Arda di dolcezza il core: Quel ch' ha esser, convien sia: Di doman non vi è certezza. Quant'è bella giovinezza, SONETTI. Lasso a me, quand' io son là, dove sia Ch' io prendo ardire, e torna il valor tolto; O chiara stella, che co' raggi tuoi Togli all' altre vicine stelle il lume, Che di splendor novello adorni il cielo, Leva dello splendor tuo tanto via, Ch' agli occhi ch'han d'eterno pianto zelo, Il cor mio lasso, in mezzo all' angoscioso Pur v' ha creati chi vi parla, e mira: Facciam de' modi, e della sua bellezza MATTEO MARIA BOIARDO. 1430-1494. SONETTO. Il canto degli augei di fronda in fronda, E lo schiarir de' lucidi liquori, L'aria, la terra è già ripiena, e l' onda. Dovunque i passi move, e gira il viso Fiammeggia un spirto sì vivo d'amore, Al suo dolce guardare, al dolce riso L'erba vien verde, e colorito il fiore: ANGELO POLIZIANO. 1454-1494. CANZONE. Monti, valli, antri, e colli Pien di fior, frondi, ed erba, Verdi campagne, ombrosi, e folti boschi: Fà la mia pena acerba, Struggendo gli occhi nebulosi, e foschi: Mio spietato dolore, Si dolce meco piagni: Augel, che n' accompagni, Ove con noi si duol, cantando, Amore: Fiere, Ninfe, aer', e venti, Udite il suon de' tristi miei lamenti. Già sette, e sette volte Mostra la bella Aurora Cinta di gemme oriental sua fronte: Le corna ha già raccolte Delia, mentre dimora Con Teti il fratel suo dentro il gran fonte, Da che il superbo monte Non segnò il bianco piede Di quella Donna altera, Che 'n dolce primavera Converte ciò, che tocca, aombra, o vede: Quì i fior, quì l'erba nasce Da' suoi begli occhi, e poi da' miei si pasce. Pascesi del mio pianto Ogni foglietta lieta, E vanne il fiume più superbo in vista: Ahimè, deh perchè tanto Quel volto a noi si vieta, Che queta il Ciel, qual' or più si contrista? Giù per l'ombrose valli I bianchi, e rossi fior, gli azzurri, e gialli, S' egli è che 'n questi boschi pietà regni. Amor, qui la vedemo Sotto le fresche fronde Del vecchio faggio umilmente posarsi, Del rimembrar ne tremo. Facean' i bei crin d' oro al vento sparsi? Quando di fiori un nembo Vedea rider' intorno (0 benedetto giorno) E pien di rose l'amoroso grembo! Ritral tu, Amor: ch' i' per me n' ho pavento. I' tenea gli occhi intesi, Ammirando, qual suole Cervetto in fonte vagheggiar sua imago, Gli atti, volto, e parole, El canto, che facea di se il ciel vago, Ch' arder farebbe i sassi, Che fa per questa selva Mansueta ogni belva, E star l'acque correnti. Oh s' io trovassi I' non avrei del cielo invidia a Giove. Fresco ruscel tremante, Ove 'l bel piede scalzo Bagnar le piacque, o quanto sei felice! E voi, ramose piante, Che 'n questo alpestro balzo D' umor pascete l' antica radice, Fra quai la mia Beatrice Sola talor sen viene! Ahi quanta invidia t' aggio, Alto, e muschioso faggio, Che sei stato degnato a tanto bene! Ben de' 2 lieta godersi L' aura, ch' accolse i suoi celesti versi. L' aura i bei versi accolse, E in grembo a Dio gli pose, Per far goderne tutto il paradiso. Quì i fior, quì l' erba colse, Di questo spin le rose, Quest' aer rasserenò col dolce riso. 1 ritrailo, dipingilo. - 2 deve. Qual dolcezza mi sface? Com' venni in tanta pace? Chi scorta fù? con chi parlo, o ragiono? Che soverchio piacer via caccia l' alma? Selvaggia mia Canzone innamorata, Poichè 'n gio' son conversi i dolor tuoi. SESTINA IRREGOLARE. Udite, selve, mie dolci parole, La bella Ninfa è sorda al mio lamento, Ben si cura l' armento del pastore, La bella Ninfa, che di sasso ha il core, Digli, zampogna mia, come via fugge |