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mine medio ne fa onore ad ambedue. Tacito che riferisce che Bruto levò al patriziato le genti minori (372) parteggia con T. Livio; perchè ingannato nel medesimo modo. di Dionigi in quanto che i patrizi gli sembravano famiglie nobili discese da' senatori nominati al tempo della fondazione della città ed in conseguenza di un' altra occasione rispetto la quale non erano d'accordo. Così non iscorge il cangiamento operato da Tarquinio Prisco perchè ha sugli occhi l'altro grande aumento, quello per cui, dopo l'istituzione del consolato, dei cavalieri plebei furono accolti nel Senato, quando questo Senato cominciò ad essere composto di padri e di coscritti (375), cioè di patrizi e di chiamati. Il numero cento sessantaquattro degli ultimi fu senza dubbio immaginato da Valerio Anziate (374) che per l'appunto coll' aiuto di simili cifre arbitrarie s' ingegnava di dare una qualche apparenza di verità alle sue ingan nevoli favole.

Tito Livio dice che il tiranno avea spopolate le curie con delle stragi (375): e quivi pure probabilmente vi è esagerazione, giacchè per quanto vi fosse stato il sangue sparso non potevano mancare altri patrizi a compire il Senato, se trent'anni più tardi i Fabi, abbenchè non in numero di trecento erano però sufficienti a formare uno stabilimento. È verosimile che molti posti fossero divenuti vacanti per l'esiglio e l'emigrazione dei partigiani dei Tarquini. Considerando storicamente si vede che fu la necessità di tranquillare il secondo ordine dello stato che determinò i patrizi ad acconsentire all' ammissione di questi senatori e il principio di personificazione, applicato con consegnenza, assegna a Bruto nella sua qualità di plebeo questa misura d' eguaglianza.

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Per ben rappresentare al nostro spirito lo stato delle

cose che occasionò un nuovo modo di completare il Senato conviene prima di tutto scioglierci dal prestigio di una cronologia d'invenzione e non punto inquietarci del troppo breve o troppo lungo spazio dei periodi apparenti che si trovano fra certi dati punti.

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Se la formazione delle tre nuove centurie di cavalieri pone la possibilità di chiamare in un Senato di trecento un membro di ogni casa, partendo da questo momento, tali genti o case provarono di nuovo la sorte di tutto ciò che è chiuso ed attraversato; esse si estinsero soprattutto pei matrimoni ineguali che erano senza dubbio frequenti ed in cui la posterità seguiva la condizione dello sposo di qualità inferiore (376), così che il numero dei senatori s'allontanava sempre più dal suo compimento. Vi si sarebbe recato rimedio se si fosse ormai completato e se si fosse chiamato al Senato non più per genti ma per curie, e si sarebbe fatto un gran passo sulla strada che divide da una scelta intieramente libera la pretesa di essere chiamato : sarebbe stato un grande aumento del potere elettivo; ora quest' aumento fu compito dalla legge tribunizia Ovinia di cui parla Festo (377). Per quanto noi possiamo conoscere Pantico linguaggio, una legge di questo genere sarebbe che le curie avrebbero risolto sulla proposizione di un tribuno dei celeri (378); ma non è così che l'intese Festo poichè vi mescola i censori: in allora siccome non ha potuto scorgervi un plebiscita conviene che abbia creduto che si trattasse di una legge che dei tribuni militari aveano fatto adottare. Senza dubbio non si trova in niuna parte questo tribuno Ovinio, ma il nome potrebbe essere alterato. Che che ne sia, a giudicare dal moto progressivo della costituzione dell'antichità, conviene che questa innovazione abbia preceduto l'ammissione dei coscritti, e che

per conseguenza sia stata prodottà da una legge delle curie sotto i re; oppure è falso che sotto i primi consoli fossero già ammessi al Senato i plebei.

Presupponendo tuttavia che fosse così, ciò non può essere tenuto per gli anni in cui i patrízi ripresero tutte le loro concessioni sotto pretesto che gli erano state usurpate. Assai tempo dopo la legge Licinia i plebei sembrano essere stati in minorità nella curía; nondimeno vi furono ammessi prima di giungere al pacifico godimento del diritto d'essere eletti tribuni militari (379). Essendo ormai divenuto il Senato un'assemblea mista ne sarà uscito un nuovo sistema per la nomina degli interrè, magistrato che era e che stette tutto patrizio. Non si poteva più osservare in ciò la divisione delle tribù patrizie; perchè non vi erano più di dieci decurie delle grandi gentes; convien dunque ammettere o che i senatori patrizi si radunassero per nominare gl' interrè, o che le curie ne facessero l'elezione (380).

