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I' epoca in cui i plebei ottennero una parté al consolato gli stranieri liberi, da qualche eccezione in poi, non avranno potuto indirizzarsi che alla prima casta, e forse anche in questa molti cittadini non avranno avuto per clienti che qualche individuo isolato ; finchè le cose stettero in questi termini le parole patrono e patrizio ebbero la medesima estensione.

Forse erano sinonimi; perchè l' etimologia della parola patres in grazia della paternità di quelli che assegnano delle terre ai poveri come ai proprj figli (44) ha tutto affatto un colore antico, abbenchè forse sia un non so che ricercata. Potrebbe essere che non fosse che un mero titolo d'onore dato agli antichi cittadini, sia nel Senato, sia nelle assemblee delle curie (45). Questo nome non è per nulla ristretto ai senatori, anzi vi ha di più; i patres sono nominati da Tito Livio oltre il Senato, è quando fa menzione di juniores patrum (46), si è per opposizione coi senatori. Ben è vero che in progresso l'uso del discorso restrinse sempre più questo titolo ai Senatori, e fino gli scrittori che non escludono affatto la significazione più estesa, e che variano nell' uso che ne fanno, inclinarono sempre ad intendere in un senso men largo ciò che poterono cavare dalle loro fonti a questo rispetto.

Giulio Cesare, ed Augusto alzarono alcune famiglie al patriziato perchè fra le antiche case erano intervenute tante estinzioni e tanti trapassi allo stato plebeo in causa di miseria o di elezione che non si poteva più provvedere ai magistrati del sacerdozio secondo le antiche consuetudini. Le cinquanta famiglie che sussistevano tuttavia, costituivano senza contrasto un'antica nobiltà (47) e questi do→ minatori avendo scelto per aggiungerveli ciò che vi era ancora di più illustre fra i plebei, Dionigi e Tito Livio fa

rono tratti a riputare il patriziato come una nobiltà di prima origine. Ma duecento anni più presto Cincio di cui ho già fatto notare la splendida testimonianza avea di già portato altro giudizio. A sua stima si chiamavano anticamente patrizj tutti gli uomini nati liberi (48), e conviene applicar tutto questo al tempo che precesse la formazione della casta plebea; ma in quel tempo medesimo il numero degli uomini nati liberi fra i clienti non potea essere picciolo. Ciò che vi ha di rigoroso nel paragone si è che probabilmente i patrizi d' allora erano clienti rispetto agli altri Romani; come al tempo di Cincio le tribù degl' Ingenui verso i libertini; e forse non è che questo che voleva inferirne il nostro autore, il quale per altro noi non conosciamo che in grazia di un doppio estratto. I patrizj erano i veri cittadini a similitudine degli Allemanni in cui nel tredicesimo secolo borghesi e patrizj erano sinonimi. Non convien dunque maravigliarsi di non vedere fra loro ed i loro subordinati una classe intermedia; come non conviene maravigliarsi del numero delle trecento case che non sa rebbe credibile in un così picciolo stato quando s'avesse a parlare di nobiltà. E soprattutto non conviene opporre il picciolo numero di nomi di genti patrizie che appajano nelle feste; perchè acconsentendo che fossero complete al tempo del bando dei Tarquinj ciò che è ben' alieno dall' esattezza, il consolato senza dubbio abbenchè tutti avessero il diritto di aspirarvi non fu aperto che ad un picciol numero di loro. In tutte le aristocrazie si vedono brillare e dominar solamente alcune famiglie mentre un numero senza fine passano povere ed oscure come intervenne a Venezia. I poveri si estinguono inavveduti o si perdono nel popolo come la nobiltà del paese di Ditmarsen e della Norvegia. V' ebbero pure a Roma delle famiglie che rinun

ziarono liberamente al patriziato e si fecero plebee (49) ed altre lo perdettero per brutte parentele prima che la legge Canuleja avesse posto il diritto di matrimonio fra i due ordini. Fra queste case patrizie che i fasti non nominano mai noi citaremo la gente Tarquinia ed i Vitelj (50).

E siccome i nomi delle antiche Tribù plebee rassomigliano per la forma a quelli delle genti, e che talvolta sono comuni alle tribù ed alle case patrizie, par verosimile che vi fossero delle genti chiamate Camilia, Cluentia, Galeria, Lemonica, Pupinia, ed anche una gente Voltinia (51).

