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a legarsi col comune, una siffatta necessità poteva esistere. E' d'altronde probabilissimo che intervenisse una transazione con la gente tarquinia; transazione in virtù della quale il popolo nominarebbe ogni anno un Tarquinio per partecipare al grado sovrano, e soprattutto in uno stato dove la costituzione progrediva per così dire a passi numerati. Vi ha tanto più luogo a crederlo in quanto che pare che in progresso la medesima prerogativa fosse largita ai Valerii ed ai Fabii; di modo che Collatino avrebbe bensì ricevuto il consolato ; ma la rivoluzione non si sarebbe fermata assai tempo in quel primo grado; perchè i Tarquinj svegliarono dei sospetti e tutta la gens fu cacciata in bando (362). Questo racconto si può dire tanto più instruttivo in quanto che ne mostra i Tarquin) ben altrimenti che come una famiglia solinga, costituita dai nipoti di Demarato, e dei figli che vennero da loro.

PRINCIPIO DELLA REPUBBLICA ;

TRATTATO CON CARTAGINE.

Ai Tarquinj più che a qualunque altro cittadino dovea piacere una rivoluzione che rendeva accessibile a tutti i membri nobili della casa ed assicurava l'esercizio annuale d'una potenza di cui sino allora un solo avea fruito, е che non avea perduto che il suo nome e la dignità sacerdotale; perchè il poter reale passò senza diminuzione nelle mani di magistrati annui che si chiamavano pur anco pretori. Così lo scrupoloso Dione Cassio non fa uso del titolo di consolo che dopo il governo dei decemviri, epoca in cui, secondo lui, fu cangiata la denominazione (363). Ad esempio di T. Livio e di Dionisio io mi farò lecito di

chiamare sin d'ora con questo nome i gloriosi successori dei re. Per questo farò notare appunto quivi che il titolo di con solo non procede dall'azione di consultare il senato, come non procede da quella di consigliare (564), perchè sul nascere della repubblica il consolato era distinto più tosto dal comando che dall'uno o dall' altro di questi due attributi. Onde non vi ha dubbio che la parola consul non significhi altro che collega, la sillaba sul si trova con la significazione di qualcheduno che è in praesul ed in exul. É nel medesimo significato che si dà agli Dei del consiglio di Giove il nome di Consenti.

Quando gli storici ne dicono positivamente che la prima elezione fu fatta dalle centurie (365), è senza dubbio una rappresentazione storica della forma legale di procedere alla nomina dei consoli; ma come testimonianza non è di alcun valore. Nulla di meno se si trova in progresso questa attribuzione fra le mani delle curie, è facile d'immaginare come venne usurpata, nè si ha da credere che si siano violate le leggi di Servio dal suo principio ed in un'epoca in cui si piaggiavano i plebei. Non potè intervenire che in grazia della loro congiunzione col comune che le due più nobili tribù ributtassero la terza ne' suoi antichi termini; onde lasciarono talmente quelle leggi in vigore che il plebeo Lucio Bruto fu promosso al primo consolato.

Io non esito punto a porlo nell' ordine dei plebei che rappresentò fra i quattro. La casa Giunia lo considerava con orgoglio come il fondatore della sua nobiltà (366), e la qualità di plebeo specialmente pei Bruti non potrebbe esser dubbia cominciando dalla legge Licinia che si manifesta per via di tribunati popolari sino alla fine della repubblica (367); per ultimo nel quinto secolo occorre più d'una volta che nei fasti consolari un Giunio Bruto sia

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collega plebeo. È vero che in parecchie genti patrizie le famiglie plebee hanno solo toccato gli ultimi secoli e sareb be possibile, quantunque se ne possa difficilmente citare un esempio che coteste avessero conservato il soprannome distintivo delle genti patrizié a cui erano legate; ma dal momento che si fa distinzione fra la gente e la famiglia quanto non si deve trovar strano che prima della legge Licinia nessun Giunio non sia nominato nei fasti pur consentendo che si sia spenta la posterità del console Bruto. Quel L. Giunio Bruto che Dionigi cita come colui che sedici anni dopo il primo consolato fu uno dei due primi Tribuni del popolo, e che in progresso egli chiama col nome di Edile, e sul conto del quale ci narra tante cose (568); quel Giunio Bruto ignorato da T. Livio sarà senza dubbio stato riferito ad un' epoca un poco più recente di quei lontani avvenimenti, e riferito da qualche anualista plebeo, geloso di raccomandare la libertà del suo ordire a un parente del fondatore della repubblica; e tutto questo non sarebbe una pura invenzione. Ho già fatto notare che senza la divisione del consolato fra gli ordini le libertà plebee non avrebbero avuto una sicurezza. Nello stesso modo che la legge agraria di Licinio non faceva realmente che ristabilire quella di Cassio che avrebbe dovuto essere eseguita dopo cento vent'anni, e che essa pure non avca fatto che prescrivere l'esecuzione d'una disposizione di Servio, nell' istesso modo la legge di Licinio sul consolato non avrà fatto che dare effetto a tre antichissime istituzioni. La tradizione che chiama Bruto figlio di Tarquinia non mostra storicamente nulla contro la sua qualità plebea; perchè ciò tiene alla finzione poetica sulla sua dissimulazione: ďaltronde fosse anche di qualche valore giampai matrimonj ineguali furono vietati, ed anzi erano fre

