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Ed oimè il dolce riso ond' uscio 'l dardo
Di che morte, altro bene omai non spero;
Alma real, dignissima d' impero,

Se non fossi fra noi scesa si tardo;
Per voi conven ch' io arda e 'n voi respire:
Ch'i' pur fui vostro; e se di voi son privo,
Via men d'ogni sventura altra mi dole.
Di speranza m' empieste e di desire

Quand' io parti' dal sommo piacer vivo;
Ma 'l vento ne portava le parole.

II.

Poichè la vista angelica serena,

Per subita partenza, in gran dolore

Lasciato ha l' alma e 'n tenebroso orrore, Cerco, parlando, d' allentar mia pena. Giusto duol certo a lamentar mi mena:

Sassel chi n' è cagion, e sallo Amore; Ch' altro rimedio non avea 'l mio core Contra i fastidi onde la vita è piena. Quest' un, Morte, m' ha tolto la tua mano: E tu che copri e guardi ed hai or teco, Felice terra, quel bel viso umano;

Me dove lasci, sconsolato e cieco,

Poscia che 'l dolce ed amoroso e piano
Lume degli occhi miei non è più meco?

III.

Se lamentar augelli, o verdi fronde
Mover soavemente a l'aura estiva,
O roco mormorar di lucid' onde
S'ode d' una fiorita e fresca riva,
Là 'v' io seggia d' amor pensoso, e scriva;
Lei che Ciel ne mostrò, terra n' asconde,
Veggio ed odo ed intendo, ch' ancor viva
Di sì lontano a' sospir miei risponde.

Deh perchè innanzi tempo ti consume?
Mi dice con pietate: a che pur versi
Degli occhi tristi un doloroso fiume?
Di me non pianger tu; ch' e' miei dì fersi,
Morendo, eterni; e nell' eterno lume,
Quando mostrai di chiuder, gli occhi apersi.

IV.

Nè mai pietosa madre al caro figlio,
Nè donna accesa al suo sposo diletto
Diè con tanti sospir, con tal sospetto
In dubbio stato si fedel consiglio;
Come a me quella che 'l mio grave esiglio
Mirando dal suo eterno alto ricetto,
Spesso a me torna con l'usato affetto;
E di doppia pietate ornata il ciglio,
Or di madre or d'amante: or teme or arde
D' onesto foco; e nel parlar mi mostra
Quel che 'n questo viaggio fugga o segua,
Contando i casi della vita nostra,

Pregando ch' a levar l' alma non tarde:
E sol quant' ella parla ho pace o tregua.

V.

Levommi il mio pensier in parte ov' era
Quella ch' io cerco e non ritrovo in terra.
Ivi, fra lor che 'l terzo cerchio serra,
La rividi più bella e meno altera.
Per man mi prese e disse: in questa spera
Sarai ancor meco, se 'l desir non erra:
I' son colei che ti die' tanta guerra,
E compie' mia giornata innanzi sera.
Mio ben non cape in intelletto umano:

Te solo aspetto, e, quel che tanto amasti,
E laggiuso è rimaso, il mio bel velo.
Deh perchè tacque ed allargò la mano?
Ch' al suon de' detti sì pietosi e casti
Poco mancò ch' io non rimasi in cielo.

ANTOLOGIA.

4

CANZONI.

IN VITA DI MADONNA LAURA.

Canzoni degli Occhi.

Perchè la vita è breve

I.

E l'ingegno paventa all' alta impresa,
Nè di lui nè di lei molto mi fido;
Ma spero che sia intesa

Là dov' io bramo e là dov' esser deve
La doglia mia, la qual tacendo i' grido.
Occhi leggiadri, dov' Amor fa nido,
A voi rivolgo il mio debile stile

Pigro da sè, ma 'l gran piacer lo sprona;
E chi di voi ragiona,

Tien dal suggetto un abito gentile,
Che con l' ale amorose

Levando, il parte d' ogni pensier vile. Con queste alzato vengo a dire or cose C'ho portate nel cor gran tempo ascose. Non perch' io non m'avveggia

Quanto mia laude è ingiuriosa a voi;
Ma contrastar non posso al gran desio
Lo quale è in me dappoi

Ch'i' vidi quel che pensier non pareggia,
Non che l'agguagli altrui parlar o mio.
Principio del mio dolce stato rio,

Altri che voi so ben che non m' intende.
Quando agli ardenti rai neve divegno,
Vostro gentile sdegno

Forse ch' allor mia indegnitate offende.
O, se questa temenza

Non temprasse l' arsura che m' incende,
Beato venir men! che 'n lor presenza
M'è più caro il morir, che 'l viver senza.

