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trizi, un numero eguale, e che all' epoca dell' accidente che rammentiamo si fosse stimato che fossero troppo venti uomini per condurre un popolo in tumulto, e per la prudenza delle negoziazioni; e che in conseguenza ogui decuria de' tribuni avesse designato un rappresentante. D'altronde queste decurie non avrebbero avuto come quelle del senato, un capo per ciascuna in simili occasioni? Infatti ci si dice che i plebei nel tempo della seconda emigrazione aveano venti decurie che traevano dal loro grembo due rappresentanti (192), e siccome non si annoveravano che i suffragi delle curie, aveano tolta ogni importanza alle tribù di Romolo; e presso i latini del pari non rimane vestigio di una divisione soprastante a quella dellə trenta città.

Non si può immaginare filo, senza Filarco, la tribù senza tribuni ; e quando Dionigi ne dice, a proposito delle sue tribù urbane che Servio mise un tribuno a capo di ciascuna e che questo tribuno avea l'ufficio di aver nota esatta delle fortune, e che i servigi militari erano governati a questo modo (193) non restringe la sua asserzione alle tribù urbane se non perchè quelle della campagna erano un enigma per lui. Questa missione di sorveglianza, d' investigazione e di designazione ripugnava allo spirito delle ultime età, ove, le varietà individuali cssendo più moltiplici, si riclamò per le necessità che urgevano una più larga libertà. Non pertanto non si videro spegnersi che queste attribuzioni, e i tribuni del fisco (Aerarii) che si mantennero sino alla fine della repub¬ blica, non paiano essere stati che i successori di quelli. Dappoi che il popolo romano non pagava più l'imposta, sparve da se la parte principale dell' ufficio di questi collettori ; però stettero sempre come cittadini giurati, e la

legge aurelia li chiamò ai tribunali come rappresentanti il corpo dei più onorevoli cittadini,

Il progresso di questa storia, ne farà chiaro che queste tribù dapprima non aveano che dei plebei, e che i patrizi ed i loro clienti non vi furono inscritti che molto più tardi. In quanto al presente mi stringo a ricordare che l'assemblea delle tribù era il dominio dei tribuni del popolo, e che giammai non ẹra convocata da un magistrato patrizio; anzi i patrizi e i loro clienti erano tenuti a ritirarsi dal foro nel tempo delle sue adunanze, senza aggiungere che le centurie erano una forma di riunione e di mediazione di cui non si avrebbe avuto altrimenti bisogno. È vero che si narra che la tribù Claudia fu composta dei clienti della gens; ma oltre che questo è molto incerto ciò non si allontanerebbe maggiormente dal dritto comune dell'ammissione dei Claudi al patriziato, e per conseguenza nelle tre tribù al posto della gente Tarquinia che era stata gittata fuori. Potrebbe essere che la creazione di questa tribù Claudia fosse stato un saggio per rinnovare a poco a poco le dieci che erano annichilate sostituendone delle nuove, tratte dalla clientela.

Quivi voglio prevenire un' obbiezione che forse mi potrebbe fare in progresso un osservatore accurato. Quando non si dubitava peranco che queste tribù fossero state una divisione generale della nazione come l'erano quelle di Romolo; quando si tenevano le gentes come famiglie secondo il senso che noi diamo a questa parola, alcune persone che senza dubbio si saranno maravigliate di vedere certe tribù nominate col noto nome delle più illustri genti patrizie (Emilia, Cornelia, Fahia) hanno dovuto pensare che fosse così intervenuto in grazia dell' onore che aveano queste tribù di tener nel proprio seno una di queste fami

glie co' suoi clienti. Ma io vi ravviso piuttosto una spiegazione nel modo con cui si sono andati formando i nomi delle gentes. Non v'è Ateniese della fila Aeantis che si credesse discendere d' Ajace, e niun abitatore di Formio che pensasse di venire da Emilo. Essi non erano che degli eponimi, dei patroni venerati da tutti i membri della tribù come i geni tutelari comuni. Nè prima che intervenisse certa confusione di idee i Cecilj poterono trarre la loro genealogia fino a Ceculo, i Fabj ad un Fabo o Fabio, i Giulj a Giulo. Quando una gens porta il medesimo nome d'una tribù si può presupporre che tutte e due fossero così nominate in grazia dei medesimi indigetes, a cui l'una e l'altra offrivano dei sacrifizi come a patroni di un ordine superiore (194).

