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suocero ed essendo Tarquinio già molto vecchio, non gli fu malagevole d'alleggerire i pesi a' suoi sudditi. Così allorquando per una astuzia praticata di spesso in Oriente, si fece intendere che la ferita del re non era pericolosa, e che provvisoriamente Servio avrebbe comandato per lui, la novella fu subito raccolta con molto piacere. Se il regno fosse passato nelle mani degli interrè non stava che nel senato di non far vuotare sull' elezione di Servio abbenchè già di presente tenesse la potenza reale senza essere eletto. Nulladimeno quando la morte di Tarquinio fu conosciuta, le curie gli conferirono l'imperium (115), onde in progresso fu egli il primo a far omaggio alla supremazia delle centurie, facendole pur risolvere in suo favore.

Le guerre di Servio sono ben aliene d' essere la parte più importante delle sue azioni. Un esito glorioso contro i Vejenti di cui Tito Livio fa appena menzione è scambiato da Dionigi in compite vittorie su tutta la nazione etrusca che dopo la morte di Tarquinio si sarebbe pentita della sommissione, ma che le continue battiture avrebbero costretto ad entrare di nuovo sotto il giogo come unica via di salute. Questa falsificazione s'introdusse pur anche nei fasti onde i pretesi trionfi erano menzionati con indicazione dell'anno e del giorno. Pare che nell' antica tradizione Servio sia stato dopo Numa quegli che ebbe minor fama di gloria militare. Le sue leggi erano il suo più gran merito e la posterità lo tenea come l'autore di tutti i diritti dei cittadini, e di tutte le istituzioni politiche nell' istesso modo che faceva onore a Numa di tutto ciò che spettava al culto degli Dei. La costituzione che gli si attribuisce richiede degli schiarimenti che conviene sceverare da questo abbozzo sulle tradizioni. Ma senza dubbio i canti che conservavano la sua memoria vantavano la sua

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generosità per l'uso che fece delle sue ricchezze spegnere i debiti dei cittadini impoveriti e nel riscatto degli schiavi nati liberi; lo proclamavano pure come colui che avesse assegnato un retaggio ai cittadini plebei sulle terre che avevano conquistato col sangue per la patria

comune.

Sia che le loro città fossero state distrutte, sia che esistessero ancora sotto la forma di Borgate, un gran numero di cittadini latini facevano parte del popolo romano che era di già diventato nazione. Nazione già venuta a qualche fatto coi latini che tenevano le loro adunanze sulle rive della Ferentina ma però non aveano ancora fatto lega fra loro. Servio strinse questa alleanza e ne ottenne il governo. Tutte le federazioni dei popoli antichi aveano rapporto al culto comune dei tempii. Il sole e la luna, Diano e Diana, erano le divinità che i latini adoravano come le più potenti, le più visibili e le più favorevoli. Servio conchiuse un trattato fra Roma e le trenta città latine, fra le quali erano eminenti Tuscolo, Gabio, Preneste, Tiburi, Aricia, Ardea. In grazia di questo trattato alzarono in comune un tempio a Diana sul monte Aventino proprio soggiorno dei latini, novelli cittadini di Roma e in questo tempio si espose e si custodì la tavola in cui erano scritte le convenzioni e i nomi dei popoli che comprendeva. E questo si fu perchè apparteneva a

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Roma ed al Lazio che il monte Aventino non fosse compreso nel Pomerie nè quando Servio l'estese congiungendovi il monte Esquilino, e il monte Viminale nè per l' ingrandimento ch' ebbe in progresso.

I Sabini convenivano pure in questo tempio (117). Era nato presso un loro concittadino un toro gigante le di cui corna immani stettero lungo tempo confitte nel vesti

bolo del tempio. Gl' indovini dicevano che la patria di colui che l'avrebbe immolato a Diana sul monte Aventino dominarebbe su tutti i popoli della lega. Il Sabino avea di già adagiata la vittima d' innanzi all' altare; ma il sacerdote romano più astuto di lui mentre gli fece rimprovero d'accostarsi al sacrificio con mani impure e che l'altro si lavava nel Tevere desso consumò l'offerta,

La tradizione reca che i patrizi accogliessero a malincuore le benefiche leggi di Servio; e questo è ben credibile poichè s'era diradato il numero di quei discendenti che erano pieni dello spirito del re Teopompo, il quale rappattumava i rancori della propria moglie facendola persuasa che la potenza limitata è più durevole. A Roma

come nel medio evo le forti case della nobiltà trovandosi in grado di farsi temere erano sudditi che portavano inquietudine; per questo il popolo vide con occhio sospettoso le edificazioni del console Valerio, e per questo impose agli Etruschi di scendere dal monte Celio. Si racconta altresi che Servio quando fece fabbricare sul monte Esquilino e che vi pose la propria sede, proibì ai patrizi di abitarlo come furono interdetti in progresso di abitare il Campidoglio. Gli assegnò a dimora la vallea ove dal loro soggiorno nacque il vicus patricius (118). Questo luogo è à un dipresso dove si trova oggidì santa Pudenziana. I sospetti di Servio non erano senza fondamento, e si può aver come storica la cospirazione dei patrizi condotta da un capo perverso contro questo rispettabile re.

