Immagini della pagina
PDF
ePub
[ocr errors]

rebbe da varcare ad un tratto da 100,000 sino ad un milione! Quest' intervallo non per tanto si mostra diviso nella guerra d' Annibale come quello che è al disotto del 100,000 in due classi soltanto (225). Ciò che si può congetturare, si è che in quanto ai cavalieri inscritti l' obbligo di servire a loro spese era circoscritto da una certa misura di fortuna, e ciò pel caso in cui non si avesse potuto assegnare un cavallo, giacchè quelli che non lo potevano avere del proprio erano, tenuti di passare nella fanteria, ed è forse per questo che nel racconto che noi abbiamo fatto dell' universale sollecitudine a riscattarsi dalla vergogna toccata a Veia, si è detto che i cavalieri che avevano il censo, e che non avevano punto di cavallo, s'erano offerti a servire in qualità di cavalieri a proprie spese (226). Ed a questo soltanto si riferisce la tradizione su Lucio Tarquinio, amico del gran Cincinato riputato per valore fra la gioventù romana, e che la sua povertà co strinse a servire a piedi (227). Era necessario il termine di una simile somma, e può essere che in ragione di ciò abbia di tempo in tempo tocchi dei cambiamenti in grazia delle diverse fasi del sistema monetario.

L'opinione dominante che sin dal principio mette i cavalieri in rapporto essenziale di eguaglianza colle grandi ricchezze, facendo assegnar dalla repubblica a tutti cavalli e rendite, non si contenta d'imputare alla legislazione ro◄ mana una assurdità ed una ingiustizia che si mostra anche sorda ad un rilievo formale di Tito Livio cioè che tutti questi carichi sono stati trasferiti dai poveri sui ricchi (208), e questo tien dietro immediatamente a ciò che si disse rispetto ai vantaggi del servizio dei cavalieri. E per verità chi potrebbe affermarci che il ricco patrizio, se aveva la facoltà d'imporsi una dote, avesse generosamente rinunciato

[ocr errors]

a goderne, onde ne profittasse il povero del suo rango? E in quanto ai plebei quand' anche Servio gli avesse assicurato il medesimo diritto, credo che saranno corse molte generazioni prima che se ne facesse un' applicazione. Ma questa dotazione era probabilmente in origine una parte dei privilegi del patriziato; ed il senso non dubbio di un indizio che ci è dato da Cicerone secondo il quale questa dote procedeva da Lucio Tarquinio Prisco, si è che precesse l'istituzione del comune. Ristretta a colui che si trovava senza modi di fortuna fra borghesi suoi eguali che dominavano, questa dotazione non è nè ingiusta nè arrogante.

A giudicare della stima dei buoi e delle pecore nelle amende, dieci mille assi per la compera d'un cavallo costituiscono una somma talmente esagerata, che si diffida dell'esattezza dei numeri. Ma a vero dire non si discorre d'un cavallo comune, e d'altronde anche presso i Romani il cavallo di battaglia doveva avere un pregio non picciolo, senza aggiungere ch' era necessario altresì comperare uno schiavo pel palafraniere il quale dovea essere pur provveduto di cavalcatura. Noi vorremmo sapere se la repubblica reintegrava i cavalli caduti nelle mani dell' inimico? Se il cavalier congedato in ragione dell' età, o gl'eredi del defunto erano tenuti alla restituzinne delle dieci mille assi? È difficile che un felice momento di divinazione fornisca la risposta a queste dimande; ma non vi può però essere errore sul significato dell'ordine dato dai censori per vendere il cavallo: ordine che portava che il membro destituito dovesse rendere alla Repubblica il danaro avuto pel suo equipaggio, sebben dovesse venire ad una vendita per farlo. Nè un altro avrebbe potuto transigere di depositare le dieci mila assi e godere invece di lui l'annua rendita

di due mila, come di una finanza e di un luogo vacabile. Perchè la sentenza di punizione proferita dai censori stette in uso sino agli ultimi istanti della Repubblica, quando da lungo tempo invece di rendita si provvedeva altrui di foraggio e di stipendio. Quest' innovazione era già viva ai tempi di Polibio (229); le iscrizioni sotto gl' imperatori fanno menzione di cavalli dati dallo stato finchè durarono le vecchie istituzioni; ma senza dubbio il significato della cosa avea cangiato di molto (230).

La forma dell'ordine dei cavalieri era indicata dalle antiche centurie, che stettero immutabili sotto il titolo dei sei suffragi e che servirono di tipo alle dodici plebee. Le centurie dei cavalieri non aveano nulla di comune con la forma dell' esercito, e le turmae o squadroni di cavalleria vi sispondevano in nulla, dove all' incontro le classi rappresentavauo un' armata di fanti in tutta armonia coll' ordinamento delle legioni erano truppe da linea ed armi leggiere con altri armati da surrogare oltre i carpentieri e i musicanti con arnesi e bagagli.