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Ciò che suggella il carattere plebeo delle tribù di Servio (195) si è che Varrone lega la loro organizzazione all'assegnazione delle proprietà fondiarie. Sono necessarj alcuni sviluppi particolari e distesi sul diritto del godimento dei dominj pubblici in quanto al possesso e sul diritto di farvisi assegnare la proprietà. Non farò che accennare che il primo procedeva originariamente dai patrizi che ne investivano i loro clienti, dove invece la proprietà apparteneva esclusivamente ai plebei. E in altri termini tranne quello che era sotto le mura stesse della città, la vera proprietà fondiaria, non si trovava che nelle mani degli ́ ultimi. E tutti gli assegnamenti delle terre non si facevano che in favore dei plebei e non erano che transazioni per parte loro al godimento dei dominj; senza parlare che rispetto le distribuzioni generali delle terre, questi plebei sono quasi sempre formalmente nominati come investiti di modo che anche laddove non sono citati non potrebbe nascer dubbio che è di essi soli che si parla (196). Se Niebuhr T. II.

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dalle distribuzioni anteriori agli uomini liberi, e del ge nere di quelle che si riferiscono ai re sabini Numa ed Anco, hanuo riconosciuto i diritti di quelli che appartenevano al comune non sorto peranco al grado d' ordine dello stato, l'effetto di questa assegnazione sarà stato di fissare l'essere dei plebei nel loro carattere distinto di proprietarj liberi ed ereditarj.

Da quest' epoca la nazione romana si costituì di due ordini cioè del populus o borghesi, della plebs o comune. L'uno e l'altro nell' intenzione del legislatore erano egualmente liberi ma differenti per gli onori, ed i patrizj come fratelli primogeniti ed individualmente come membri di un corpo molto meno numerosi si trovavano verso i plebei in un essere così profittevole come l' erano le gentes majores verso le minores. Io non cerco di entrare nell'arcana teologia degli antichi, ma è manifesto che i romani si raffiguravano come divisa in due sessi ed in due persone ogni parte della natura, ed ogni forza vivente ed intellettuale così vi era Tellus e Tellumo, anima ed animus. Probabilmente interveniva lo stesso della nazione considerata come populus e plebs che per questa ragione forse avevano nome maschile ed un nome femminile. Il significato del primo di questi vocaboli in quella parte che accenna l'assemblea sovrana delle centurie, appartiene ad un' epoca più recente; dove significa la nazione intiera ad un' epoca molto più recente ancora ; e ciò non tolse al pristino significato di vivere ancora assai lungo tempo. L'istoria dice che per l'anno 341 i plebei (plebs) a a grado del popolo (populus) abbandonarono ai consoli l'elezione d'un giudice instruttore che il senato gli aveva differito, ciò che in alcun caso non legittima il senso che si vorrebbe trarre, quantunque molto male a proposito, dalle parole d' Appio

che i tribuni sono magistrati plebei, e non del popolo (populus) parole alle quali si vorrebbe far significare che populus era in allora il popolo delle centurie (197).

Nell' oracolo dei Marci che si mise fuori nella guerra d'Annibale si discorre del pretore che proferisce le decisioni supreme della legge pei borghesi, e pel comune (198). Concilio altro non è per quanto se ne sa da una autorità assai riputata, che la radunanza d'una sola parte della nazione (199), e non della universalità, come ell' era assembrata nella centuria. Ora Tito Livio dice che gli auguri pervennero ad una tal riputazione, che i cattivi presagi facevano sciogliere i concilia populi ed i comizj per cențurie (200). Questi concilj che come tali devono aver differito dai comizj universali, dalle centurie e dall' esercito sono ad esuberanza di prova formalmente nominati accanto d'essi. Ora non si ha già d' intendere d'un concilium plebis, adunanza della plebe, perchè la plebe non avea a far nulla cogli auguri. Così concilium populi è sinonimo d'assemblea dei patrizj o delle curie; e fu dinnanzi a un concilio cosiffatto che Publicola inchinò i suoi fasci (201). Era lo stesso del concilium che risolse la querela a proposito di confini, che insorse fra gli Ardeati e gli abitanti d' Aricia (202). Siccome i patrizj erano soli allora in possesso dei dominj, i plebei non potevano per nulla decidere se vi partecipava tale o tal cantone; essi non avrebbero avuto perciò alcun interesse a proferire un giudizio che gli facesse vergogna; infine i consoli non avrebbero acconsentito che la plebe partecipasse all' onore di esser arbitra nelle differenze di due città forestiere. Colto una volta questo significato egli è evidente che sono le curie che dannarono a morte Manlio il salvatore del Campidolio, difensore del comune romano, abbenchè non pertauto

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