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L'imposta regolare tolta sul censo era pagata dai plebei, il suo nome medesimo tributo, tributum, era derivato da quello delle tribù di quest' ordine (285). Era una tassa ad un tanto per migliaia, variabile secondo i bisogni dello stato; ma non era una contribuzione di fortuna corrispondente alle rendite della classe censibile, perchè i discorsi sui debiti dei plebei provano chiaramente che questi debiti non erano diffalcati dalla stima della proprietà. Era una contribuzione diretta alle cose, senza rispetto ai prodotti come si pratica per l'imposta sulle case e sulle terre; e per giunta n'era la parte più essenziale se non che stava occulta nel censo in generale (284). Ciò che doveva rendere questa gravezza più pesante era soprattutto la sua mobilità (285). Di più ella non gravava che li assidui giacchè i proletari non erano tenuti che alla dichiarazione del loro avere. L'opinione che li grava di un testatico, non è certamente che un' interpretazione poco fondata di ciò che è detto di un tributum in capite, o piuttosto in capita che si distingue dal tributo pagato secondo censo e di cui io' credo conoscere la natura (286).

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Caio chiama i fondi che servirono ad allestire il cavallo pel cavaliere aes equestre (287): il diritto di sequestro non deve spandere alcun dubbio su ciò che dice Tito Livio che questo aes equestre era scontato dalle casse pubbliche, perchè la medesima procedura sommaria interveniva contro il tribuno del fisco per l'aes militare (288). Il giureconsulto chiama aes hordearium, il denaro destinato all' annuo mantenimento del cavallo. Tito Livio ci fa un racconto affatto strano quando dice che esso veniva assegnato a ciascun cavaliere sopra una vedova, perchè, quando non ve ne fossero stati che qualche centinaia, un simil numero di vedove ricche sarebbe pure oltre il possibile. Ma pri

manente la parola vidua secondo il primo e noto senso dei giureconsulti romani si appone in generale a tutte le donne non maritate, alle figlie come alle vedove (289); onde pare che si parli piuttosto di un erede (exλnpos): oltre che Tito Livio ha obbliati auche gli orfani. Citando come tipo dell'istituzione romana l'esempio dei Corinti che assegnavano ai cavalieri delle somme sulle vedove e sugl' orfani: Cicerone (290) dà visibilmente la medesima estensione a ciò che si faceva a Roma. Questo spiega perfettamente perchè nell' enumerazione si separavano gli orfani e le donne non maritate (orbi orbaeque ) (291) senz'altro essi erano fuori della formola ; in un censo che rappresentava il registro d' un' armata e tutti i suoi accessorii i fanciulli non erano chiamati al servizio come non lo erano le femmine, nè potevano figurare per lor proprio conto. Quindi non se ne poteva far menzione che sotto il caput, cioè sotto il nome d' un padre o d'un marito; ma il carattere particolare dell' imposta onde erano gravati è la ragione risolutiva di questa anomalia. Se i celibatari furono stretti alle medesime prestazioni di queste due classi d'individui, come si dice che l'abbia prescritto Camillo (292); ciò non fu senza dubbio che transitoriamente; la ragione non era la stessa. In uno stato guerriero non si poteva tenere come ingiusto che la donna ed il minore sopportassero gravi carichi per quelli che combattevano per essi e per la cosa pubblica.

Ciò era giusto anche rispetto a quelli che protetti e rappresentati nella repubblica non erano punto chiamati al servizio militare; perchè non si sottomettevano alla coscrizione annuale che quelli che appartenevano ad una tribù plebea; gli altri non servivano che nei casi straordinari e quando si formarono delle legioni urbane. Chiun

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que era respinto dalle tribù, perdeva con ciò solo il diritto di servire nella legione; ed è per tribù che si facevano le leve (293); donde viene che dalla prima origine la centuria si costituiva di cento uomini, uno di ogni tribù, e che gli annalisti adottarono il numero di venti pel tempo in cui le tribù erano ridotte a questo numero (294). Il principio di operar la leva per tribù stette sinchè durò la differenza fra i plebei e gli aerarii; mi sembra probabile che le centurie fossero costituite in modo di comprendere tutti quelli che si chiamavano romani a qualun que siasi titolo; quantunque precisamente l' obbligazione esclusiva dal servizio dii adito a congetturare che in origine non vi fossero che dei plebei nelle classi ma che che ne sia, conviene che i clienti dei patrizi vi siano stati ammessi assai per tempo; giacchè per via di loro essi aveano molto braccio; e pur quando i plebei disperati dall' oppressione si ritraevano dai Comizi, l'elezione poteva ancora adempirsi (295), dai soli clienti, con una sembianza di forme. Del resto essi erano così discosti dal servir la legione, che nelle prime dissensioni coi plebei non si propose che come un modo estremo di armarli in loro vece. Si abbia pure per apocrifa la narrazione sul modo con cui votavano nei primi tempi del consolato quelli ch' erano accolti nell' isopolitia, non rappresenta però meno l'antico diritto al pari che quei pretesi protocolli di transazioni solenni sotto il governo dei re (296). Più tardi ogni italiano adempiendo a certe condizioni ebbe diritto di accasarsi a Roma e far istimare la sua fortuna. Così pure schiavo francato dal suo padrone e che di suo consentimento si presentava al censo e faceva valutare i suoi beera assicurato della sua libertà ed aveva necessariamente il diritto d'una cittadinanza ma non era perciò

