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Queste benefiche leggi all' incontro, e il compimento della costituzione e il termine della città fanno presupporre uno stato antecedente che noi nominiamo convenientemente col nome di Romolo; ciò che sparge di qualche splendore i regni del primo Tarquinio e di Servio. Le indagini che ne seguitano mi conducono alla parte più essenziale e più vera della storia.

COMPIMENTO DELLA CITTA' DI ROMA.

La festa sopranominata Septimontium portava seco la ricordanza di un tempo in cui il Campidoglio, il monte Quirinale, il monte Viminale non erano ancora congiunti a Roma; ed in cui le altre sue parti tranne l'Avventino che era e che restò Borgo costituivano una comunità urbana che Servio in progresso cinse di mura (144). Consisteva in sette circondari che dal tempo di Tiberio aveano ancora come tali, le loro feste ed i loro sacrifici particolari a ciascuno (145). Si chiamavano Palazio, Velia, Cermalo (146), Celio, Fagutale, Oppio, Cispio, (147). Essi però non sarebbero tutti convenientemente designati dal nome di un monte; perchè l' un d'essi era al piede d'una collina, e forse ve ne era più d' uno; oltrechè ve ne aveano pur anche sulle alture che si tennero in seguito come una parte della montagna vicina, giacchè non se ne voleano annoverare più di sette in Roma; massime che a proposito di questa divisione s' applicarono delle forme antichissime e fatte pei più stretti rapporti a delle cose che s' erano allargate di molto (148). Il quartiere chiamato Velia era la collina che dal palazzo volge verso le Carine ove sta il tempio della pace, e quello di Venere e di

Roma (149). Oppio e Cispio sono i due colli degli Esquilii; ma il Cermalo è la regione del monte Palatino laddove sorgeva il Lupercale ed il fico ruminale; prima di Tarquinio Prisco questo terreno tutto sommersO era inondato dalla parte del Velabro. Dopo tutto questo non è più necessario di immaginare che il Fagutale sia stato una collina, e come non è credibile che si sia lasciato senza abitazione e senza nome il vasto piano che corre fra il Palazio, il Celio, il Septizonio ed il Culiseo, mentre ch' ella non avea bisogno come i luoghi più bassi, ¿ essere prosciugata, io stimo che sarebbe in questo luogo dove si potrebbe con maggiore probabilità cercare il Fagutale.

Non v'era muro che chiudesse in un recinto comune questi luoghi che erano sorti gli uni a ridosso degli altri. Ho già tracciato il contorno del Pomerio di Romolo, ed ho già detto che oltre la via del Culiseo questo Pomerio aderiva al bastione di terra che faceva di difesa alle Garine (151). La Subura era allora un villaggio più sottoposto in giù di questa difesa dall' altro lato della valle (152). Vi ha luogo a credere che il Cispio ed il Celio erano fortificati all'antica maniera Italica colle pareti fatte a scarpa, e che laddove la natura del luogo nol consentiva, vi avevano condotti dei fossi e dei bastioni. Il monte Avventino che era isolato era per sua natura di facile fortificazione.

Ma ciò che ne avea maggiore urgenza si era la pianura fra il Palazio ed il Celio, poichè da questi in poi non vi erano altri luoghi aperti. Ora la difesa che la natura medesima indicava come più acconcia a questo suolo fecondo di sorgenti, era un fossato condotto verso l'angolo del nonte Avventino facendo capo dalla porta Capena ; la erra che se ne cavò costrusse per se sola un bastione. In

questo verso correva la Marrana, e il fosso dei Quiriti che si annovera fra le opere d' Anco (153). Chiunque si immagina la disposizione della città non può cercarla che quivi, e non già nella pianura dove più tardi fu fatto sorgere il baluardo di Servio; perchè il monte Viminale ed il monte Quirinale non era ancora una cosa con Roma.

Dal giorno che si posero in comunione il Septimontio, i colli Sabini e l' Aventino sorse il principio d'una nuova città che prese nascimento dalla costruzione della grande cloaca in cui si versarono tutte le acque del Velabro, e che ebbe dal suo autore tali dimensioni che vi avrebbero potuto scaricare ben più notabili bocche d'acqua.

