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PARTE PRIMA

Accordato il patto e giurato sulla effigie della Vergine, Ruggiero coll'assenso de'soldati accettò le insegne di Cesare, solite reti ordite dal potere alla virtù; quindi, presi seco mille fanti e 300 cavalli, si mosse verso Adrianopoli per pigliarvi commiato dal principe Michele.

Militava allora nell'esercito imperiale Giorgio, capo degli Alani, il cui figliuolo l'anno superiore era stato vittima del furore degli Almovari. Costui fu strumento della vile politica de' Paleologhi. Infatti mentre Ruggiero, ignaro della propria sorte, abbandonasi col principe Michele alla gioia di un solenne convito, ecco Giorgio con alquanti seguaci precipitarsi nella sala, atterrarlo a colpi d'azza, recidergli il capo, e lasciarne il cadavere mutilato tra le reliquie del fe stino. A quel segnale tutti i Catalani del suo seguito vennero senza pietà sterminati: quanti se ne trovavano a Costantinopoli, col ferro e col fuoco vi furono distrutti dal popolaccio furibondo; e trentamila fanti e quattordicimila cavalli dell'esercito di Michele si partirono per sorprendere Gallipoli: Già oppresse dagli scorridori le schiere almovare qua e là disperse pe'villaggi, sarebbero i Greci senza dubbio riusciti nel loro intento, se alcuni pochi fuggendo per miracolo fra le tenebre in città non avessero destato all'armi i compagni. Allo schiararsi del giorno si scoperse poco lunge il grande esercito degli imperiali, e si seppe della uccisione di Ruggiero, e di tutte le altre stragi. A quella vista, a quelle novelle, il furore degli Almovari non ebbe più freno; chiunque fu rinvenuto di stirpe greca in Gallipoli andò al filo delle spade: alla morte vennero aggiunti strazii, a'quali la storia ab

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brividisce; poi a spedir legati che dichiarino guerra all'imperatore e sfidinlo come traditore a corpo a corpo, a dieci a dieci, a cento a cento; quindi mandare giuramento di fedeltà al re di Sicilia, e implorarne l'aiuto, ed offrirglielo affine di conquistare il greco impero; nè frattanto tralasciar gli ordini di una buona difesa ; ma con una inímensa fossa scavata avánti alle case preparare contro agli assalti insuperabile riparo.

Allontanato così il primo pericolo, Berengario di Entenza con 5 galee e 18 barche risolse di inferire guerra a chi la inferiva. Le ricche sponde della Propontide furono allora mandate a ferro e fuoco dalla cieca rabbia de'venturieri; i quali, ebbri di vendetta, appena pensavano a salvar sulle navi gli ori e gli argenti; nè perdonavano ad età nè a sesso: anzi le fiamme di Recrea svegliarono Andronico sognante le reliquie de'Catalani fuggiasche verso l'Italia; e quando il suo figliuolo Giovanni, mandato a combatterli con un ultimo sforzo di genti, tornò rotto e sanguinoso senza esercito, Gostantinopoli stessa ne tremò.

Tanti progressi un impensato accidente interruppe. Mentre dimorava a cena amichevolmente presso il capitano di certa flotta genovese, Berengario, di notte, con tutti i suoi più cari fu sostenuto prigione: le sue navi senza far difesa vennero assalite e prese; quella sola, che potè difendersi, non prima fu acquistata, che venissero morti quanti vi stavano sopra. Un di Raimondo Muntaner, lo scrittore di queste cose, vide passare sotto Gallipoli le navi traenti a Genova incatenato il forte guerriero; e coll' oro raccolto in fretta fra' compagni accorse affettuosa

PARTE PRIMA

mente per riscattarlo: ma que'Genovesi, che ne avevano rifiutato venticinquemila ducati dall'imperatore, stettero saldi a volerlo menare seco. I due vecchi amici non senza lagrime si separarono a fórza (1).

IV.