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membro d'una tribù. Non si potrà mai col buio dell'antichità discoprire se ogni città ammessa ad una scambievolezza di diritti, non avea dei legami di ospitalità con una famiglia od una casa e se così ogni cittadino che veniva a stanziare in Roma non era preventivamente e necessariamente in rapporto di clientela con questa casa. E si ignorerà pur sempre s' era in arbitrio di questi Latini o di questi Ceriti di prender un patrono, o di goder dei loro diritti in persona. Ma ad ogni modo è certo che essi e gli affrancati si annoveravano fra gli aerarii e non erano arrolati nelle legioni di campagna. Era dunque ragionevole di gravarli d'una più forte contribuzione di quelli che provvedevano al mantenimento dei cavalli del cavaliere; e la lor fortuna essendo vene spesso di tutt' altra natura della plebea, cioè di quella del coltivator libero, poichè era il frutto del commercio e dell' industria, correva un' altra regola di valutazione consistente in estimazioni speciali (297). Questa tassa arbitraria era così essenziale fra gli aerarii che se ne fece l'applicazione ad uno dei più illustri cittadini respinto dalla sua tribù per un abuso di potere di forme; i censori moltiplicarono per otto il censo di Mam. Emilio (298). È ben probabile che ogni abitante pagasse una data somma per la protezione che riceveva, la quale però non poteva essere che poca cosa. Ora questa tassa e le contribuzioni fissate risolutamente per gli aerarii e le borse pei cavalli dei cavalieri, sono senza dubbio ciò che si chiamava tributum in capita (299). Ed è pur probabile che prima della legislazione di Servio il comune fosse gravato da imposizioni arbitrarie di questo genere che furono surrogate da quelle regolarmente poste sul censo; per cui sarà nato il racconto che esistesse sin d'allora un testatico che gravava del pari il più povero ed il più ricco (500).

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Se vi ha di già qualche parte d'assurdo nel pensiero che lo stato non riceveva dalla persona più di quello che tesse fornire il più indigente, vi ha un' aberrazione totale di idee quasi inaudita nell' asserzione che vuole che Tarquinio il tiranno esigesse da ciascuno dieci dramme di testatico (301). Ma quivi pure occorre una tradizione che non dee parere ragionevole che nella bocca di colui che ce l'ha conservata, confondendo Dionigi quegli che riceve con quello che paga. Più ingiù ritornerò sull' articolo che cento assi erano il soldo mensile del fante; contentandomi in questo luogo di porre la congettura che il soldo, l'aes militare, per cui il soldato avea pure l' immediato diritto di sequestro, fosse assegnato originariamente sugli aerarii nello stesso modo che lo erano i cavalli sugli orfani e sulle vedove, e nello stesso modo che il dovizioso ne avea parecchi a soddisfare mentre da un' altra parte un medesimo soldato teneva i suoi assegni sopra parecchie persone di minore fortuna. Per me non dubito che lo stesso nome di aerarii non venga da æes, e che questa innovazione che ci si appresenta come la fissazione del soldo non consista unicamente in questo punto che il soldo non stette ormai più ristretto al numero di pensioni disponibili sopra gli aerarii, e che giovò a ciascuno. Gosì i plebei oltre il servizio esclusivo dell' infanteria furono gravati dell' imposta del soldo in una maniera generale e costante. Questo è ciò che volevano dire gli annalisti più versati negli studi dell'antichità, sull' orme dei quali Tito Livio ne viene raccontando le querele dei tribuni che dicevano che l' imposta non era levata che nell' intenzione di rovinare i plebei ; nè si può intendere altrimenti ciò che s' imputa a Tarquinio.

Così non è per nulla credibile che i patrizi fossero tassati come gli aerarii : ciò che intervenne a Mam. Emilio

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