Senza volere usurpare quello che spetta alla topografia di Roma, l'istoria può dire che la volta interna di questo meraviglioso edificio avea diciotto palmi di diametro e di spaccato, e che era compresa in un' altra volta, la quale pure entrava in una terza, volte tutte costruite di rottami di peperina, lunghi sette palmi ed un quarto, alti quattro ed un sesto, senza cimento di sorta. Questo canale sotterraneo conduceva a sboccare nel Tevere come lo farebbe una porta nella muraglia della riva che ha il medesimo carattere e convien pure che sia contemporaneo poichè difende il Velabro dall' approccio del fiume. Questa cloaca non poteva bastare che al Velabro ed alla Vallea del Circo; onde erano necessarii ben più considerevoli edificii per condurvi le acque del suolo del foro e della Subura come pur quelle che discendevano dalle colline. Così gli scavi fatti nel 1742, rivelarono una volta non meno meravigliosa (154), che dal Velabro trapassando sotto il Comizio ed il foro veniva a riescire a s. Adriano 40 palmi più in giù del suolo presente. La disposizione dei luoghi fa veder chiaramente che d'ivi si potrebbe tener

dietro a questo condotto sotto il foro d' Augusto (155) fino nella Subura (156).

Quindi bisogna che la parte di questi edificii sgombrata allora dai Fenili sino a s. Adriano, sia ben più recente della cloaca del Velabro; perchè Ficoroni che è un testimonio ben degno di fede, dice che era di Trevertino e benchè non lo dica che di passaggio, ei fu testimonio di vista, e non può essersi servito di una falsa espressione. Questa specie di materiali non fu posta che lungo tempo dopo i re, i quali facevano uso delle pietre di Alba. Per verità non si può dubitare che vi avesse da principio una cloaca che partiva dalla Subura perchè senza ciò non sarebbe stato possibile di creare il foro; ma questo scopo poteva aversi anche per via di chiaviche come quelle di cui ci serviamo al presente; se non che le costruzioni di questo genere sono poco durevoli. Dionigi racconta sull' autorità di Acilio (157), che scrisse posteriormente ai 570, che i censori dispensarono un giorno mille talenti per la riparazione delle cloache, ciò che farebbe incirca 5,500,000 della nostra moneta; ma non vi era un asse da spendere per quelli che erano costrutti come li vediamo oggidì. I terramoti, il peso di numerosi edifici, la non curanza di mille e cinquecento anni, non ha potuto pur smovere una pietra, e in 10000 anni queste costruzioni saranno così intatte come lo sono di presente. Nulladimeno ciò che poteva importare l'impiego di questa somma che forse per la poca accuratezza del relatore, ha potuto essere riscambiata in una riparazione (158), si è la sostituzione d'opere non caduche, e simili a quelle dei Tarquinii ad altre opere imperfette che aveano di necessità d' essere ristorate. Bene è inteso che le acque della valle del circo si versarono pure nella prossima cloaca, e non è inverosimile

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che intervenisse lo stesso di quelle dei Fori fra il Campi doglio ed il fiume. All' incontro le colature del settimo e del nono quartiere costituivano un sistema a parte, ed è un concetto che non si può ammettere il voler tentare d'aggiungere la parola cloaca alla designazione in maxima che seguita il nome della chiesa di s. Ambrogio (159). Gli Esquigli avendo già appartenuto al Septimontio, la ver sione di Tito Livio per cui Servio Tullio non avrebbe fatto che edificare, ed aumentarne la popolazione (mentre avrebbe aggiunto alla città il monte Quirinale ed il monte Viminale) (160) sarà una figura molto più esatta degli accrescimenti successivi di Roma di un' altra versione che nomina questa doppia collina fra quelle che Servio annes se pel primo al suo recinto. Ciò che può far congetturare che allora v'aveano dei villaggi appartati sull'Oppio e sul Cispio si è che nella divisione in quattro regioni urbane la Subura e le Carine erano legate al monte Celio é non alla regione esquilina.

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La congiunzione di tutta la città si operò militarmente colla costruzione del Vallo; quella del quartiere della regione della collina cogli Esquigli deve essere una conseguenza di questo lavoro a cui era così aderente che Tito Livio che segue delle autorità antiche assentendogli Servio per autore (161) procedette con più giudizio di Dionigi e di Plinio che attribuiscono questa congiunzione a Tarquinio il tiranno (162). Qualunque sia l'autore di queste opere non erano però da meno dei condotti, e in quell' età in cui le immense ricchezze dell'impero fecero sorgere il Culiseo, erano degni ancora dell' ammirazione di Plinio. L' agger o bastione correva per lo spazio di sette stadii (sette ottavi d'un miglio) dalla porta Collina sino alla porta Esquilina. Un fosso largo più che cento piedi con altri trenta di sfondo, cavato in un terreno non petroso,

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