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« Communitatis et hominum civitatis nostre Cornetane pe«titio continebat, quod alias ipsi Communitas et homines << pauperum et miserabilium ac aliarum indigentium perso<< narum necessitatibus pia charitate succurrere... ac ad hunc «< effectum unum Montem Pietatis in eadem civitate institui <«<et stabiliri cupientes, eidem Monti pro illius fundamento << mille scuta monete... donare et assignare decreverunt; «< diversaque statuta et ordinationes... condiderunt ». Si tratta dunque nè più nè meno che della sanzione che i Cornetani avevano ottenuto dalla Santa Sede, quando il Monte era già ben consolidato nella sua base finanziaria e ben regolato nelle sue funzioni e nei suoi ordinamenti amministrativi (1).

A questa bolla di Gregorio XIII, che essi impropriamente chiamarono « Breve », pensavano senza dubbio gli egregi compilatori nel dettare il primo articolo dello statuto organico; e di qui l'errore di aver fissato al 7 maggio 1579 la origine del Monte di Pietà cornetano, a cui tolsero pertanto più di mezzo secolo di vita!

(1) Gregorio XIII approvò il Monte di Pietà cornetano. Quale? Quello esistente nel 1514? Ma non potrebbe darsi che più tardi sia stato fondato un nuovo Monte, avendo il primo fatto cattiva prova e . avendo dovuto subito o ben presto sospendere ogni operazione? Ecco un'altra questione molto importante, che per ora mi basta di avere menzionata.

ACHILLE BERTINI-CALOSSO

L'Orfeo ed Euridice» attribuito al Perugino, già nella Collezione Ravaisson-Mollien

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ENERALMENTE si ritiene che il Perugino abbia lasciato

un solo quadro di soggetto profano, e cioè il Combattimento fra l'Amore e la Castitá ora a Parigi, al Museo del Louvre (n. 1567). Per la povertà dell' imaginazione e l'evidente impaccio dell'autore nello svolgere il tema assegnatogli, non conosco altra opera che al pari di questa ingeneri un si forte senso di compassione. La committente, Isabella d'Este duchessa di Mantova, nel dare l'ordinazione al Perugino, senza dubbio il pittore della sua età meno adatto ad una tal sorta di lavoro, aggiungeva alcune parole di traccia, manifestando il desiderio di avere raffigurate Pallade e Diana in combattimento contro Venere e Amore; Pallade ha già quasi vinto Amore, e, dopo avergli spezzato la freccia d'oro e l'arco d'argento, sta per trafiggerlo, mentre ancora incerta pende la lotta fra Diana e Venere. Su queste indicazioni il Perugino nel 1505 dipinse a tempera la tavola, tutta popolata di amorini e di male intese figurazioni mitologiche, che, trafugata dal castello di Mantova durante l'assedio del 1630, fu poi al castello dei Richelieu fino al tempo della

Rivoluzione francese (1). Se non ci fossero note le caratteristiche dell'arte peruginesca e non sapessimo come già qualche anno avanti, nel 1500, il medesimo pittore malamente riuscisse nella sala del Collegio del Cambio ad animare i distici latini di Francesco Maturanzio, ci meraviglieremmo che in pieno ed avanzato fervore umanistico non sapesse fare qualche cosa di più appropriato, sì per forma che per contenuto, al non difficile tema.

Dall'alto dei cieli vola in giù Mercurio, col piede sinistro alzato all'indietro e il destro poggiato leggermente sopra una nuvoletta, proprio come tanto spesso si veggono librarsi nell' aria gli angeli nelle scene sacre del Perugino; così l'amorino che giace vinto ai piedi di Diana è una ripetizione, una copia addirittura del bambino Gesù raffigurato più di una volta in scene di adorazione dal Perugino stesso; per esempio nella tavola della Pinacoteca di Perugia (sala XIV, n. 18), e nell'affresco già nel portico esterno della chiesa di S. Francesco al Monte e ora nella Pinacoteca medesima (sala XVIII, n. 33).

Il Perugino, tolto fuori dai suoi quadri pieni di raccoglimento mistico, colle Madonne miti e belle e i placidi tramonti sereni, ci appare un pittore fortemente arretrato, il quale nè comprende, nè si sforza di comprendere il nuovo movimento d'idee, già così accentuato a' suoi tempi, e nonostante le sue frequenti e prolungate dimore fuori della patria e il contatto con tanti pittori di vari paesi e di scuole diverse preferisce rimanere sempre umbro e mistico.

