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si spease buona parte delle case dei regnanti patrizi, le trenta curie, le trecento case si ridussero a quindici, e cento cinquanta; e le altre quindici curie si diedero alle più illustri famiglie plebee, ed a cento cinquanta case così fatte. Anzi Servio Tullio ne fece prima un comune, e poi le rese partecipi altresì delle faccende pubbliche.

Adunque è da sapere che Servio Tullio divise i plebei per tribù e regioni o luoghi, in guisa che ogni tribù si avesse la sua corrispondente regione e tutta fosse locale. Ogni libero e facoltoso dello stato non patrizio venne ascritto per sempre alla tribù del paese ove abitava. A ciascheduna delle regioni poi diedesi il nome che aveano le tribù così della città come della campagna. Trenta furono quelle nelle quali si partì da Servio il comune dei plebei XXVI di campagna, e IV di città. Ogni tribù aveva un suo capo detto tribuno. Le prime si composero di soli plebei, clienti e patrizi v'entrarono più tardi. Radunavasi nel foro dai loro tribuni, e le loro adunanze erano dette Comizi tributi. Peculiare distintivo dei plebei fu quello di costituire un comune di liberi proprietari di terre per eredità trasmissibili. Oltre ai tribuni ebbero i plebei anche giudici, edili, e magistrati. Così la città romana venne a comporsi di due stati, il popolo dei pan trizi o primitivi cittadini romani, e la plebe o il comune dei vinti.

Come Servio re s' ingegnò che due potestà contrarie non si urtassero nella città medesima, che adoperassero invece al bene dell' universale nel suo reggimento a cen turie? Servio tutti collocò patrizi, clienti, e plebei così della città come della campagna in centurie; affinchè tutti partecipassero ai negozi con più o men valido suffragio nei centuriati Comizi; grande assemblea della nazione. Ed

ecco come gli distribui. Tenuti fermi i patrizi come erano nelle sei centurie, trasse fuori dei più facoltosi plebei, e modellò su quelle altre dodici centurie di cavalieri equipaggiati a proprie spese. Ogni resto della plebe venne in cinque classi distinta secondo le facoltà; e le classi foggiate a guisa di un esercito con riserve, fabbri, e suo natori. Dietro a queste cinque classi ed a queste 170 centurie traevano alla spicciolata altre sette centurie. Per tal guisa l'universale dei Romani si trovò distinto in sei centurie di cavalieri patrizi (sex suffragia); dodici di cava`lieri plebei, e centosettantasette di facoltosi o

non facol tosi plebei in tutto 195 centurie. E la timocrazia, ossia la quantità delle ricchezze si fece preponderare al numero delle persone nel vincer le leggi. Tre cittadini della prima classe possedevano quanto 4 della seconda, 6 della terza, 12 della quarta, 24 della quinta, dimodochè di 35 cittadini 6 erano della prima classe ed aveano più rilievo nello stato che i 29 delle altre. E il total numero di cittadini nella seconda classe ragguagliava a un terzo della prima, quel della terza la metà, quel della quarta pari, e quel della quinta era tre volte maggiore.

Le centurie poi dentro le classi erano metà dei Giuniori e metà dei Seniori. Appartenevasi alle prime pas sati i 15 anni fino a 45 compiti. Entravasi nelle seconde a 46 anni e se ne usciva a 60 compiti.

Le sole tribù dei plebei facoltosi e danarosi, (locupletes, assidui) pagavano i tributi; i proletari non pagavano nulla dei loro miseri averi. Anche i patrizi non pagavano, secondo Vico; benchè il Niebuhr pare che in clini a credere che pagassero. I clienti, i liberti, i forestieri descritti nel censo erano arbitrariamente tassati dall'erario (aerarii) di un testatico (tributum in capite).

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leggi.

Dei Comizi Centuriati. Tencvansi regolarmente nel campo di Marte ogni centuria stando sotto il suo capitano convocaronsi dal re, o da chi ne teune la vece. Statuivano sulle proposizioni del Senato intorno alle elezioni e Potevano rigettarle ma se accettavano si ricercava l' approvazione delle curie. Del resto nulla proporre, nulla discutere. Onde i patrizi perdettero ben poco in questo mutamento perchè nel Senato ebbero sempre maggioranza di voti, perchè potevano rigettare nei Comizi curiati le determinazioni dei centuriati, perché coi voti dei clienti potevano soverchiare o sturbare la volontà dei plebei.

