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foro, luogo delle radunanze plebee; questa prigione non servi sino all'epoca in cui vennero le leggi dell' eguaglian

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che per tenervi chiusi dei plebei od altri uomini di bassa condizione, ed è forse per questo che se ne attri buisce l'edificazione al re da cui si volle che procedá la casta plebea. Si tiene pure come legislazione di Anco il più antico diritto di leggi municipali plebee; così pure i diritti delle tre antiche tribù si stima che appartenessero ai tre primi regni ; e siccome dietro il concetto romano ogni proprietà fondiaria emanava dallo stato, e siccome nella congiunzione dei nuovi comuni gli era differita questa proprietà, che il re conferiva di nuovo, si assegna pure ad Anco una distribuzione di terre (94). Ed essendo questa distribuzione applicata alla divisione delle terre conquistate può essere intervenuto per questo e in grazia del favore plebeo ch' egli abbia avuto il soprannome di buono negli antichi poemi (95); come per altra parte non so stimare che possa procedere d' altro la taccia che gli dà Virgilio d'essere stato vano, e di aver brogliato il favor del popolo. Quelli che vedono con avversione i favori dati da un potere reale e benefico a' dritti nascenti che gernogliano sempre più, non cercano giammai il mobile di questo potere nei sentimenti nobili che onorano ogni principio di vita, e che si rallegrano dei nuovi fiori che porta abborrendo da ogni languore e decadenza, e non accagionavo il bene che a dei motivi impuri che per verità possono talvolta produrre delle azioni generose.

Non vi era spazio presso il santuario della Murcia, fra il Circo e il monte Aventino, che per qualche centinaja di casipole, e non per molte migliaja di famiglie (96). Ma forse non si sono mal apposti gl' annali che asserirono che d'allora un numero stragrande di genti latine libere

furono aggregate allo stato romano. E forse questo fu meno il frutto della conquista che l'effetto delle convenzioni; come per esempio se Roma e il Lazio dopo la caduta d'Alba fossero venute nel disegno onde una parte delle città Albensi e l'altra dei Prischi Latini diventassero Romane, e che si facesse per giunta un altro novello stato di trenta altre città; giacchè nei tempi storici questi stati convennero insieme per alcuni trattati almeno due volte.

Non si potevano ordinare nuovi sudditi in una nuova tribù come i Luceri, poichè era già pieno quel numero che non si consentiva di oltrepassare. Formarono dunque una comunanza ch' era rispetto al popolo delle trenta curie come quella delle trenta città latine era già stata per Alba. Da questa comunanza nacque la plebs che faceva la forza e la vita di Roma; era il popolo d' Anco accanto a quello di Romolo (97). Ed è pure per questo motivo che Anco è posto nel bel mezzo dei re di Roma:

POEMA SOPRA LUCIO TARQUINIO PRISCO E SOPRA

SERVIO TULLIO.

abbiano fatto menzione Tarquinio. Se non che

Non si può presupporre in alcuna maniera che nella loro prima forma gli antichi canti di Demarato nomandolo padre di forse Polibio avea già letto questo racconto negli annali romani e forse era già stato trovato nelle opere d' Ennio per non dire anche nelle forme recenti onde aveano vestito l'antico poema mescolandovi insieme le storie di Zopiro, e di Periandro. Simili canti assumono pure novelle sembianze nelle mani di dotti Rapsodi, dove sono così mobili e di mutabile aspetto sino che si dileguano ad un tratto.

Allorchè Cipselo cacciò sossopra l'Oligarchia e si vendico di quelli che gl'avevano minacciata la vita con degli agguati, Demarato prese la fuga insieme ad altri Bacchiadi. La nobiltà di Corinto avea trovato che le era conveniente il commercio marittimo; quindi Demarato nella sua qualità di navigatore trafficante tenea degli amici a Tarquinia dove si pose. Ei vi apportò dovizie assai; ed ebbe a compagni gli scultori Euchiri ed Eugrammo ed il pittore Cleofanto (98). Oltre le belle arti di Grecia insegnò all' Etruria la scrittura letterale (99). Obbliando per sempre la patria condusse in moglie una donna etrusca chiamando i figli che ne ebbe con nomi del paese e nutrendoli oltre l'educazione del paese nelle civiltà e nelle arti della Grecia. Tenea da una tradizione che sarebbe pervenuto al potere sovrano in Tarquinia (roo). Se non che forse vi è più conformità coi costumi e colle consuetudini del paese nell' altra tradizione che porta che fatto erede dopo la morte del suo primo fratello di tutte le ricchezze paterne; e mosso d'altronde da Tanaquilla che gli era consorte, e che secondo la scienza del paese leggeva nell' avvenire, Lucumone figlio di cotesto Demarato risolse di porsi in Roma e di abbandonare P Etruria dove vi era chiusa ogni speranza di salire in potenza ed in onore. Un augure sopraggiunse a confermare Fintento di Lucumone e di e di sua moglie. E quando dal sommo giogo del Gianicolo scopersero i colli di Roma un' aquila levò al cielo il cappello del pellegrino ed abbassossi di nuovo per adagiarlo sulla testa d'onde lo aveva tolto. Lucumone fu ben accolto in Roma dove ottenne per sè e suoi d'esser fatto cittadino, mutando il suo nome in quello di Lucio Tarquinio e secondo Tito Livio in quello di Lucio Tarquinio Prisco. Era uomo di gran cuore, magni, generoso, e di molta prudenza; pregi tutti che gli

