Immagini della pagina
PDF
ePub
[ocr errors]

Metterei innanzi come un pensiero che non ha altro fondamento che in se, che in origine i re erano i patroni del comune come si vide molto più tardi tutto l'ordine dei cavalieri avere per tale M. Manlio. Ma il pessimo di tutti gl' errori e che può trarre ai più iniqui giudizi, si è di tenere i plebei come nati dai clienti dei patrizi e di farne cosi dei vassalli ereditari ribelli. II

progresso della storia mostrerà che i clienti erano affatto stranieri al comune plebeo e che non vi parteciparono che in grazia d'una fusione operata assai tardi, quando i vincoli dell' obbedienza erano già infranti dall' estinzione o decadenza delle famiglie patrone, non che del progresso generale delle cose verso la libertà. Avremo di ciò in Dionigi le più irrefragabili prove, il quale benchè avesse per verità concepito quest' errore, nella particolarità però copia gli annali Romani che non obbliano i veri rapporti.

Qualunque si fossero quelli del comune verso i re è però certo ch' ei trovò protezione contro l'oligarchia (180). È certo altresì che i re non potevano non tener conto di questa verità, che i plebei costituivano in una proporzione sempre crescente la parte più importante degli eserciti, e che su lor riposavano tutte le speranze future; infine che Roma non avrebbe potuto riescir a grandezza nè perseverarvi a meno che le leggi avessero dato favore all' ordinamento d' un gran popolo romano costituito degl' elementi d'ogni popolo italico.

[ocr errors]

Sino dal re Anco esiste la plebe come parte libera consentita ed assai numerosa della nazione. Ma prima di Servio non era costituita che di parti accumulate senz' ordine, non partecipando per anco del beneficio d'un interno ordinamento; la divisione più naturale di un comune di campagna si era quella per cantoni; divisione che s'incontra tanto nell' Attica quanto a Roma (181). II

principio che resse questa divisione come quella della gentes, fu l'imitazione di ciò che esisteva; ma quivi come altrove uon si congiunsero gli elementi come si trovavano secondo il numero e le differenze che segnava il caso; ma si partirono le campagne in un numero fisso di cantoni, in alcuni dei quali forse dimorarono intatti e senza eangiamenti i principj vigenti mentre che la più parte debbono aver avuto una nuova forma per via delle disgiunzioni e congiunzioni che seguivano. Allorchè Clistene scomparti il popolo dell' Attica in cento demes (182), procedette veramente così; trovò dei demi già vigenti, ma nessun caso può avergliene offerto il numero. Servio che divise i plebei di Roma in un certo numero di tribù, non si sarà punto affezionato ai vincoli antecedenti di cui forse non rimancano vestigi che nei pagi. Ma come noi l'abbiamo di già notato, il corso dei tempi trasformò questa divisione di luoghi in divisione ereditaria di famiglie (183). A chiunque passava d'Acarni o da Ranno tant'a lui che alla sua posterità restava il privilegio di partecipare a una fili del luogo. Onde è probabile che ad Atene quando si avea qualche grave motivo per chiederlo non era impos

sibile d'essere scritto in u un altro filo. E senza dubbio i censori Romani che negli ultimi tempi della repubblica can. giavano spesso a loro piacere, ebbero dalla prima origine il diritto d' accordare delle mutazioni di questo genere fra le tribù del medesimo grado. Ma un carattere più insigne di queste tribù locali si è che non erano chiuse ai nuovi membri. Per cui quando un diritto di città di un minimo grado si collocò al loro posto, chiunque ne pareva degno, e perfino degli intieri distretti, trapassavano dall' esercizio di questi diritti nelle tribù plebee, tanto che dei patrizi medesimi vi potevano entrare.

Ad ogni tribù locale corrispondeva una regione (184) e si inscrivevano come tribules (membri di queste tribù ) tutti gli uomini liberi indipendenti e non compresi nelle gentes, che alla fondazione della costituzione abitavano il territorio dello stato. La regione portava seco il medesimo nome della tribù tanto in città che in campagna (185). Le quattro regioni urbane o quartieri di Servio perdurarono sino ad Augusto, il quale per rispondere al bisogni del tempo, accagionati dal crescere della città, la divise in un più gran numero di regioni. Questi quartieri rispon devano alle quattro tribù urbane (186), e su questo proposito non v'è più alcuna discordanza d' opinione. Ma in quante regioni era diviso il territorio di Roma quando fu creato l'ordine dei plebei? E per conseguenza quante tribù plebee si instituirono da principio ? Dionigi s' incontrò in tante contraddizioni su questo particolare, e Tito Livio pure stimò l'enigma talmente insolubile che si restringe a far menzione delle tribu urbane, come se esse soltanto fossero state instituite da Servio. Quando per l'anno 259, quest' autorë lësse negli annali e dépose nel suo libro che le tribù furono ormai portate a 21 egli ha senza dubbio congetturato se si rammentava del tempo antico, che Servio avea distribuito il territorio in 16 regioni.

