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Ho già fatto notare che il Locumone che è nominato nella guerra contro i Sabini (141), non è altri che Cele tratto sino ai tempi di Romolo; perchè Lucero era accanto a Roma da tempo immemorabile, e i Tusci di Celio furono scambiati per Etruschi. Questa traccia ne conduce più oltre, e per non accennare che la diversità delle tradizioni è molto probabile che in un' altra cotesto Locumone Tarquinio fosse il medesimo condottier Tusco: in questo caso l'ammissione delle minores gentes o famiglie inferiori dei Luceri, risponderebbe appuntino alla stanza che presero le bande di Cele. In questo modo mi studio d' accostarmi alla tradizione romana che lo proclama come un capo avuto per tale da tutta l' Etruria accostandomi del pari alla tradizione Etrusca sul conquistatore Tarcone fondatore di Tarquinia (142), che era nato col senno e colla canizie di un vecchio. Ma i Rasenati si usurpavano Tarcone l'uno dei Telefidi come gli Ilii Greci facevano di Ettore e degli Eroi Trojani. Ma egli spetta senz' altro ai Tirreni ed è probabilmente l'aponimo della gente Tarquinia.

Mi fermo a questo luogo, persuaso che se si può da un' alta cima ravvisare in una lontananza confusa qualche punto determinato, colui che calasse al basso per accostarvisi, ne perderebbe la traccia, onde senza una guida che gli mostrasse il cammino si smarrirebbe affatto in un vano viaggio. Forse sarebbe impossibile a contraddire apertamente alla narrazione etrusca se noi la tenessimo immediatamente in un modo non dubbio dai più antichi annali ; ma non conciliabile del resto con la rimanente istoria, noi non sapremmo trarne conseguenze di sorta. Nulladimeno purchè non si obblii che l'Etruria fiorì sino ai tempi di Silla senza mutare l' indole della nazione, si potrà aver come certo che in tutto questo tempo gli annalisti si tennero Niebuhr T. II.

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dietro l'un l'altro, e che presso cotestoro come presso i Romani, l'ultimo che sopravveniva ne sapeva sempre di più de' suoi predecessori, senza però aver attinto a fonti più nuove. Claudio era male atto ad ogni genere di buon giudizio, e se un autore qualunque, purchè fosse recente ebbe la vanità e l'arbitrio di scambiar Servio Tullio in quel fido e costante Mastarna della vecchia leggenda, non avrà saputo sceverar tutto ciò da una vera tradizione.

Non voglio indugiarmi più lungamente a spigolare in questa messe, ma in questo racconto, come in quello che seguita ordinariamente sul conto di Lucio Tarquinio Prisco, si vede chiaramente il pensiero che un giorno Roma abbia avuto delle forme tusche da un principe di questa nazione, e ch' ella era la splendida capitale d'un possente stato di Etruria.

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L'indole etrusca di una parte della scienza religiosa indole attestata dagli studi che fino dagli ultimi tempi la gioventù romana si conduceva a compire per opera di orali tradizioni; l'origine di tutte le scienze profane dei romani prima dell' introduzione delle letteratura greca; la fede che si accordava a dei testimoni sulle sorgenti comuni di molte politiche istituzioni; tutto in fine, e sino ai nomi delle antiche tribù (143) giovò a fondare da lungo tempo che gli Etruschi costituivano nella composizione dell' antica nazione romana un elemento molto più notabile che non lo dicono gli autori che noi abbiamo ancora per le mani. Quand' uno rimova dall' istoria un origine Albana ecco subito corrergli alla meute il pensiero d' una colonia etrusca. Sospingersi tant' oltre senza pure il conforto d' un' autorità per parte degl' antichi, tenea più che dell' audace. Ad ogni modo colui che scruta degl' errori ben fitti addentro col proposito di disgombrarli, colui che li combatte

senza posa, non può sempre schermirsi da certa esagerazione; si è la conseguenza del vile aspetto con cui gli si parano dinanzi tutte le cose che sentono più o meno di questi errori. La moderazione non può venire che dopo la vittoria; allora è il tempo d' indagare nell' alterata opinione che già prevalse, la traccia d' una verità ottenebrata da un' ingannevole sembianza; allora l'uomo di buona fede farà un sagrificio spontaneo delle sue ipotesi, non d'altro studioso che di mettere in onore la verità scevra di tutte quelle parti che la fanno disamare.