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Se patres ed il suo derivato patricii erano titoli d'onore degl' individui, pare che il nome di tutta la classe il nome che la faceva distinta dall' universalità dei Romani, fosse quella di Celeres. È attestato in modo solenne che un siffatto nome apparteneva ai cavalieri; ed è attestato inoltre, come si può inferire dall' indole stessa di tutte le costituzioni dell'antichità, che le tribù di Romolo avevano i loro tribuni (52). Il Tribunale dei celeri essendo designato come una magistratura ed un sacerdozio fu un inganno evidente di volervi scorgere invece il comandante d'una guardia. Se i re ne aveano una si costituiva senza dubbio dai numerosi clienti sparsi pei loro privati dominj. In quanto ai tribuni delle tre tribù, erano certamente ad un tempo, comandanti militari in campagna, magistrati e sacrificatori in città. Nello stesso modo che un Curio nella sua qualità di centurione era capo di cento nomini nella legione di Romolo (53). Fra i tre tribuni, quello della tribù più eminente, come il più riputato avrà avuto degl' onori straordinarj, e sarà stato nominato anche solo (54).

Cicerone cita come un segno di dissoluzione e d'anarchia l'uso tenuto dalle città greche del suo tempo di far

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decidere gl' affari dalle masse. S' annoveravano tutti gl' individui in genere, e non i suffragi degl' ordini. Ma gl' oggetti posti in deliberazione erano allora di sì poca importanza ch'era presso che indifferente la forma della spedizione. Nei primi tempi era stato acconsentito da tutte le legislazioni aristocratiche o democratiche che gl' individui fruissero del diritto di suffragio e sopportassero i carichi e specialmente quelli della guerra, non già rispetto al numero totale dei cittadini, ma a quello dei membri del corpo a cui appartenevano. Di modo che si provvedeva al possibile, all' inconveniente di lasciare la deliberazione nelle mani della moltitudine; perchè quanto più il corpo era numeroso paragonato agl' altri, tanto meno i carichi aggravavano i suoi membri, e meno peso avevano le loro voci. Il medesimo principio prevalse nelle costituzioni del medio evo fondate sulle case e sulle tribù. Nell' antica Roma și voleva pur sapere se sarebbero le tribù o le curie che si sarebbero considerate come unità nell' universalità dei suffragi. Ma nel tempo in cui due tribù soltanto vuotavano, una dissidenza nella loro decisione poteva addivenir pericolosa per la quicte pubblica; e la terza tribù quando fosse ammessa a questo diritto, non si sarebbe tenuta del pari privilegiata se le due prime si erano congiunte contro di lei; perchè essa avrebbe potuto deliberare ad unanimità, aver per se anche quattro decimi di ciascuna delle due altre tribù, e tutto questo invano, soprattutto quando si avessero ad abolire dei privilegi disusati ed onerosi. Si venne incontro a quest' inconveniente, raccogliendo i suffragi per curie, e questo modo fu tanto più efficace che non erano chiamate in un ordine fisso, mettendo i luceri dopo gli altri, ma secondo il grado determinato dalla fortuna: tuttavia questo non sarà intervenuto che più tardi.

Al presente che non si può dubitare che le famiglie di nascita ineguale ed i clienti non prendessero parte ai riti religiosi delle curie (55), si sarebbe inclinato a trovar verosimile che queste due classi di cittadini partecipassero ai comizj coi patres. L'opinione che fossero stati ammessi degli stranieri ai dritti politici delle curie come lo furono in progresso a quelli delle centurie non ha più d' uopo ormai d'essere combattuta.

Dietro i principi della ripartizione della nazione, sa rebbe difficile di credere che nelle curie si togliessero immcdiatamente i suffragi degli individui, e non quelli delle case che erano le unità contenute in queste curie. Un antico registro pare attestare espressamente che è veramente per gentes che si raccoglievano le voci (56), per questo e finchè i rapporti stabiliti si mantennero integri nella parte essenziale montava assai poco per i patrizj in genere che quelli che facevano parte della lor casa con dei minimi diritti, avessero 0 no il dritto di suffragio; perchè i clienti non potevano vuotare contro i loro patroni, e ne sarebbe venuto una preponderanza nell'interno di ciascuna gente e di ciascuna casa in favore di colui che aveva molti clienti, ed in proporzione del loro numero, ed a detrimento di chi non aveva alcuna protezione da accordare. In quanto alle famiglie che procedevano da illegittima alleanza non si formavano che in progresso di tempo.

Ma supponiamo che in questo stato di cose, l' ammissione di questa sorte di suffragi non avesse niente offerto di inconciliabile con l'interesse dell' ordine, questa ammissione non sarebbe stata meno contraria allo spirito dell'aristocrazia che vuole in se stessa come era a Venezia eguaglianza del più ricco e del più povero de' nobili, ma ineguaglianza assoluta fra ogni nobile ed ogni plebeo. Que

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