' a voi dispiace, Esser non può giammai così com'era.
llamenti, esclamazioni di dolore.
Or s' io lo scaccio, ed e' non trova in voi
Nell' esilio infelice alcun soccorso,
Nè sa star sol, nè gire ov' altri 'l chiama Poria smarrire il suo natural corso;
Che grave colpa fia d' ambeduo noi, E tanto più di voi, quanto più v ama.
Quel vago impallidir che 'l dolce riso
D' un' amorosa nebbia ricoperse, Con tanta maestade al cor s' offerse,
Che li si fece incontro a mezzo 'l viso. Conobbi allor sì come in paradiso
Vede l'un l'altro; in tal guisa s' aperse Quel pietoso pensier, ch' altri non scerse,
Ma vidil' io, ch'altrove non m'affiso. Ogni angelica vista, ogni atto umile
Che giammai in donna, ovo amor fosse, apparve,
Fora uno sdegno a lato a quel ch' i' dico. Chinava a terra il bel guardo gentile,
E tacendo dicea (com'a me parve): Chi m' allontana il mio fedele amico ?
Ite, caldi sospiri, al freddo core;
Rompete il ghiaccio che pietà contende; E, se prego mortale al Ciel s'intende,
Morte o mercè sia fine al mio dolore. Ite, dolci pensier, parlando fore
Di quello ove 'I bel guardo non s'estende: Se pur sua asprezza o mia stella n' offende,
Sarem fuor di speranza e fuor d' errore. Dir si può ben per voi, non forse appieno,
Che 'l nostro stato è inquieto e fosco,
Siccome il suo pacifico e sereno. Gite securi omai, ch' Amor ven vosco;
E ria fortuna può ben venir meno, S’ ai segni del mio Sol ľaere conosco.
IV. Non dall'ispano Ibero all' indo Idaspe
Ricercando del mar ogni pendice, Nè dal lito vermiglio all' onde caspe,
Nè ’n ciel nè 'n terra è più d'una fenice. Qual destro corvo o qual manca cornice
Canti 'l mio fato ? o qual Parca l'innaspe? Che sol trovo pietà sorda com' aspe,
Misero onde sperava esser felice: Ch' i' non vo' dir di lei; ma chi la scorge,
Tutto 'l cor di dolcezza e d' amor ļ empie;
Tanto n'ha seco e tant' altrui ne porge: E per far mie dolcezze amare ed empie,
O s' infinge o non cura o non si accorge Del fiorir queste innanzi tempo tempie.
Qual paura ho quando mi torna a mente
Quel giorno ch' i' lasciai grave e pensosa Madonna e 'l mio cor seco! e non è cosa
Che si volentier pensi e sì sovente. I' la riveggio starsi umilemente
Tra belle donne, a guisa d'una rosa Tra minor fior; nè lieta nè dogliosa,
Come chi teme, ed altro mal non sente. Deposta avea l' usata leggiadria,
Le perle e le ghirlande e i panni allegri
E 'I riso e 'l canto e 'l parlar dolce umano. Così in dubbio lasciai la vita mia:
Or tristi augurii e sogni e pensier negri Mi danno assalto; e piaccia a Dio che 'n vano.
SONETTI IN MORTE DI MADONNA LAURA.
I. Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,
Oimè il leggiadro portamento altero, Oimè 'l parlar ch' ogni aspro ingegno e fero Faceva umile, ed ogni uom vil, gagliardo;
« IndietroContinua » |