Fra le istituzioni repubblicane i di cui principii sono riferiti a questo primo consolato convien porre l'assegno" dei beni in lotti di sette arpenti di terre coltivabili (381): dicesi che questa misura fu prescritta dopo l'espulsione dei re. I soli domini reali possono essere stati assai estesi per bastare a questo scompartimento che obbligò tutti quelli che ne approfittarono ad opporsi per sempre che non si rinnovasse l'antico ordine di cose. Ciò che mostrerebbe contrastando alla tradizione, che il campo di Marte non era nel novero di questi beni, non più che del dominio privato dei Tarquini, si è una legge Orazia che accordava degli onori alla vestale Tarrazia per averlo donato al popolo romano; ma non si saprebbe supporre che un così vasto territorio appartenesse ad un solo proprietario,

e che non si voglia parlare piuttosto di un campo posto in queslo cantone (383).

Le relazioni che ricordano i diversi cangiamenti operati nello Stato, fanno derivare da quell' epoca il diritto accordato a semplici cittadini di prendere la parola nella grande assemblea delle curie. Gl' uni l'attribuiscono a Bruto, e dicono che l'accordò a Sp. Lucrezio (384), dove Valerio invece n'attribuisce l'istituzione a Publicola. Le narrazioni di quest' ultimo differiscono pure in ciò che concerne l'affrancamento di Vindicio di cui conviene farne merito a Bruto quando si vuole essere d'accordo colle proprie idee. Era il tipo secondo il quale lo schiavo poteva essere chiamato alla libertà ogni giorno d' esercizio dell' autorità giudiziaria, e per mezzo della vindicta formalità da cui si trasse il nome dell' immaginata persona Vindicio mentre lo schiavo italico che avea perduto colla libertà i suoi diritti gentilizi non poteva portare più lungamente un nome di gens come lo sarebbe stato cotesto, ma era chiamato Lucipor o Marcipor. Dopo la morte di Bruto, Publicola conferisce a tutti la facoltà di chiedere il consolato (585) e questo è la soppressione della disposizione che non permetteva d'andare alle voci, che rispetto ai candidati proposti dal Senato, e ciò rassomiglia assai ad una apparente indennità pei plebei concedendo loro la libertà della scelta in ricompensa della parte che gli fu tolta di potere sovrano. Publicola è pur nominato come colui che instituì l'uso di dare i fasci al console della più nobile tribù; come gli si fanno pure instituire gli elogi funebri pei riputati cittadini dal momento che gli onorò così Bruto.

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La sana intelligenza della parola populus dissipa l'errore secondo il quale il nome di Publicola significherebbe un demagogo come Pericle che brigava il favore della mol

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titudine. L'assemblea dinnanzi la quale Publio Valerio fece inchinare i fasci disarmati in riconoscenza che ogni sovranità emanava da lei, era il concilio del popolo cioè il gran consiglio dei patrizi (386). Il console d'altronde non avea a far nulla con un'assemblea di plebei; ella non era sorgente di potenza, nè si può intendere di quella delle centurie che era un comiziato e non un concilio che non si radunava nella città ma sul campo di Marte d'onde non si scorgeva la Velia. Fu dunque alle curie che egli propose la legge che consacrava gli Dei, con tutto l'aver suo, colui che usurperebbe il poter reale, o in altri termini colui che terrebbe la sovranità senza esserne stato investito dal popolo (populus ) (387). Quest' era un porre fuori della legge onde il console poteva impunemente far uccidere il colpevole e ciascun' altro lo poteva del pari. L'uso di consacrare una testa colpevole procedeva senza dubbio dall' uso dei sacrifici umani; giacchè per tutto si eleggevano al possibile dei malfattori per vittime. Ed è così che si consacravano a Plutone i patroni ed i clienti che violavano i loro doveri reciproci, e il marito quando vendeva la moglie che per la conventio in manum s'era messa sul rango dei figli. Chiunque metteva in pericolo un magistrato del comune, era consacrato a Giove; chi involava la messe o conduceva il bestiame in un campo di biade lo era a Cerere (388).

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Questa legge che doveva assicurare la morte dei tiranni fece l'assassinio impunito. La riputazione di Publicola era stabilita in una più bella maniera dalla legge che si cita come la prima che fosse decretata dalle centurie (389). Con l'imperium le curie conferivano la facoltà di punire della morte o con pene corporali, coi ferri o colle ammende la disobbedienza al poter sovrano, e ciò perfino

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