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è che fu il principale ornamento di Roma assai tempo prima che trapassasse in dovizie il tempio Pizio, l'animo. non poteva inclinarsi a credere che fosse stato edificato d'un tiranno, il sentimento dei Romani d' un' età più recente rifuggiva da questa credenza. Si stimò altresì che questi felici presagi dell' avvenire che si erano aperti mentre si apparecchiava l'edificazione del tempio, non potessero volgersi per la mente che ad un uomo caro agli Dei, come intervenne ai libri profetici, sortiti a guidar e governar la repubblica nei più difficili casi. Per questo della fondazione del Campidoglio cogli auguri dell' impero del mondo, e la sua vita eterna n' era da molti scrittori fatto merito a Tarquinio padre e che cert' uni vollero anche gratificare della visita della Sibilla. Ben altrimenti avvisavano gli antichi ai quali non pareva impossibile che gli Dei si degnassero di mostrarsi propizi anche pel colpevole che li venerava, almeno fintanto che non avesse colmata la misura del suo delitto. Nè faceva meraviglia di vedere i loro benefici spargersi sui popoli amati dagli Dei, e spargersi per la mano di un tal uomo. Cotesti popoli dovevano essere fatti disgraziati anche dagli Dei di non poter violentar la natura rendendo i proprii reggitori virtuosi, quando gli stessi Dei nol potevano ?

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Nondimeno la costruzione del Campidoglio è generalmente connessa per un voto del primo Tarquinio alla sua guerra contro i Tarquinii; la vecchia tradizione se ne contentò (523). Per un mal tolto fatto alla tradizione rispetto Suessa Pomezia, il più bugiardo di tutti gli annalisti (324), Valerio Anziate creò di suo capo un bottino fatto nella città latina non conosciuta di Apioli che avrebbe dato i modi al re Tarquinio Prisco di fare i primi fondamenti (325). In appresso onde questo lavoro non fosse stato tenuto so

speso in tutto il regno di Servio s'immaginò altresì dalkó stesso annalista che Servio avesse continuato a prevalersi dei servigi degli alleati (526).

La parte meno alta del monte Tarpeo dove oggidì è il monte Caprino e che è diviso da un fondo quasi impercettibile della cittadella ove è Ara coeli (327), serviva allora d'area al tempio del Campidoglio (328). Non v'era allora uno spianato sufficiente, ende per averlo convenne come sul monte Moria demolirne la punta ed attorniarla di mura colmandone l'intervallo; lavori tutti ch' esigevano

almeno tanta forza di braccia quanta ne occorse per la stessa edificazione del tempio. Si fu sopra quest' area, che si fecero sorgere dei fondamenti di meravigliosa altezza e di ottocento piedi di contorno; era un quadrato presso che equilatero ove la lunghezza non trapassava di quindici piedi la larghezza. Il triplice santuario di Giove di Giunone e di Minerva posto sotto un medesimo tetto, spartito da muri comuni era cinto da un colonnato (329). Il perestilio era triplice al lato del mezzodì; ed era doppio dalle altre parti. Nè v'era dubbio che tutto il tempio non fosse costrutto in pietra peperina, e che le colonne non fossero d'un pezzo, ma bene dubbio che fossero coperte d'uno stucco. Il marmo non vi poteva brillare le porte erano probabilmente di bronzo e forse anche il tetto. Di certo quest' edifizio in quanto a magnificenza non era da meno dei tempi di Sesto sublime nella sua semplice grandezza. Il tempo che vi corse sopra ed i trecent'anni di vittoria lo riempirono gradatamente d' ogni splendidezza e d'ogni tesoro. Erano stati condotti dall' Etruria (530) gli artisti che lavorarono ed ornarono il Campidoglio; lo studio delle arti greche avea già trionfato dell' antica italica rigidezza che non comportava le immagini corporee degli Dei.

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La tridizione che assente all' ultimo Tarquinio l'istituzione dei Duumviri dei libri sibillini (331) procede senz'altro dai libri dei pontefici o degli auguri al pari delle notizie che abbiamo sulla creazione degli uffici del sacerdozio di Numa. Considerando la cosa storicamente pare che un duumvirato patrizio deve montare oltre l' epoca in cui il sacerdozio delle vestali e la partecipazione al Senato furono estese alla terza tribù, perchè non si può credere che a fatica che dopo questo tempo questa tribù abbia potuto essere esclusa dalla conservazione degli oggetti di un culto straniero mentre gli stessi plebei vi parteciparono prima di giungere al consolato ed ai collegi dei sacerdoti, massime se si ricorda che i Tarquinii facevano parte di questa terza tribù. Ma questa considerazione dice fin troppo per poter decidere fra il padre e il figlio; e può accadere che uno dei Duumviri abbia così bene rappresentate le genti minori come i Tiziani nell' antica divisione del

sacerdozio.

