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mata, e ricevevano le armi a questo effetto (248). Gli accensi servivano pure d' ordinanza ai capi, discendendo nella Gerarchia sino al decurione (249). Un gran numéro di cotestoro senza dubbio sarà ritornato dalle sue brevi spedizioni senza aver partecipato al combattimento, ma però con qualche preda.

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Così pure gli accensi tenevano l'ultimo grado fra gli assidui, ed i carpentieri aveano il loro posto accanto alla prima classe. Cicerone non conosceva che una sola centuria, e quand' anche senz' altro argomento noi fossimo ridotti a riferirsi a colui che sembrerebbe il testimonio più certo io non esiterei un solo istante nella mia scelta fra lui e gli altri due storici. Ma quivi ancora i rapporti di numero ne sono traccia sicura nel nostro cammino. Parlerò più giù dei comizi ́nei campi ove non convenivano che le centurie dei giuniori, e le cinque aggiunte dei carpentieri degl' accensi, dei velati, dei liticines, dei cornicines fra le quali non si faceva distinzione di sorta in seniores ed in juniores, come non si facea per le centurie dei cavalieri. I giuniori erano di 85 centurie, onde colle cinque aggiunte si costituiva ancora tre volte quel numero trenta che domina nelle più antiche instituzioni. Io credo veramente risolutiva cotesta osservazione, e nel medesimo tempo credo di ritrovare un indizio di più che mi chiarisca la ragione per cui, quand' anche il censo si fosse notabilmente divertito dalla proporzione menzionata di sopra il numero delle centurie nelle classi fu fermato preci

samente a 170.

Secondo Aulo Gellio (250) i proletari nel senso più esatto erano quelli che indicavano per beni di fortuna meno di 1500, più di 375 assí. Quelli che possedevano ancor meno o niente del tutto si chiamavano capite censi ;

ma in un significato più largo, e per contrapposto agl' assidui le due suddivisioni sono comprese sotto il nome di proletari. Se la pagina del manoscritto che continuava a spiegare il sistema delle centurie non si fosse smarrita (251); se questa spiegazione non fosse stata interrotta alla parola proletariis noi leggeremmo formalmente in Cicerone ch'essi costituivano due centurie; cioè i proletarii ed i capite censi. Senza dubbio questa pagina cominciava per le parole capite censis (252). Cicerone numerava 96 centurie per le quattro ultime classi comprendendovi le sei centurie addizionali. Ora si giunge a questo numero se si aggiun gono altri due agli accensi velati, liticines cornicines ; cioè i proletarii ed i capite censi (255). Di modo che sommerebbero in tutto cento novantacinque, somma che ha per se anche un altro rapporto. Siccome le 98 centurie dei cavalieri e della prima classe sono opposte a tutte le altre per l'ammontare del loro suffragio, vi ha luogo a credere che il loro numero fosse di metà più una; ed è ciò che interviene se la più piccola metà si costituisce delle quattro classi inferiori di queste sei centarie e dei carpentieri; in tutto 97. Gli ultimi quantunque aggiunti alla prima classe erano non pertanto di natura ben' aliena all'aristocrazia di nascita e di fortuna (254).

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I proletarii ed i capite censi erano non soltanto in ragione del lor poco rilievo nel diritto di suffragio infe riori ai locupletes, ma la cedevano in capacità civile e per grado di onore a tutti gli assidui. Vi è del buio circa il sapere come un cittadino era vindex rispetto ad un altro, ma un assiduus poteva sol divenirlo per un assiduus e l'espressione locuples testis dinota che le testimonianze stesse facevano una distinzione umiliante pel povero (255). Essendo così non si potrebbe supporre che i proletarii

fossero eleggibili agli impieghi plebei. In iscambio essi era no immuni d'imposte (256).

Le cinque classi erano desse nella medesima serie rispetto all' attitudine degli impieghi? Questo è ciò che non sappiamo per nulla; benchè paia certo tutto quel che si disse della rappresentanza delle classi per via dei tribuni quando il loro nome fu portato a cinque. Per tutto questo vi ha pur luogo di credere che ognuna scegliesse il suo delegato e lo togliesse dal suo próprio seno.

