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credere che lo fossero a pluralità di voci dal congresso delle centurie. Il che s'accostava all' eguaglianza, come si deve concepire in un'assemblea di tribù; se non che erano esclusi i cavalieri plebei (576), come lo erano i locu pletes ch' erano ancor da meno della quinta classe. Rispetto ai proletari potrebb' essere che sul principio non fossero stati ammessi a votare nelle loro tribù. Nella dipendenza in cui le centurie erano tenute dagl' auguri s'incontra uną restrizione ben più essenziale, del pari che sul diritto di voto che vi aveano i clienti. Ma quel che più monta, si è che sui principj l' eletto doveva essere aggradito dai pa trizi nell' assemblea delle curie (577). In una negoziazione condotta con qualche destrezza forse il diritto di ratifica si è potuto ottenere sotto colore che sarebbe più profittevole agli stessi plebei che la loro scelta non gareggiasse d'inimicizia personale col prim' ordine dello stato. D'altronde questa condizione poteva essere posta come che avesse una lusinghiera identità col modo di elezione per le dignità cu ruli, quantunque vi fosse una gran differenza fra la legge sull' imperium che si faceva accordare un magistrato, e la ratifica e per conseguenza il diritto di ripulsa (578). I passi di Dionigi che abbiamo recati non ne consentono di dubitare che la partecipazione delle curie non si fermasse a questa ratifica (579); benchè presso gli antichi questo diritto sia stato a sproposito inteso rispetto ad un' elezione fatta dai loro comizi, come s'incontra in Dionigi ed anche in Cicerone (580). Il primo tuttavia essendo in altre parti indirizzato da scrittori tutt' altro che ignoranti dei fatti, e che lo condussero a toccare per così dire le cose, s'accorse di essere avviluppato quando sospettò (non avendolo trovato altrimenti scritto) che i plebei non erano nelle curie, le quali distribuisce fra loro pel bisogno delle elezioni (581).

Se si considera con quale facilità si è potuto confondere l'elezione e l'approvazione si avranno per positivi i passi in cui Dionigi vede chiaro il suo argomento, e che si trovano in perfetto accordo con tutto il sistema dell'antica costituzione. E stimo assolutamente impossibile che il comune abbia abbandonato l'elezione de' suoi rappresentanti ai patrizi; ma l'unanimità nella maniera di vedere dei plebei poteva esser tale che il diritto di non ratifica fosse in effetto più profittevole ai patriži, poichè conveniva venire al termine di nominare i tribuni. Pur presupponendo che per via di clienti avessero potuto trarre qualche loro benevolo entro il collegio, non ne poteva intervenire conseguenza di sorta sino che le cose interne del collegio procedevano con concordia a pluralità di voci. E veramente su questo non si fece novità che dopo i Decemviri, e la ristaurazione del tribunato ch' era stato interdetto. Gl' autori dei libri antichi, che l' attribuirono all' instigazione di Appio Claudio il più esacerbato dei patrizi (582), andarono errati sull' epoca del mutamento operato nel diritto, ma non però disdissero la sua non ordinaria importanza; giacchè 1 tribuni da semplici rappresentanti dei loro comuni, che non teneano altro diritto che quello di far dei rapporti, si scambiarono d' allora in poi in magistrati investiti d' un poter personale per cadauno.

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Oltre i rappresentanti, il comune come corpo doveva avere i suoi magistrati particolari e locali; é questi furono gl' edili, ufficio creato per quel che si dice, dopo la pace del monte sacro; se non che mi pare che potrebbero forse essere di più antica data degli stessi tribuni. Gl' offici dell'edile son molto incerti nei primi tempi; giacchè s' avvi sano come affatto sottoposti ai tribuni, come giudici insomma d'alcune cause che cotestoro gli davano a risol

vere (583). Avevano il carico della giustizia, e più tardi gl'è stata altresì conferita l'ispezione dei mercati (584) ; in ogni caso il potere che avevano non usciva dai termini del loro ordine. Il tempio di Cere era affatto posto sotto la loro vigilanza, e vi custodivano senz'altro sino dalla prima origine gl'archivi del comune, ed in progresso ana che i decreti del senato, donde gli venne il nome dell' of ficio che facevano. Era questo tempio nel sobborgo plebeo non già sull' Aventino, ma presso il Circo (186); la valle di Murcia era stata, al pari del colle propinquo, assegnato al comune da Anco. La Dea dell' agricoltura era l' immediata patrona d' un' ordine costituito di campagnuoli liberi ; ed ecco perchè le fortune di quelli che avevano insultato ai magistrati plebei erano confiscate a profitto di questo tempio. Quivi ai poveri di quest' ordine si largivano delle elemosine di pane, ciò che di necessità interveniva sotto la cura degl' edili (587). Conviene che si spacciassero in queste spese i frutti delle ammende che il popolo e non tutta la nazione tassava in parte dietro una loro proposta, e niuno fuori di loro poteva amministrare la cassa del

comune.