Tengo come vantaggio di questo genere prima di tutto l' essersi rilevato che molte cose che passano per Etrusche sono Tirrene, e per conseguenza affatto forestiere pei Latini; e mi compiaccio dell' altro rilievo che l'influenza degl' Etruschi su Roma indicata dai Romani per via del governo del primo Tarquinio, e dagl' Etruschi per la sopravvenienza dei soldati di Cele, hasta per ispiegar tutto il resto, cosicchè non è più necessario di rivocar in dubbio l'origine latina dei primi Romani. Sono entrato in convincimento che essendosi serbata fresca e recente la me◄ moria di Cere, come l'Agilla pelasgica, non possa datare da' tempi troppo antichi la conquista di questa città fatta degl' Etruschi, e i loro progressi sulle rive del Tevere, conchiudendo del pari in favore della possibilità d'una colonia a Roma e della floridezza dei Sabini che s'erano posti in quelle contrade prima di loro. La più grave obbięzione che mi potrebbero fare sarebbe sul conto dei nomi tuschi delle tribù. Però non è ancora risolto se l'etimologia di Volnio sia migliore e più certa delle etimologie latine di Varrone, quand' anche non avesse abusato del vantaggio di non poter essere giudicato da persona.

In tutti i modi, se mai si conobbe una volta in Roma

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la dominazione etrusca, non può essere intervenuto che nella breve conquista di Porsena ; o forse una delle tre città più vicine venne in signoria di Roma, o vi si stanziarono i soldati di Cele, o qualche banda consimile. Ciò che porge il maggior fondamento alla prima ipotesi, e specialmente a quella che pone in Roma una colonia di Cere, si è il diritto d'isopolitia dei Ceriti e l' affinità dei culti religiosi. I cittadini delle colonie romane propriamente detti godevano il diritto di cittadinanza, ma senza suffragi, ed i Romani per quel che poteva importare esercitavano il diritto di cittadinanza nelle colonie. Poniamo che una simile città Anzio od Ostia si fosse resa indipendente sorgendo a quell' altezza da cui Roma sarebbe caduta, senza però che la colonia mutasse le antiche forme, allora l' isopolitia presso di lei avrebbe potuto essere chiamato diritto dei Romani. A questo modo si può spiegare alla meglio come sia sorto in Roma il diritto dei Geriti. L'etimologia della parola cerimonia che si deduce da Cere, per quanto appaia lievissima l'autorità dei grammatici Romani che ce la diedero non è scevra affatto di

verosimiglianza, e si può essere tentati di non ispiegar altrimenti la circostanza d'aver recata a Cere e non altrove i sacri arredi nel disastro dei Galli. Tuttavia ciò non basta quando occorrono prove. Quale sarà dunque in questa faccenda la parte d' Agilla e quella di Cere? Un dominatore Etrusco per introdurre delle leggi veramente etrusche ha potuto trarre dei sacerdoti e degli istitutori da una città vicina ed amica, e quindi venire dei vincoli perpetui fra le caste sacerdotali delle due città; e quanto al godimento dei diritti civili, i trattati li possono fermare come accade anche fra due popoli forestieri. La stretta congiunzione di Roma col Lazio, l'ordinamento delle cen

turie costituite nell' uno e nell' altro paese, non si pos sono per niente conciliare con l'ipotesi di una colonia etrusca ma bensì con quella di una grande influenza avuta da quel popolo. Se malgrado le fitte tenebre vi fosse taluno che si vantasse di poter risolvere una siffatta questione, persona non l'ascolti.

Ciò che interdice di traveder nella storia il dominio etrusco non procede soltanto da generali cause d'errore e di distruzione, ma altresì perchè in quell' età in cui stavano ancora dei monumenti scritti che non erano eterni, regnava un popolo, che franeo ormai dal giogo straniero cercava distruggere perfino le ultime ricordanze della schiavitù in cui avea già vissuto. Così quando fu ristaurata la letteratura antica si videro degli storici italiani, vergognosi della dominazione dei barbari, sognare che Narsete avesse cacciati i Goti, e Carlo Magno i Longobardi da tutta l'Italia ridonando ai Romani la loro patria non più contaminata dalle leggi e dalla presenza dello straniero.

Il caso della morte di Servio che da due mille anni si è perpetuato sino a noi, e che durerà quanto la memoria del re di Roma, può essere così lontano dalla realtà storica quanto il figlio d' Ocrisia è lontano dal capo etrusco Mastarna : i delitti di Tullia possono essere così mal fondati come quelli di Lady Macbeth. È però incontrastabile che si sospesero in gran parte le leggi di colui che chiamò il comune alla libertà. Questa contro rivoluzione dei patrizi (delle gentes), fu ella l'effetto di semplici minaccie o di un potere ottenuto per sorpresa? Fu ella condotta con una barbara effusione di sangue? A noi che monta! La tradizione lo ha suggellato con tutte le sue conseguenze in ciò ch' ella racconta del regno di Tarquinio il tiranno.

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