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correvano a suo tempo. E ben gli sarebbe stato malagevole il preservarsene, poichè nell' età sua già da cento anni almeno i tribuni, che da lungo tempo erano veramente tribuni del popolo, agitavano gli affari al cospetto del popolo d'allora, voglio dire delle centurie. I passi dove T. Livio ne porge letteralmente l'espressione delle antiche autorità sono più che mai mutilati. Ad ogni modo mi prendo il carico di accennarne uno che in apparenza mi potrebbe essere opposto. Varrone de re rust. I, 2. C. Licinius Tribunus plebis cum esset, post reges exactos annis CCCLDV, primus populum ad leges accipiendas in septem jugera forensia e comitio eduxit. Quivi come può essere avvertito da qualunque è alterata la cifra dell'anno e forse l' alterazione va più innanzi che non pare; ma quegli che applicasse populus ai plebei e comitium al luogo delle loro congregazioni, cadrebbe in un madornale errore. Quivi appunto populus significa le curie astrette ad accettare le leggi dai plebei vincitori (leges accipere). Il tribuno li trae dal comizio nel luogo ove devono conchiudere la pace co' suoi plebei: i sette jugeri stanno come condizione, in septem jugera; quasi: pax data in has leges est. T. Liv. XXXIII, 30.

Quae Dionisio IV, 25.

(208)

(209)

Plauto, Rudens III, 4 7 e seg. Ergo dato de Senatu Cyrenensi quemvis opulentum arbitrum si tuas esse oportet ec. 150 anni più tardi si agitava la questione se la parola propria era giudice od arbitro. Cicer. pro Murena. 12. Era ormai impossibile di ravvisare la natura di questi rapporti.

Niebuhr T. II.

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(210)

T. Liv. III, 55. L'ingegnoso Ant. Agost. che aveva un acume così felice in fatto di Storia quanto era mal atto ad emendare i testi, discoperse d'un tratto la verità; ma siccome non fece che accennare il suo pensiero, la sua congettura trovò poca accoglienza (Vedi Drakenborch 1. c.). Avrebbe dovuto cercare i suoi lettori ben da lungi per un pubblico che non era ancor maturo in siffate cose a cui rimaneva ancora un gran tratto di strada prima di giungere alla sua altezza. Anzi la strada non era ancora stata disgombra, e quando la fosse stata non gliene avreb bero saputo grado come non gliene seppero d' essersela disgombrata per se.

(211)

Per esempio di Agrippa Menenio, sulla proposta dei tribù. Dionisio VI, 96.

(212)

Ut quemadmodum Numa divini auctor juris fuisset, ita Servium conditorem omnis in civitate discriminis, ordinumque . posteri fama ferrent. T. Liv. I, 42.

(213)

Ut leges sacratas sibi restituerent. Fragm. del discorso per Cornelio. Fron in tedesco corrisponde a sacrosantus. (214)

Dionisio IV, 9. Nello stesso discorso, Dionisie fa dire a Servio che d'or' innanzi gli usurpatori patrizi non saran quelli che possederanno i domini, ma i plebei che gli hanno mercati col sangue. Così la legge agraria era pur rapportata a quest' autore comune di tutti i diritti.

(215)

Idem IV, 43. Si danno a credere che Tarquinio si fosse disfatto delle tavole ove erano scolpite queste bene

fiche leggi, per conseguenza cadrebbe il discorso sulle cinquanta la di cui menzione indica non solo che erano spente ma che non erano pur comprese nella collezione di Papirio. Se questa collezione fu fatta sotto il secondo Tarquinio, non vi avranno messe le leggi abrogate da lui; e per verità il racconto della loro odiata abrogazione non posa che sull' unico fatto di non avervele trovate; per modo che è vero che tutto ciò che corre sul proposito di questa legge dei debiti non ci è fatto sicuro che per viR

di tradizione.

(216)

Comitiatus maximus.

(217)

Plinio st. nat. XXXIII. Cl. Gellio VII.