Ordine dato da Tullio alle centurie in battaglia. Innanzi tutto la prima classe mandava al campo 40 centurie di Giuniori: 30 formavano i Principi, to i triari. La seconda e la terza ne mandavano altre 40, 10 d'ogni classe faceano gli astati che aveano scudi, e 10 stavano tra i triari. La quarta e quinta classe davano parimenti 40 centurie: 10 la quarta, ed erano astati senza scudi e con giavellotti; la quinta 30 centurie dei leggermente armati. Queste centurie ordinavansi per file aventi 10 uomini di profondità e tre uomini di fronte. E quest' era la Romana Falange di molto simile alla greca, e che fu prima della legione. Le altre 40 centurie formavano la fanteria leggiera, o la caterva. Fuori della Falange, e della caterva stavano finalmente gli Accensi pronti a riempire i vuoti della battaglia. Chiaro è così che la prima classe la quale aveva più danaro da provveder buona armatura veniva esposta alla fronte del nemico in sulla prima fila a sconto della preponderanza de' suoi suffragi come interveniva appunto ai cavalieri. Le dette 120 centurie sancivano il testamento del soldato in campo, e talvolta eziandio proprie e vere leggi.

Delle vicende di Roma avanti al governo di Servio, e chi fu mai questo re. Fino dal regno di Tarquinio Prisco vedesi la città vestire sembianze si fattamente etru➡ sche, che il Niebuhr avvisa, o che la città venne allora in mano degli Etruschi (probabilmente di quei da Gere), o che al governo di quella ascese un qualche potente signore dell' Etruria il quale introdusse le costumanze e le arti della sua patria. Vogliono le leggende che lo stesso Tarquinio Prisco regnasse sovra tutti gli Etruschi posti al mezzodi degli Appennini, e che anzi fosse egli da Tarquinia o Toscano. A questi tempi si recinse la città di muraglie, aggeri, e fossa i primitivi suoi sette monti; si fondò il Circo, si arginò il Tevere, e si aprirono le stupende cloache opere visibilmente tutte di arte etrusca. Di queste opere se ne attribuiscono alcune a Servio Tullio, quando lunghissimo corso di tempo e più re doverono abbisognare a tanto. Onde poco mancò non si riponesse dal Niebuhr tra le poetiche personificazioni accanto a Romolo e Numa, nella guisa appunto che fece il sapientissimo Vico. Se non fosse che le storie etrusche narravano come il Toscano Mustarna, seguace e compagno fedelissimo di Cele Vibenna, che fu condottiero di etrusche masnade, spento lui, trapassò i confini dell'Etruria e se ne venne su quel di Roma; ove colle reliquie del Geliano esercito occupò il colle, che dal nome del caro Duce appellò Celio, e se medesimo, lasciato il vecchio nome, chiamò Servio Tullio, e tenne il regno. Nella terza edizione della sua opera il Niebuhr torna a vedere in quest' istoria etrusca di Servio come in Tarquinio Prisco, la personificazione dell' idea che Roma ricevè le sue forme etrusche da un re di questa nazione, e tre la Metropoli di un potente stato

etrusco.

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Mancato ai vivi il buon re per le favolose atrocità di Tullia, o più probabilmente per le trame dei patrizi, le libertà e i diritti dei plebei cessarono regnando Tarquinio Superbo. Del resto è pel Niebuhr favola la guerra d' Ardea e la morte di Lucrezia; favola che Giunio Bruto fosse un idiota (da Bruzj brutales): mitica la battaglia di Regillo (onde rappresentarvi la morte degli Eroi, ossia dei principali soggetti del poema intorno ai Tarquini }; e favola che la cacciata dei Tarquini provocasse una guerra con tutti gli Etruschi capitanati da Porsena.

La guerra cogli Etruschi accadde secondo il Niebuhr vari anni appresso l'espulsione dei re. In questa guerra divenne Roma a tali estremità che fu per giunta obbligata di pagare un' annua decima agli Etruschi ed impedita di adoperare il ferro, eccetto che negli usi dell' agricoltura. Vero è che forse quando gli Etruschi vennero disfatti da Aristodemo, riacquistò Roma la libertà ma non l' etrusco suo territorio. E se gli storici anticiparono la data di questa guerra, fu per nascondere in quale stato di grandezza i re lasciarono Roma, e la sua posteriore caduta,

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Dopo la cacciata dei re. Nel primo anno furono con soli Giunio Bruto e Collatino di Lucrezia. Ora pel consolato di Bruto plebeo sospetta il Niebuhr che partecipas sero a tanta dignità i plebei. E dal consolato di Collatino argomenta che venisse stipulato con la gente tarquinia che la quasi regia dignità consolare fosse annualmente propria d' uno dei medesimi, come in Atene lo fu dei Codridi onde Collatino tenne da principio il consolato per quella schiatta; se non che caduto in sospetto fu tutta cacciata da Roma. E perchè nei primi cinque anni dei consoli uno se ne vede sempre scelto della gente valeria, e a quella dati mille altri privilegi, vie più confermasi 26*

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