quentissimi. Insomma noi nol vogliamo nascondere al lettore, se il suo tribunato dei celeri è difficile a conciliarsi con questa qualità di plebea, un usurpatore ha potuto attribuirsi la collazione di un posto, che a norma delle leggi non poteva essere conferito che in forza d' una elezione. I tiranni greci facevano così fino che gli accomodava, ben inteso che in ciò non osservavano i privilegi degli ordini. Tarquinio aveva fatto volgere a suo profitto la gelosia dei patrizj; e siccome stava all' erta su loro, Bruto per ruinarlo può avere ingannato il tiranno con una simulata divozione (369). Nè è più strano alla disputa che ci occupa il rimarcare che la dignità di maestro dei cavalieri era generalmente considerata come la continuazione del tribunato dei celeri, e che un plebeo ne potea essere investito in un tempo, in cui il consolato non era ancora accessibile al suo ordine. Dacchè le tribù patrizie s' accordarono fra loro, il godimento di questo diritto potè essere tolto con qualche audacia al comune sotto l'astuto colore di ricompensarlo con altri vantaggi.

I re eletti partecipavano ai medesimi onori di cui godevano nelle famiglie eroiche i re ereditari. Il lutto di tutta la nazione per quelli che la morte aveva percossi non era consueto a Sparta, ed i re di Roma erano probabilmente compianti al medesimo modo. Ed io stimo che ciò che è detto nei libri rituali sul lutto delle matrone per Bruto e per Valerio deve essere tenuto come un omaggio reso ad ogni console morto nell' anno del suo magistrato, finchè i consoli furono intieramente riguardati come i successori dei re.

Ma per quanto la maestà dei consoli s'accostasse a quella dei re si può dire che per lo meno l'ordine dei patrizi era in maggior sicurtà contro l'abuso del suo me

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desimo potere prima per l'opposizione del collega, ed

in secondo luogo per essere rinnovato ogni anno. Era impossibile ogni accusa contro i re come lo fu più tardi contro ogni uomo vestito d'ogni magistratura; il rifiuto di una rielezione riconduceva il console alla condizione di semplice cittadino dove i questori potevano tartassarlo.

È d'essi senza dubbio come di pubblici accusatori e non dei guardiani del tesoro che parlava la legge delle curie, per cui Bruto fece ordinare che il loro ufficio sarebbe tenuto come l'era sotto i re. Tacito che probabilmente non conosceva la legge, che per un intermediario, e che trovò indicata l'epoca in cui le centurie nominarono per la prima volta a un simile ufficio, Tacito non conobbe il fatto che dopo la legislazione decemvirale; questa elezione passò dalle curie alle centurie, e non fu senza dubbio, che per congettura che dapprima i consoli e più anticamente i re nominavano i questori. Giunio Gracano faceva menzione espressa della loro elezione fatta dal popolo per non dire dalle curie al tempo dei re (370). Non monta che in questo luogo Tacito ed Ulpiano confondino del pari i quaestores classici ed i quaestores parricidii errore che avrà pur servito di base all'indicazione di Plutarco, quantunque citi in termini espressi, fra gli sviluppi della libertà che la repubblica dovette al console Publicola (371) l'instituzione di un tesoro comune e il diritto commesso al popolo di eleggervi due guardiani. Ciò pare che proceda da una nozione sulla medesima legge delle curie ma rivolta altrimenti ed applicata a Publicola invece di Bruto.

Ondeggia pure incerto fra Bruto e Publicola il compimento dato al senato. T. Livio l'attribuisce al primo Festo e Plutarco al secondo, Dionigi prendendo un ter

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