(218)

Festo procedendo in un modo affatto contrario alla verità scambia gli sei suffragi per le centurie istituite da Servio. Opinione che non è che la conseguenza di un sogno che vuole che Tarquinio abbia costituito sino a dodici

centurie.

(219)

Dionisio IV, 18. Ciò che Cicerone disse sulla scelta dei cavalicri censu maximo è così mutilato che mi pare impossibile di emenda.

(220)

Aristotele fragm. de nobilitate.

(221)

Alceo fragm. 28. Pronunciò queste parole a Sparta. Questa tradizione affatto simile a quella d' Erodoto non lo faceva morire prima del compimento della conquista.

(222)

Polibio VI, 20. Erano scelti a norma della loro fortuna.

-(223)

Zonara II, pag. 29.

(224)

Si quadringentis sex, septem, millia desunt plebs eris,

(225)

T. Liv. XXIV, 11.

(226)

T. Liv. V, 7. Cioè ve ne ebbe un più gran numero che non era stato chiamato.

(227)

Idem. III, 27. Tuttavia quest' esempio appartiene alla storia poetica, perchè Tarquizio era patrizio e chiunque non sarà tocco dall' evidenza che contraddice che un cittadino di quest' ordine faccia parte di una classe, ne concederà almeno che in queste classi la povertà avrebbe escluso Tarquizio dal servizio o secondo un' ipotesi più favorevole l'avrebbe fatto declinare a un servizio tale che il suo merito non vi avrebbe potuto essere conosciuto.

(228)

Haec omnia in dites a pauperibus inclinata onera, E' visibile che Dionisio intendesse la contraddizione che implicava in questo modo d' esporre la cosa ed è per questo che sacrificò l'occasione che d' ordinario accoglie così volontieri di dedurre le istituzioni romane dalle greche istituzioni a cui lo traeva questa volta il paralello fatto da Polibio coi cavalieri Corinzi. Dissi Polibio perchè Ciceroue non può aver tolta che da lui l'osservazione d'una circostanza forte interessante in quanto che discopre sin dove coteste instituzioni si distendevano nell'antichità ma che del resto non ha valore di sorta per dimostrare un rapporto qualunque fra Roma e Corinto.

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(229)

Polibio VI, 39, 12, 13.

(230)

Gicerone (de re publ. IV, 2) allude ad un cangiamento operato da un plebiscito che avrebbe ordinato di rendere i cavalli; giacchè si ha da tenere come compito ciò che Scipione offre come una vista futura; ma dietro quello che ne sapeva Cicerone, questo cambiamento ebbe luogo più tardi che non è l'istante in cui colloca questo dialogo di Scipione. Vi ha luogo a credere che si prescrisse ai possessori di versare nel Fisco il denaro che avevano ricevuto onde avere così una pingue somma nelle mani per fare delle larghezze dimodochè sarebbe dimorata in loro la proprietà dei cavalli. Forse anche Cicerone s' inganna sull' epoca, e forse il soldo più alto di cui parla Polibio e gli alimenti non erano che indennità. In ogni modo le iscrizioni di cui ho discorso fanno toccare che non si tratta di una misura permanente. Vedi Grutter 404, 407, 415.

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Polit. VI, 3. Non vi può esser questione d' individui perchè darebbe luogo a dei calcoli senza fine, ma piuttosto di Symmories o divisione di cittadini. In quest' occasione convien pure che io rammemori la partizione delle classi di Solone perchè con una rassomiglianza apparente a quella di Servio ella ha un tutt' altro indirizzo. L'una aveva evidentemente rapporto all' attitudine degli impieghi, dove invece quella di Roma alle elezioni. Nè v' ebbero di certo mai Comizi secondo le quattro classi ad Atene; ma come anticamente gli Arconti erano esclusivamente tratti dalla prima, (Plat. Arist. pag. 318), nello stesso modo che la quarta era esclusa da tutti gli impieghi, la seconda senza

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