Dunque, ch' i' non mi sfaccia,

Si frale oggetto a sì possente foco,
Non è proprio valor che me ne scampi:
Ma la paura un poco,

Che 'l sangue vago per le vene agghiaccia,
Risalda 'l cor, perchè più tempo avvampi.

O poggi, o valli, o fiumi, o selve, o campi,
O testimon della mia grave vita,

Quante volte m' udiste chiamar Morte!
Ahi dolorosa sorte!

Lo star mi strugge, e 'l fuggir non m' aita.
Ma, se maggior paura

Non m' affrenasse, via corta e spedita
Trarrebbe a fin quest' aspra pena e dura:
E la colpa è di tal che non ha cura.
Dolor, perchè mi meni

Fuor di cammin a dir quel ch'i' non voglio?
Sostien ch' io vada ove 'l piacer mi spigne.
Già di voi non mi doglio,

Occhi sopra 'l mortal corso sereni,
Nè di lui ch' a tal nodo mi distrigne.
Vedete ben quanti color dipigne

Amor sovente in mezzo del mio volto,
E potrete pensar qual dentro fammi,
Là 've dì e notte stammi

Addosso col poder c' ha in voi raccolto,
Luci beate e liete;

Se non che 'l veder voi stesse v' è tolto:
Ma quante volte a me vi rivolgete,
Conoscete in altrui quel che voi siete.
S'a voi fosse sì nota

La divina incredibile bellezza

Di ch' io ragiono, come a chi la mira,
Misurata allegrezza

Non avria 'l cor; però forse è remota
Dal vigor natural che v' apre e gira.
Felice l'alma che per voi sospira,
Lumi del ciel; per li quali io ringrazio
La vita che per altro non m' è a grado.
Oimè, perchè sì rado

Mi date quel, dond' io mai non son sazio?
Perchè non più sovente

Mirate qual Amor di me fa strazio?

E perchè mi spogliate immantinente

Del ben che ad ora ad or l'anima sente?

Dico ch' ad ora ad ora

(Vostra mercede) i' sento in mezzo l'alma
Una dolcezza inusitata e nova,

La qual ogni altra salma

Di noiosi pensier disgombra allora,

Sì che di mille un sol vi si ritrova.

Quel tanto a me, non più, del viver giova.
E se questo mio ben durasse alquanto,

Nullo stato agguagliarse al mio potrebbe:
Ma forse altrui farebbe

Invido, e me superbo l'onor tanto:
Però, lasso, conviensi

Che l'estremo del riso assaglia il pianto:
E 'nterrompendo quelli spirti accensi,
A me ritorni, e di me stesso pensi.
L'amoroso pensiero

Ch' alberga dentro, in voi mi si discopre
Tal, che mi trae del cor ogni altra gioia:
Onde parole ed opre

Escon di me sì fatte allor, ch' i' spero
Farmi immortal, perchè la carne moia;
Fugge al vostro apparir angoscia e noia ;
E nel vostro partir tornano insieme:
Ma perchè la memoria innamorata
Chiude lor poi l'entrata,

Di là non vanno dalle parti estreme.
Onde s' alcun bel frutto

Nasce di me, da voi vien prima il seme.
Io per me son quasi un terreno asciutto,
Colto da voi; e 'l pregio è vostro in tutto.
Canzon, tu non m' acqueti, anzi m' infiammi
A dir di quel ch' a me stesso m' invola:
Però sia certa di non esser sola.

II.

Gentil mia Donna, i' veggio

Nel mover de' vostr' occhi un dolce lume
Che mi mostra la via ch' al Ciel conduce;
E per lungo costume,

Dentro là dove sol con Amor seggio

Quasi visibilmente il cor traluce.

Quest' è la vista ch' a ben far m' induce,
E che mi scorge al glorioso fine;
Questa sola dal vulgo m' allontana:
Nè giammai lingua umana

Contar poria quel che le sue divine
Luci sentir mi fanno,

E quando il verno sparge le pruine,
E quando poi ringiovenisce l'anno,
Qual era al tempo del mio primo affanno.

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