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migliano per Ottavio.

la desinenza ai nomi delle genti, come

(88)

Servio ad Aen. II, 313.

(89)

T. Liv. I, 50; VII, 25, Pare che Dionisio confonda questo luogo col Ferentino degli Ernici.

(90)

Varrone, Rer, hum. I, 8. Festo, s. v. septimontio.

(91)

Ne annovera sette, T. Liv. V, 4.

(92)

Il Vicus septem viae,

(93)

Vedi il Tom. I, nota 763.

(94)

Cicerone de re pub. II, 18.

(95).

Ennio, Lucrezio, e Zonara.

(96)

T. Liv. I, 33. Tum quoque multis millibus latino rum in civitatem acceptis, quibus, ut jungeretur Palatio Aventinus ad Murciae datae sedes.

(97)

Nell' inno di Catullo XXXIV ultima strofa sis quocumque tibi placet sancta nomine, Romulique Ancique, ut solita es, bona sospites ope, gentem. Queste parole rispondono alla formola : quod felix faustum fortunatumque sit populo plebique Romanae. L'acume di Scaligero scoperse questa lezione quando trovò nel vergine testo antique che una superficiale: erudizione aveva scambiato in antiquam come era generalmente accolto prima di lui.

Pare che si sia messo per questa buona strada col solo lume della grammatica quando s' accorse che per avere un senso esatto vi doveva essere una congiunzione dopo Romulique. Io per me non conosco vestigio che appalesi ch' ei si sia proposto di risolvere l'enigma della Storia Romana; ma non aveva trascurata parte alcuna della scienza dell'antichità, e gli potrebbe essere intervenuto ciò che occorre di frequente. In una compage tutta confusa lo scrutatore discopre un punto a cui non si era posto mente; punto però che non resta chiaramente fitto nella sua memoria, perchè non è che un membro isolato d' un corpo che disparve. Ne sorge la ricordanza quaudo si vede apparire qualche cosa che vi abbia rapporto, ma in questo caso non è soventi che un lume passaggiero che presto si abbuia e quegli istesso per cui brillò obblia ciò che gli fece vedere.

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Non s'intende come i Romani e i Sabini poterono incontrarsi nelle guerre, mentre erano tenuti divisi da città indipendenti.

(102)

Cicerone de re pub. II, 20. Strabone V, pag. 231 nek medesimo dà il nome d'Appioli ad una città Volsca.

(103)

Non discorre la cosa con molta importanza. Pacent cum aequorum gente fecit I, 55.

(104)

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pure all' Etruria che Roma deve questa solennità che si trova rappresentata sui monumenti del paese,

(105)

Dionisio dice che Atto non faceva parte del collegio degli Auguri. Questo è ciò che fu immaginato da lui o da altri prima di lui sul fondamento che gli Auguri erano patrizi, ẹ che Atto ancor fanciullo guardava i porci di suo padre. Come se un povero patrizio avesse potuto far senza i soccorsi domestici de' suoi figli? Non è credibile che la vecchia tradizione abbia dato come straniero al collegio degli Auguri il più abile di tutti.

(106)

Questo spiega un passo di Cicerone che era molto oscuro, de re pub. II, 20, prioribus equitum partibus secundis additis, MacCC fecit equites numerumque duplicavit postquam bello aequos subegit. Tit. Liv. ha mal compreso; del resto convien scrivere nel suo testo MCC e non 1800 (vedi Mai ad Cicer. 1. c.). Vi ha fra il D. e l' A. poca differenza, specialmente nella scrittura onciale di cui si ha uno specimen sotto il numero terzo sulla tavola della mia edizione (fragm. Ciceronis) e se il D. non fosse una consonante non si sarebbero confuse spesso queste lettere. La cifra MDCCC del manoscritto di Firenze si è formata di MaCCC (MacCC) come in Cicerone.

(107)

Loca divisa patribus equitibusque, dice T. Liv. I, 35. Dionisio III, 68. Ambidue riferiscono la medesima cosa.

(108)

Dionisio lib. cit. T. Liv. I, 38, La tradizione non va certamente con tanta precauzione; l'appoggio di Servio è quello che ha determinato gli Storici.

(109)

Portava una cintura magica; per questo coloro che erano in un pericolo prendevano non so che della cintura della sua statua nel Tempio di Sanco. Vedi Festo. S. v. praedia.

(110)

Probo de nominibus in Gottofredo auct. ling. lat.

(III)

Ovidio fast. VI, 625, Dionisio IV, 2.

(112)

Cicerone de re pub. II, 21. Facendo intendere che Servio potrebbe essere un bastardo del re, mostrò come il più gran genio può essere condotto a scrivere delle cose assurde. (113)

Secondo Valerio Antiate, egli era uomo già fatto quando gli accadde questo, e s'era addormentato sfinito dal do lore che gli causava la morte della moglie Gegania. Plu➡ tarco de fortuna romanorum. Questa Gegania messa al posto di Tarquinia e Cecilia a quello di Tanaquilla po trebbero essere personaggi storici.

,

(114)

Ovidio fast. VI, 577.

(115)

Cicerone de re pub. II, 21. Dionisio FV, 12.

Aulio Gellio XIII, 14.

(116)

(117)

Quivi è senza dubbio la soluzione della difficoltà scoperta dal giudizioso Glareano lib. I, c. 45, di T. Liv.

Festo. Paericius vicus.

(118)

(119)

Dietro Fabio, in Dionisio IV, 55, che gli fa gagliarda riprensione per la ragione che Aronte secondo gli annali sarebbe morto nel quarantesimo anno del regno di Servio. (120)

T. Liv. I, 48. Dionisio IV, 49. In Plutarco de fortuna romanorum Ocrisia, o Tanaquilla esige il suo giuramento che ella non darà e questo per previdenza del delitto di Tullia.

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Ibid. 581. Un' altra tradizione (T. Liv.) diceva al J'incontro che Tarquinio aveva proibito di seppellire que sto cadavere aggiungendo con ironia che Romolo stesso nom aveva avuto sepoltura; per questo secondo la tradizione Tarquinio fu soprannominato superbo. Quelli che stimavano ciò troppo inumano, come Dionisio per esempio, trovarono modo di far seppellire Servio secretamente benchè non a norma del suo grado.

(124)

Macrobio Saturnali I, 13.

(125)

Rispetto alla prima assertiva vedi Dionisio VIII, 1; rispetto l'altra T. Liv. IV, 29 che lo ripete con piena fiducia. Vi ha quivi un singolare errore di cui si darà la soluzione in progresso.

(126)

Quegli che vogliono formarsi un' idea giusta della durata media d'una magistratura simile a quella dei re di Niebuhr T. II.

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