Prima di lui, un uomo più colto, Catone medesimo avea lasciato la cosa irresoluta. La ragione si è perchè si riputava senz' altro che un numero di tribù superiore a 20 non si poteva conciliare con quello dell' anno 259, che era divenuto certo per via degli aumenti progressivi. Il senno e la buona fede di Catone non gli lasciavano apporre direttamente il numere venti all' autorità degli antichi annali, come pure all'autorità dei liberi degli auguri e dei pontefici. Si poteva leggere ovunque come da

[ocr errors]

20 le tribù erano venute in un più gran numero e quel Venonio appena noto che attribuiva a Servio la creazione di tutte le trentacinque tribù si mostra d' una leggerezza ed ignoranza senza pari. Però Dionigi sulle traccie di Fabio racconta che Servio divise la campagna in ventisei regioni di modo che con le quattro della città vi sarebbero state trenta regioni, e trenta tribù (187). Ciò che ne accerta che Dionigi malgrado questa bizzarra relazione è un testimonio sicuro, si cava da un frammento di Varrone ove è detto a proposito d' un uomo che non è punto nominato, che distribui delle terre agli uomini liberi in ventisei regioni (188) intorno la città ciò che non si può riferire che a Servio Tullio ed alle sue tribù. Ora però ciascuno potrà avvisar facilmente che il numero di trenta tribù plebee ha una vera somiglianza intrinseca e solenne, perche i patrizi ed i latini, fra cui si allogavano i plebei come un corpo di mezzo che stringeva gli uni agli altri aveano pure questa divisione in trența congregazioni. Questa verisimiglianza è siffattamente grande che quand' anche non si avesse alcun dato, purchè non vi fosse nulla che contraddicesse a questo numero, l' analogia condurrebbe ad accoglierlo positivamente. L'unica cosa che fa meraviglia si è di vedere che prima dell' ammissione della tribù Crustumina si siano trovate dieci tribù di meno,

[ocr errors]

Ciò che ne porge l'assoluzione di quest' enigma, si è l'intiera concordanza delle regioni e delle tribù; e nell' istesso modo che il registro delle proprietà fondiarie, 0 loro assegnamento nei limiti di un cantone, fondava una tribù locale nell' istesso modo che la raccolta delle voci, per regioni, era sinonimo di prendere i suffragi per tribù plebee; così pure conveniva che una tribù si dileguasse, se lo stato era costretto di cedere la regione

ciò che era la sua base. Gli Elei aveano dodici fili; e furono obbligati d'abbandonare agli Arcadi una parte del loro territorio ed i demi di questa, di modo che non rimasero più che otto fili (189). Si consente che Roma nel suo trattato di pace con Porsenna fu tenuta d'abbandonare le terre che avea sulle rive etrusche. Farò vedere come è privo di fondamento storico il racconto che reca che queste terre siano state restituite a Roma con una grandezza d'animà romana. Ora le tradizioni sui tempi più antichi e l'istoria più autentica di Roma porgono frequenti esempi di vincitori che tolsero al popolo domo, un terzo del suo territorio. Se Porsena si tenne a questa risoluzione rispetto a Roma, ciò spiegherà come venisse meno precisamente un terzo delle primiere tribù (190). Confessando questa diminuzione, gli annali avrebbero lasciato scorgere chiaramente ed in tutta l'estensione la prostrazione di Roma, e sarebbe stata svelata la vanità della favola secondo la quale sarebbe stata ad un tratto obbliata questa disgrazia (191).

Fa meraviglia che queste tribù non rispondono pel numero alle tribù delle case ma alle curie che ne sono parte. Il che ne conduce a sospettare che il loro nome in origine potesse essere stato diverso, e che dieci fra loro costituissero una tribù plebea; e per ultimo che queste tribù prima in numero di tre sarebbero state ridotte a due. Ciò che francheggia quest' ipotesi si è che all' epoca della ritirata crustuminiana, due tribù erano alla testa del comune, e che in progresso quando il potere consolare si affidò ai tribuni militari dei due ordini il loro numero determinato era propriamente di sei; nell' istesso modo che vi aveano tre patrizi per le tre tribù, come pure tre plebei. Però potrebbe essere intervenuto che non avessero voluto altro che porre a lato di un dato numero di pa

« IndietroContinua »