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acquistarono il favore del popolo e del re, che lo lasciò tutore de' suoi figliuoli onde il Senato ed il popolo furono unanimi a porlo nel trono vacante.

Le guerre attribuite a Lucio Tarquinio šono raccontate da Dionigi nella forma di nojose relazioni da gazzette senza parlare delle falsificazioni d'annalisti molto recenti. La nobile brevità di Tito Livio è tuttavia troppo estesa per lo scopo di questo libro. E forse sarebbe un traviar dallo scopo l' indugiarsi ad accennare le contraddizioni che corrono fra questi due autori sul conto delle guerre e di altri accidenti. A stima di Tito Livio non erano che Latini e Sabini quelli che cercarono di attraversare la créscente potenza di Roma non so se con maggiore ostinazione che mala fortuna. Apiolo messa a soqquadro da Tarquinio era una città latina, e così doviziosa che il solo bottino bastò per far le spese ai più splendidi giuochi che si vedessero in Roma. Corniculo fu pure disfatto; Nomento soggiogato ai Romani non che Ameriola, Cameria Crustomerio, Ficulea, Medullia tutte città fra Nomento e Tuscolo e le mnra di Roma (101). Avvene una o due di queste che non sono mai più menzionate. I Sabini erano venuti sino a Roma con molte forze, ma la cavalleria romana li ributtò. S'erano posti a campo sulla riva destra dell' Anio e Tarquinio ne incendiò i ponti con delle zattere infiammate, e ne distrusse l'armata. V' ha più d'una tradizione che si riferisce a questa guerra; per esempio il voto dell' edificazione del campidoglio, e l'uso dei giojelli che portavano i fanciulli bennati; perchè il figlio del re costituito nell' età di quattordici anni ebbe da lui la bulla d'oro e la pretesta essendosi messo sotto un inimico.

La guerra in cui Tarquinio domò gli Equi (102), gli Equi popoli ch' erano allora in assai pericolosa potenza, e

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che diventarono in seguito infatigati nemici di Roma questa guerra viene apposta da Tito Livio al secondo Tarquinio (105). In quanto a Dionigi si mostra al bujo affatto di queste ostilità; ma in contracambio racconta come, per la prima volta cinque grandi città lontane degli Etruschi vennero nel disegno d'inviare ai Latini un ajuto insufficiente, c come quando in progresso i Sabini ebbero fatto una sospensione d'armi d' alcuni anni, tutte le dodici città al di qua dell' Apennino condensarono le loro forze contro Roma, dove dopo aver perduta una battaglia nelle vicinanze di Ereto si rasseguarono al supremo arbitrio del re Tarquinio, e gli resero omaggio mettendo nelle sue mani le insegne della realtà, insegne così magnifiche che fecero più bello il suo trionfo (104). Per questo racconto pare che Tarquinio vicino al termine di sua vita fosse tolto a signore dagli Etruschi dai Latini e dai Sabini. Cicerone si tiene in silenzio sulla grandezza del suo impe.ro, come pur fece Tito Livio; e di tutti gli autori che vennero sino a noi, Floro è l'unico che ne abbia parlato. Nulladimeno chi non conosce che sotto Prisco Roma fosse a maggiore altezza che non era stata dapprima ?

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raddoppiata di numero. dei cavalieri in rapporto le raddoppio dando alle

La vittoria che si guadagnò sui Sabini era tutta dovuta alla cavalleria che aveano Onde per mettere le centurie con questo numero it re tre nuove dei nomi che ricordassero il suo e quelli de' suoi amici. L'augure Atto Navio s'oppose a questo disegno dicendo che Romolo avea instituite le centurie dietro gli auspicj, e che questo scompartimento dei cavalieri non poteva essere cambiato che a bene placito degli auspici. Atto era d'origine sabina, e lo studio di osservar gl' auguri ed interpretarli era un dono particolare della sua

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