Queste forme accomodate così esattamente all' organizzazione militare, erano affatto particolari; non già che in parecchi stati della Grecia gl' opliti e i cittadini godenti della pienezza dei diritti non fossero gli stessi. Nè era più incognito ai Greci il principio per cui Dionigi presuppone assai ragionevolmente che i suffragi accordati ad ogni classe si trovassero rispetto all' universalità dei suffragi nelle stesse condizioni dei beni di fortuna censibili de' suoi membri rispetto alla totalità delle fortune censibili di tutti e cinque, e che il numero dei cittadini contenuto in ciascuna fosse in ragione inversa dei numeri che designavano il loro censo. Aristotile fa menzione di suffragi la di cui efficacia si governava sulle somme delle fortune dei votanti (231).

Roma fu predisposta ad un essere bellicoso più che d'altro dall' aver raccomandato il servizio militare e i diritti di cittadino alla proprietà ereditaria del plebeo; ma niun uomo libero doveva esserne escluso, e si assicurò alle professioni indispensabili all' armata, che però i plebei non potevano esercitare, un' esistenza di corpo, che probabilmente fu più rilevante e più favorevole che non lo sarebbe stato quella degli individui secondo le regole generali del censo delle fortune; ed è per questo che alle cinque classi si aggiunsero delle centurie particolari.

Scipione nel dialogo di Cicerone si schermisce d'entrare nei particolari dell' ordinamento delle centurie di Servio, cosa ben cognita a suoi amici. Mi sarà concesso, senza dubbio, di non tener conto in questo luogo del nodo in cui le 170 centurie erano scompartite in cinque classi. Vi sono però due articoli ch' io non vorrei pretermettere. Il primo si è che i Romani non conobbero che cinque classi, e che Dionigi quando fa una sesta classe di quelli che tenevano meno di 12,500 assi di fortuna, è nel medesimo errore di quando non ammette per essi che una centuria. Il secondo articolo si è che in ricambio, dietro l' egualità della progressione stabilita non vi ha punto dubbio che la sua attestazione rispetto alla fortuna della quinta classe non sia la vera 12,500 assi (1250 dramme) e non quella di Tito Livio 11,000 asși. Non si possono spingere più oltre le indagini per sapere se quest'ultima indicazione procede dall' aver letto Tito Livio in qualche parte che vi era una differenza di 11000 assi fra la quinta classe e i proletari, oppure se nella versione che faceva ammontare la prima classe a 110,000 assi, la quinta figurava per un decimo il che sarebbe la tassa di quella di Dionigi, avuto rispetto alla versione che adotta 125000 assi per la prima classe. Niebuhr T. II. 8 .

[ocr errors]

Però la prima spiegazione è più plausibile; nè credo inu tile l'esaminare come si sia potuto incorrere in un simile errore. Le classi soltanto erano divise in un numero eguale di centurie di più giovani e di più attempati. I primi destinati a combattere sui campi, gli altri alla difesa della città. Chi era costituito nel 45.° anno era compreso in quest'ultima parte (232). La teologia romana insegnava (233) che il termine prefisso dalla natura alla vita umana era dodici fiate dieci anni solari, e che gli Dei medesimi non aveano potere di prorogare oltre questo termine. Essa aggiungeva che il destino avea ristretto la sua durata a tre volte trenta; in fine che la Dea Fortuna abbreviava ancor questo spazio per molte e molte vicissitudini; e si implorava contro essa la protezione degli Dei. Il limite posto fra le due età segna precisamente la metà dello spazio accordato al destino; e siccome secondo Varrone, l'infanzia finiva col quindicesimo anno, la pretesta essendo cangiata nella toga virile alle prime feste di Bacco (234) ne risulta altresì il numero trenta per gli anni del servizio militare, ciò che è il terzo della totalità della vita. Quivi pure i numeri stessi servono di guida sicura e ciò che Aulo Genio riferisce sull' orme di Tuberone, che i veterani (seniores) non si contavano che cominciando dal 46. anno compito, è certamente un errore, per lo meno in quella parte dove si applica alla prima legislazione di Servio (235). Può essere che fin dall' origine l'ultimo termine dell'obbligazione del servizio sia stato designato dalla formola minor annis sex et quadraginta (236). Ma questa formola intendeva colui che non era ancora entrato nel suo 46 anno (257). Io non intendo di negare che in Polibio quest'anno non faccia parte di quelli in cui si è in obbligo del servizio (258); ma questa estensione fu la conseguenza

« IndietroContinua »