A'Catalani, ridotti dopo tante percosse a 1256 fanti e 200 cavalli, rimase per ultimo scampo il coraggio della disperazione. Commessa pertanto la somma delle cose nel siniscalco Rocafort e in dodici consiglieri, impressero sui sigilli e sulle patenti un s. Giorgio colla leggenda: L'oste de Franchi che regnano in Francia e Macedonia; poscia, affinchè altra via più non resti che vincere o morire, per generale deliberazione sommergono quasi tutto il naviglio. Qui l'affetto religioso forniva sostegno all'ira, alla brama d'onore, alla disperazione; posciachè què'Greci, quegli Alani, que'Turcopili che stavan incontro ad essi, non erano cattolici e mentre eglino prostrati innanzi all'insegna di san Pietro innalberata sulle mura intuonavano la Salve alla Vergine, un nugoletto apparso d'im provviso nel ciel sereno li aveva innaffiati di una leggiera pioggia; e tosto, finita la preghiera, era sva nito. Passarono quella notte a pulire le armi e a confessarsi. Sorta appena l'aurora, gridando: Avanti, avanti! Aragona e s. Giorgio! si avanzarono in una schiera contro il nemico. Durò la zuffa fino a notte, gloriosa agli Almovari, contraria a'Greci, che furono inseguiti fin 24 miglia dentro terra, fin molto.spazio nel mare sopra le barche, ove la furia medesima del fuggire li spense. Il giorno dopo i vincitori, stiman

(1) Muntaner, ch. 218.

done l'uccisione in ventimila fanti e seimila cavalli, n'ebbero meraviglia, e riputarono che per castigo di Dio l'un l'altro si fossero trucidati (1)

La vittoria procacciò armi, destrieri, vittovaglie e seguaci spagnuoli, italiani e francesi, marinai, mercatanti e venturieri: nè cotesto soccorso apparve soverchio, allorquando si conobbe per certo, che l'imperatore Michele con tutte le forze si apparecchiava în persona a guerreggiarli. Non per questo gli Almovari dubitarono di uscirgli incontro. Dopo avere camminato tre di per la Tracia saccheggiando e struggendo, posaronsi ai piè d'un monticello, dall'altra parte del quale già stava accampata la vanguardia nemica. II mattino seguente, superato il giogo, miraronsi innanzi nella grande pianura ottimamente schierato il numeroso esercito dei Greci. I fanti nel mezzo, la cavalleria alle ale, una schiera di riserva alle spalle i tremila venturieri raccolti per tutta Europa s'innoltrarono allora a battaglia contro lo sforzo dell' impero d'Oriente. Nè fu la fortuna avversa al valore. I Greci abbandonati dagli Alani e da'Turcopili mercenarii, furono prima rotti che raggiunti: sostennero alquanto il combattimento i cavalli traci e macedoni, e dopo la loro disfatta lo stesso Michele, che alla disperata si cacciò tra i nemici ma alfine, abbattuto anche lui e ferito in viso, altro più non si vide che fuga e strage. Le belle provincie della Tracia rimasero preda al furore de'vincitori. Pactia e Rodosto, adequate al suolo, pagarono il fio degli ambasciatori catalani quivi presi e squartati.

(1) Muntaner, ch. 220. Giorgio Pachimero (Hist. Andron., VI. 30) con opposta esagerazione riduce quel numero a 200.

La fama di questa vittoria fu cagione in Adrianopoli di un doloroso caso. Serbavansi colà in una torre incatenati sessanta di que'Catalani, che avevano accompagnato al fatal viaggio Ruggiero di Flor. Costoro, inanimiti dal terrore sparso universalmente fra i Greci, rompono i proprii ferri, ed in segreto si accingono ad aprire la porta della prigione. Ma l'intrapresa è scoperta; la porta resiste al più disperato sforzo, e già la torre è circondata di popolo. Afferrano allora i prigionieri quelle armi che trovano; e da'merli, e da'ballatoi respingono con valorosi colpi la moltitudine di quei che avvicinano le scale o tentano l'entrata. Per ultimo le fiamme furono adoperate da' Greci contro quelli che il ferro non valeva a domare. Circondati da enormi cataste di materie ardenti, i Catalani semiarsi seguitarono sino all'estremo a lanciar pietre e dardi: poi, quando vivere e pugnare più non possono, dannosi gli ultimi abbracci, si fanno il segno della croce e si precipitano nel vasto rogo. Vidersi due fratelli, giovani d'alta stirpe e coraggio, stretti nelle braccia l'uno dell'altro, gettarsi nelle fiamme e appena scampati dal fuoco perire sotto le spade. Dei 60 Catalani un solo fe' qualche dimostrazione di arrendersi, e venne da'compagni precipitato (4).

S'aggiunse alle vittorie degli Almovari l'arrivo di A. 1307 Ferdinando Ximenes con 80 soldati, che nel tornare in Sicilia avendo trovato conveniente partito presso il duca di Atene, vi si era fermato a'servigi, finchè le necessità de'compagni nol chiamarono ad esporre per essi da bravo cavaliere gli averi ed il sangue. Allora

(1) Georg. Pachym. VI 37.

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