Nel correre dei secoli appaiono difettose le forme e le istituzioni più nobili e più salutari, che le società civili e morali ricevono e travasano di generazione, in generazione. Per acconcie che fossero in origine, converrebbe, perchè continuassero ad esserle, che la forza vitale degli stati e delle chiese si movesse per istinto e rivelasse continuamente il modo di accomodarci alle occasioni, come faceva il na vilio d' Argo quando parlava. Ma nel modo ordinario in cui procedono le cose, occorre o che le forme stanno immutabili almeno in quanto all' esterno non trasformandosi che in una morta corteccia; oppure si disviluppano e si

tramutano col mutare del tempo, nel qual caso si fa poco o nessun conto del loro primo destino. E bene spesso and che la condizione degli uomini per cui si crearono coteste instituzioni cangia di modo, che il loro primo destino non può avere più valore alcuno. Quand' uno s'avvisa che , senza queste forme e gl' accidenti che le ingenerarono non avremmo avuto gl' accidenti che tanto ci afflissero ed attraversarono i nostri desiderii ecco subito concitarsi ad un moto d' impazienza contr' esse; invece di anelare a dei cambiamenti profittevoli cotestoro vorrebbero che quelle forme non fossero state giammai, mettendo in pregio così ciò ch' esse hanno disfatto, e quel che è peggio senza conoscerlo e senza pur dimandare che sarebbe intervenuto e dove s' andrebbe a riuscire se lo stato non avesse mai dato ricetto a cosiffatte instituzioni; a questo modo si può dire che sopravissero a se stesse.

Con quest' animo Quinto Cicerone nei dialoghi sulle leggi, prorompe contro il tribunato; poichè in quel tempo appunto accagionava tante vessazioni agl' ottimi cittadini che ben s' intende come non avessero posto mente all'utile che se ne poteva trarre anche in mezzo a quei tempi di scompiglio e di dissoluzione. Però l'Arpinate avrebbe dovuto rammentarsi che se non fosse stato questo magistrato il suo municipio sarebbe rimasto una picciola città Volsca di niun rilievo, e se non si fossero statuite le libertà plebee il suo caro fratello non sarebbe mai giunto ad essere il moderatore del mondo romano, nè per tenza del consolato nel breve spazio d' un anno (anno che valeva tutta la vita d'un uomo) nè per l'onnipotenza del genio in tutti gl'anni avvenire. Avrebbe dovuto altresì rammentarsi, che quegli che volse le armi del tri

per la po

banato contro il padre della patria, era un Claudio il quale non era tribuno che per abuso.

Forse lo stesso Marco non s'era ben recato alla memo ria come fosse esigua e modesta in origine la forza del tribunato; ad ogni modo corre sopra i pregiudizi e fa noż tare che Roma doveva conservare la Monarchia, od acconsentire come fece ai plebei una libertà reale, e non di vane parole (588).

Senza questo potere sorto dalla necessità, i due ordini non avrebbero potuto stare l'uno accanto dell' altro in una repubblica. Un re però avrebbe potuto renderlo evamido anche in un regno elettivo, una Monarchia ereditaria poi non avrebbe avuto bisogno per nulla di questo pun tello. I re presso i Greci originavano da una schiatta d' eroi, e come alattati da Giove, non appartenevano a nessun ordine dello stato. Gl'abitatori d'un paese conquistato di nuovo quando si sottomettevano con tutti gli spiriti al suo scettro, gl' erano diletti del pari delle più antiche case delle tribù dominanti. Gl'era dato di vegliare e provve dere ch'ogni uomo libero godesse del suo diritto secondo i meriti e la condizione, onde andarono in dimenticanza molte disparità fra tanti vincoli comuni di affezioni di persona a persona. Ma questa forma conservatrice, per quello che la nostra storia può farsi avanti nel corso delle età, era sconosciuta ai Romani, e forse in generale ai popoli dell' Italia. Poi che disparve dai Greci, le case cominciarono ad opprimere il comune e la città la campagna, da poche eccezioni in fuori fu una rovina per loro; perchè dal loro seno uscirono degli uomini di così forte tempra che si offersero a guidatori ai loro acerbi nemici, e in progresso tirarono a se tutta la somma delle cose collegandosi col comune o coi cantoni delle terre, 0 con

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