Il 23 novembre 1903 a Parigi, all'Hôtel Drouot, fu venduta per 5000 lire una piccola tavola (cm. 20 X 29) raffigurante Orfeo ed Euridice e attribuita appunto al Perugino, proveniente dalla collezione del defunto Felice Ravaisson

(1) LAFENESTRE et RICHTENBERGER, Le Musée nationale du Louvre.

Mollien (1). Debbo alla cortesia del signor Carlo RavaissonMollien, Conservatore al Museo del Louvre e figlio del noto e intelligente collezionista, una riproduzione - che altrimenti mi sarebbe stato impossibile procurarmi - del quadro in questione (2), e la notizia, assai importante, che il quadro stesso forse fu acquistato a Siena.

Se entriamo in un esame dei particolari di questo quadro, senza trovare mai una perfetta rispondenza con motivi perugineschi, vediamo però parecchi punti di avvicinamento.

Orfeo è seduto su roccie, coronato di lauro, colla destra sull'anca, con una siringa nella sinistra: porta una fiaschetta da pastore a tracolla e un' altra ne reca alla cintura; ha sandali ai piedi. Dietro è un albero disseccato, dai cui rami pendono due flauti; Euridice è in piedi e col braccio destro ricinge il collo di Orfeo: ambedue i personaggi vestono corta e leggiera tunica. Alla destra di chi guarda sono tre buoi e un albero con rami alti e sottili.

Il volto di Euridice può, sino ad un certo segno, richiamare quello della Madonna già nel palazzo della Penna a Perugia, ora a Londra alla National Gallery (n. 1075); i buoi sono così stilizzati come sempre dal Perugino: vedi ad esempio il Presepio di Montefalco, l'Adorazione dei Pastori e l'Adorazione dei Magi alla Pinacoteca di Perugia e l'affresco ivi trasferito da S. Francesco in Monte e già citato (s. XVII, n. 6; s. XIV, n. 19; s. XVIII, n. 33), l'Adorazione dei Magi a Trevi e quella a Città della Pieve.

Così l'albero a destra rammenta abbastanza bene altri alberi ugualmente fini e frondosi del Perugino, per quanto in questo troppo vicino alla base si distacchino rami secon

(1) Le Journal des Arts, 25 novembre 1903. Subito dopo la vendita il quadro rimase a Parigi: si ignora che ne sia avvenuto in seguito, ma si ritiene abbia preso la via dell'America.

(2) Il quadretto era riprodotto sulla copertina del catalogo della vendita.

dari; i sandali d'Orfeo trovano un perfetto riscontro in quelli che calzano san Girolamo nel quadro della Pinacoteca Vannucci (XV, 3), la Vergine nel quadro dell'Apparizione a san Bernardo a Monaco di Baviera, la Vergine ed un santo nel Crocifisso della chiesa di S. Agostino a Siena.

Motivi di riscontro non mancano dunque, ma, con tutto ciò, non oserei affermare che siamo davanti ad opera del Perugino. Nel piccolo quadro l'aria circola troppo poco: le due figure ingombrano troppo il centro della composizione. E poi alle figure stesse manca qualche cosa perchè si possano dare al Perugino: il viso d'Euridice è troppo debole e non ha la soavità, talora anche manierata, di tutte le figure muliebri del 'maestro. Nè la ripiegatura della testa o la mossa del collo ci riportano più vicini al Perugino.

Così Orfeo non è tipo peruginesco, e ci vuole uno sforzo di buona volontà per riuscire a trovargli un po' somiglianti il Publio Scipione degli affreschi del Cambio e l'Arcangelo Michele del quadro della National Gallery.

Siamo davanti all'opera di un seguace del Perugino, non del maestro stesso: anche colla scorta di una semplice riproduzione questo è lecito affermare: senza vedere il quadro stesso ed oggi è cosa assai difficile, forse impossibile non si possono però fare ipotesi sul probabile autore. In ogni modo mi sembra importante rilevarne comunque l'esistenza, sia perchè è cosa rara un quadro umbro di soggetto pagano, sia perchè - se è vero che è stato primitivamente acquistato a Siena – può anche eventualmente lumeggiarci la permanenza di qualche pittore umbro in quella città to

scana.

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Un'altra opera di soggetto mitologico (Apollo e Marsia) venne dal Berenson attribuita al P., ed è il cosidetto Raffaello di Morris Moore al Museo del Louvre (1509), il piccolo quadro (cm. 29 X 39) comprato dal Morris Moore come opera del Mantegna, e poi da lui stesso nel 1883 rivenduto al

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