Le somme per cui i plebei e gli aerarii erano inscritti nel censo, non erano punto quelle della lor fortuna come noi l'intendiamo oggidì dove si contano per capitale tutte le rendite suscettibili di successione o d' alienazione; ma non si discorreva che delle rendite della proprietà la più solenne, forse anche ad esclusione di molte specie di proprietà. Ho nominati i plebei è gli aerarii; perchè in quanto ai patrizi non è guari da credersi che da principio abbiano dato conto della for fortuna e pagata l' imposta. Il censo non era la misura delle loro ricchezze : non ne potevano far la dichiarazione, come di proprietà, di beni che possedevano del regio patrimonio, di beni di cui godevano, che concedevano, e che ereditavano dal possesso e diritto d'investitura, sempre sotto la riserva del diritto del sovrano di rivocare a se le proprie terre e disporne altrimenti. Non erano che possessi precari: i raffinamenti per cui i popoli moderni calcolano come proprietà una parte del valore del godimento erano sconosciuti agli antichi (257). Ben inteso che rispetto ai censibili si comprendevano nel censo gli oggetti della proprietà, dei quiriti che erano chiamati res mancipii (258) nel più stretto senso come il bronzo monetato le case i campi i diritti che vi erano annessi e loro accessórii, gli schiavi le bestie da

soma e di tiro, ed i cavalli. Però questa indicazione fatta pei giureconsulti è forse di troppo ristretta se si considera come enumerazione di tutte sorte di proprietà del tempo antico. Il gregge del minuto bestiame apparteneva all' economia rurale del pari che le bestie da soma o da tiro, e la trasmissione della lor proprietà non sarà stata fatta con minor solennità abbenchè nou si curassero di servirsi di testimoni e di bilancie per la vendita di una capra o di un montone. Caio dichiara che l'oro e l'argento sono res nec mancipii però Fabio e Rufino annunciavano ai censori ciò che essi possedevano in argento foggiato; così quand' anche res mancipii fossero stati sinonimi da principio di censui censendo, non se ne potrebbe trarre dalla sua enumerazione nè da quella d'Ulpiano, niente di concladente rispetto l'estensione degli oggetti su cui era calcolato il censo del romano. Per lo meno è possibile che vi fosse un tempo in cui tutto ciò che non apparteneva al semplice possesso conceduto dalla repubblica o dal patrono, era, o si chiamava res mancipii in un tempo in cui d'innanzi ad un Tribunale un battello poteva essere rivendicato del pari che una casa ed in cui tutto era ridotto a capitale. Ma non ci è lecito di sperare un chiaro lume su questo argomento nè sul valore del capitale. Una vera stima sarebbe forse stata impraticabile e benchè si faccia menzione d'una formola usata dai censori (259); non si hanno a intendere perciò che delle tariffe per ciascun genere e per ogni oggetto censibile, tariffe che si applicarono in seguito per via d' una moltiplicazione.

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Molte cose che appartenevano alla ricchezza non essendo comprese nel censo quest' ultimo era tanto meno l'immagine della fortuna in quanto che i debiti come noi lo vedremo nel progresso di questa storia, non n'erano

punto diffalcati. Quindi sarebbe la più infruttuosa di tutte le imprese, volere rintracciar qualche cosa sulla ricchezza di Roma coll' aiuto dei numeri di queste forme esteriori.

Una difficoltà particolare a ciascun esperimento che si tenta per compire chiaramente il censo, è quella che si rinviene nei numeri impiegati come misure delle fortune e che sono sì enormi. Quindi conviene che in una dichiarazione delle istituzioni che si tengono come proprie di Servio questa difficoltà sia chiarita in qualche parte tanto più che si attribuisce a questo legislatore la prima fabbricazione di denaro monetato a Roma. In qualunque parte si tenga dietro a questo esame, sarebbe sempre un episodio, e se noi lo facciamo precedere le ricerche sull' indole del tributo corrispondente al censo, credo che in tutt' altro luogo avrebbe ancor davantaggio fatto mal' ufficio al progresso di quest' opera.

Dionigi indica in dramme il censo delle classi intendendo con ciò dei denari; perchè in principio pel peso ed il valore erano stati battuti sulla foggia dei pezzi delle monete greche, e quando di già il titolo e la lega ebbero -deteriorato si continuò a chiamarli col nome greco almeno nel linguaggio scritto. I suoi numeri in dramme sono precisamente il decimo di quelli espressi in assi da Tito Livio (260); tale era il rapporto di queste monete prima che l'asse fosse stata ridotta al peso d' un' oncia, ma le assi pesanti un sesto di libbra, ed a cui conviene la sua indicazione, erano assai ridotte, ed è impossibile schermirsi dalla questione circa il valore che aveano in denaro -le somme fissate pel censo all' epoca in cui si instituirono le centurie; giacchè allora come si congettura generalmente, l'asse pesava una libbra intiera. Il pensiero che primo si

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