Ciò che meglio chiarisce, che gli oracoli sibillini custoditi nel Campidoglio formavano tre libri (contro l' opinione di Plinio che dà per assentato che la sacerdotessa ne avesse arsi due, ed un solo salvato) (332) e che per conseguenza nel senso di questa leggenda ne fossero presentati nove al re, si è l'espressione che dice, che ai custodi fu dato il carico di consultare i libri sibillini. Può essere che dopo che furono distrutti al tempo di Silla, i custodi istessi spacciassero sulla loro conformazione dei racconti che prima le loro labbra non avrebbero osato di proferire ed è così che si può tenere come sicuro ciò che ne dice Varrone, il quale riferisce ch' erano scritti sopra foglie di palma (333) parte in versi, parte in segni o gerolifici allegorici. Il primo detto è tanto più probabile che si fa ap

pena menzionè presso gli antichi delle palme come materiá di scrivere. Plinio stima che fossero scritte sul papiro péré chè non credeva che prima dell' invenzione delle pergamene si potessero fare altrimenti dei libri; ma questa congettura non può stare a petto di un' indicazione formale, e vi ha molta verosimiglianza nell' interpretazione dello Scoliaste il quale dice che nelle foglie della Sibilla Cumana, il sapiente poeta voleva alludere alla forma degli antichi libri sibillini. Questa conformazione ci fornisce un indizio rispetto la maniera ond' erano consultati. Sarebbe stata temerità il cercare d'accomodare alle circostanze un passo qualunque. Nè si può guari rivocare che vi si accostassero come fanno gli orientali al Corano per non dire alla maniera di parecchi cristiani, i quali malgrado i più gagliardi divieti consultano la bibbia aprendola, o che si servono d'una scatoletta oracolosa. La forma delle foglie indiane destinata alla scrittura, e disposta in larghi quadri di grandezza eguali era molto propria a mescere ed a tirare a sorte come si faceva colle tavolette di Preneste.

Questi oracoli portavano delle predizioni di casi futuri o appena dei semplici precetti per avere una grazia, o mitigare gli Dei; precetti che si aveano come pronunciati dal caso, giusta il quale si consultava. Ciò è rimasto un enigma in grazia del mistero che avvolse questi libri, dopo che Tarquinio dannò al supplizio dei parricidi un Duumviro indiscreto. Nulladimeno l'ordine di far venire Esculapio da Epidauro non può essersi incontrato che in un Oracolo che parlava di peste e che per conseguenza l'annunciava. Per quello che ne rimane delle decadi di T. Livio, lo scopo della consultazione non è mai di conoscere gli avvenimenti futuri come si pratica nelle interrogazioni date agli oracoli Greci; poichè bastava d'intendere cosa dimandavano gli

Dei quando il loro corruccio si era rivelato con dei disastri o dei presagi. Tutti i loro comandamenti di cui fu tramandata memoria sono in questo spirito. Prescrivono gli onori che si hanno a rendere alle divinità riconosciute e segnano le divinità forestiere che si hanno a raccogliere. Ne si può disputare in questo luogo degli oracoli della collezione emendata; in quanto ai tempi anteriori, che però sono toccati dagli annali (334) non vi ha che un esempio di questo genere, ricordando per l'anno 566 un divieto emanato dalla sibilla, dove ella interdice di passare il monte Tauro con un esercito (335). Ma non è credibile che un simile segreto si fosse sparso nel popolo. Fra i numerosi oracoli sibillini che circolavano in Grecia, molti dî questi non s'occuparono che di Roma, e i Romaní medesimi li risguardavano con rispetto come legati d' affinità con loro ed è probabilmente d' un cosiffatto oracolo ch' intesero parlare i Messaggi del Senato all' armata di Gn. Manlio. Può essere che fosse antico, se non parlava d' alcun stato in particolare, e se allora per la prima volta era applicato ai Romani; forse il profeta pensava ai re di Lidia. Intanto quanti generali, nei due secoli precedenti aveano dato luogo ad un simile avviso Ciò che dichiara in un modo assoluto che gl' oracoli sibillini di Roma venirono dall' Jonia è l'ordine posto da loro di riverire la Dea del monte Ida (336), quantunque Cuma, nel vicinato, si vantasse pure della sua profetessa; dopo questa circostanza dove principalmente s' intraprese ad instaurarli fu ad Eritrea.

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Nell' ignoranza di greco in cui si tiene che fosse l'antica Roma pare impossibile che s' avesse potuto ricorrere agl' oracoli greci, eppure non c'è uomo che dubiti che non fossero scritti in greco. Nè quest' ipotesi è solamente

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