La casa reale di Roma, dice Tito Livio non dovea rimanere incontaminata di tragici orrori. I due fratelli Lucio ed Aronte figli di Tarquinio Prisco aveano condotte in isposa le due figlie di Servio. Lucio macchiato di delitto benchè vi fosse stato tratto da altri avea una donna vir

tuosa. Aronte uomo probo e fidato era congiunto ad una femmina di spiriti d'inferno. Sdegnosa della lunga vita del padre e dell'indifferenza del marito che pareva disposto a cedere il trono all' ambizione del fratello, questa donna giurò la strage di ambidue. Trasse seco Lucio ad apparecchiare con lei la morte del fratello, poi quella della sorella e senza pur far sembianza di lutto si fu sul rogo di queste vittime che i due nequitosi accesero la fiaccola dell'Imene. Tanaquilla sopravvisse a questi orrori (119). Però poco mancò che uscisse di mano ai due colpevoli il frutto del lor delitto; poichè onde meglio adempire la legislazione Servio nutriva il disegno di depor la corona e fondare il governo consolare (120). Questo disegno però non isgomentava meno la casta che vedeva costituirsi per sempre l'odiata legislazione di Servio, se a norma dei commentarj del re si fossero nominati dei consoli. Quando la congiura parve condotta a maturità, Tarquinio convenne in senato vestito delle insegne della dignità reale e i sediziosi lo salutarono principe. Informato di questi colpevoli moti il re si affretta di correre animosamente alla Curia, ed alla soglia medesima della porta prorompendo contro a Tarquinio come a ribelle, questi afferra il debile vecchio e lo precipita dall' alto dai gradini. Sanguinoso e mutilato Servio è fatto scampare da alcuni suoi fidi, ma prima di toccare la soglia della sua casa fu raggiunto dai satelliti del tiranno che lo trucidarono e ne lasciarono il cadavere bagnato nel proprio sangue.

In questo mezzo Tullia impaziente accusava la lentezza del messo che doveva recargli il fortunoso accidente. In tanto trambusto ella si fece condurre alla Curia, e salutò il proprio sposo col nome di re. Egli stesso raccapricciò della sua gioja e le intimò di retrocedere. In una contrada che serbò sempre il nome di scellerata giaceva prosteso il

cadavere del padre; a tal vista si arretrarono i muli. Lo schiavo contenne le redini, ma ella lo forzò a passare col corpo di Servio, onde il sangue schizzò sul carro

carro sul

e sulle vesti.

Da un'altra tradizione accomodata da Ovidio (121) pare che la ribellione di Tarquinio occasionasse un combattimento tra i suoi partigiani e sudditi rimasti fedeli al re, il quale fuggendo verso casa, fu ucciso al piede del monte Esquilino, di modo che il suo corpo sanguinoso si trovò sul cammino, quando Tullia si fece condurre verso la casa reale per occuparla da regina.

Ardì un giorno di entrare nel tempio della fortuna ove era in venerazione la statua di suo padre, la quale si tolse a suoi perfidi sguardi (122).

Il popolo attonito e spaventato si lasciò nuovamente aggravar di catene; ma però allorchè sulla funebre bara apparve l'immagine del re vestita degli onori del suo grado, subito si svegliarono le più nobili e le più vive passioni; e niente avrebbe potuto contener l'impeto della vendetta, se non che la leggerezza della moltitudine è tale che bastò di velare quel venerato volto per porre in calma tanto furore (123). Visse lungo tempo nel popolo la memoria di Servio, e siccome la tradizione lo faceva nascere un giorno di none, senza che si sapesse di qual mese, fu celebrata tutti i giorni di none. Crebbe sempre più questo culto, se non che quando i patrizi tennero soli il governo consolare opprimendo duramente il comune, il senato stimò necessario di prescrivere che d' ora innanzi non si terrebbero più i mercati in giorni di none, finchè il popolo della campagna fatto sdegnoso nelle adunanze dall' oppressione presente e dalla memoria di tempi migliori, non imprendesse colla violenza a ritornare in vi◄ gore le leggi del martire (124).

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