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VII.

C'isela na' mo fsiddo apù' tturtèa,
Na so 'mbo ec' es to petto sa 'gherài,
Na su pizzuliso òlo citto crea,
Su na calèfsi i hera na me piài!

E vorrei essere pulce di queste parti, Acciocchè ti entrassi nel petto come un falcone, Acciocchè ti pizzicassi tutta quella carne, (E) tu calassi la mano per pigliarmi.

VIII.

Consiglio a chi s'ammoglia.

A Pasca ce a Ghiortè min armastite, Paddicaràgia, ti madanöȧte;

Ti m'a fustiàni ce ma mia gunnedda
Pàssia tignusa fénete càledda.

Di Pasqua e di Natale non vi sposate,
Giovanottini, che vi pentite;

Chè con una sottana ed una gonnella
Ogni tignosa appare bellina.

ERNESTO MONACI

Elementi francesi nella più antica lirica italiana

I

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N una delle Note che formano il bel volume dei Mélanges Chabaneau pubblicato in questi giorni, il profes

sore Giulio Bertoni ha trattato della imitazione nei << meridionali » della scuola poetica siciliana, e le sue conclusioni sono che « senza negare gl' innegabili rapporti con <«< la lirica occitanica », vi fu anche « una forte influenza « francese sulla scuola sicula propriamente detta », e che i rapporti con la Provenza possono appena paragonarsi, << nella loro entità, a quelli che intercedono con la poesia «< di Francia ». In altro scritto poi, intitolato Il dolce stil nuovo, che egli mi ha cortesemente comunicato in estratto e che apparisce posteriore a quello edito nel citato volume dei Mélanges, il prof. Bertoni afferma anche più ricisamente: << Per me la poesia siciliana è più francese che provenzale, << sopratutto se la indaghiamo ne' cantori meridionali, cioè <«< in quelli che costituiscono, per così dire, la parte fonda<«< mentale »; e qui, incorporando quanto aveva detto nella nota precedente, il prof. Bertoni porta a rassegna i fatti su cui è fondato il suo giudizio. Jendeu de Brie - dice in sostanza egli verso il 1170 fu nell'isola, dove scrisse e

potè recitare il suo poema della Bataille Loquifer; i trovieri Conon de Bétune, Gace Brulé, Gui de Couci, Gontier de Soignies, Tibaut de Champagne, per la stessa età a cui appartengono, permettono di pensare ad una influenza della lirica francese, per mezzo dei Normanni, nell'isola di Sicilia. I Normanni diffusero colà le leggende di re Artù, e forse non senza lasciarvi tracce fu il passaggio che fece di là Riccardo Cuor di Leone allorchè si recava in Oriente alla terza crociata. Venendo poi ad argomenti più categorici e positivi, egli rileva in Giacomo da Lentino due passi che trovano riscontro nel Castellano de Couci e in Tibaut de Champagne, uno in Stefano di Messina che pure occorre in Tibaut de Champagne, due in Rinaldo d'Aquino che sembrano ricalcati su Gontier de Soignies e su Jacques de Cisoing; e ricorda pure quanto influsso francese si sente nel famoso contrasto di Cielo. Senonchè, tutto questo potrà parere ancora non abbastanza decisivo quando coll' autore medesimo si consideri che «< i rapporti che intercedono tra <«< la lirica di Francia e di Provenza sono tanti e tali, che <«< non riesce sicuro stabilire quali passi della scuola poetica <«< siciliana si riattacchino alla poesia di Francia e quali alla << poesia occitanica ». Invero, Edoardo Mätzner, che fino dal 1853 nella sua raccolta di Altfranzösische Lieder aveva presentata una serie molto più copiosa di riscontri fra la lirica francese e la italiana, non valse a rimuovere il pregiudizio già radicato, che la primitiva lirica italiana dipenda totalmente dalla provenzale. Non sarà dunque inutile cercare altri argomenti, e qui appresso ne riassumo alcuni che anni addietro esponevo ai miei scolari in certe conferenze dove trattai della stessa questione.

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I.

Nel novero dei trovieri che si presume sieno stati in Sicilia, uno è da premettere che indubbiamente vi fu, e non di sfuggita o per pochi momenti soltanto, ma vi passò la maggior parte della sua vita, capo di una famiglia e di una signoria che a lungo gli sopravvisse nell' Italia meridionale. Questi fu Jean de Brienne, o re Giovanni, secondo che lo chiamavano in Italia, omai ben conosciuto per le sue avventure, pei suoi rapporti con la casa degli Hohenstauffen, per la parte che ebbe nei fatti d'Italia durante il primo trentennio del secolo XIII, per le poesie che ci restano di lui e che lo pongono quasi a cavaliere di due letterature, la francese e l'italiana. Nella francese egli lasciò quattro poesie, tre delle quali sono canzoni d'amore, non dissimili da quelle di Chrestien de Troyes e di Hugon d'Oisi, due dei più antichi trovieri in lingua d'oil, della stessa provincia a cui egli apparteneva e da lui probabilmente conosciuti alla corte di Maria di Champagne comune loro signora. L'altra poesia è una pastorella fra le più graziose del genere, edita già dal Bartsch come forse la più antica di quante egli potè conoscere. Nell'italiana poi lasciò una poesia, nella quale non è colpa dell'autore se finora non fu da tutti riconosciuta una specie di lirica assai di moda a quei tempi; e forse lasciò anche un' altra poesia che è andata perduta, come meglio si vedrà nel capo seguente.

II.

Dagli autori venendo alle loro poesie, e lasciando da parte i confronti fra singoli passi che, per ora almeno, potrebbero essere illusorì, gioverà piuttosto fermare l'atten

zione a quelle peculiarità di struttura, dove le due liriche, la provenzale e la francese, per quanto simili fra loro pur si differenziano, e dinanzi a quelle differenze osservare come si comporti l'italiana. Ora, qui accade di poter subito rilevare che la regola quasi costante nei provenzali, di riprodurre in tutte le stanze o coblas le stesse rime della prima, meno osservata dai francesi, diventa addirittura una eccezione negl'italiani, di guisa che in Giacomo da Lentino, di cui ci restano quattordici canzoni, una sola si trovi costruita a coblas unissonans. Si guardi poi al commiato, che i provenzali chiamarono tornada. Questo complemento della canzone, che nei provenzali fu comune in forma differente da quella delle altre stanze, nei francesi invece diventò raro, e negl'italiani anteriori a Guittone d'Arezzo mancò affatto. Finalmente, più ancora che nella struttura delle stanze e nell'uso e nella forma del commiato, troviamo la lirica dei siciliani più d'accordo con quella dei francesi nel non adoperare il sinhal. Troveremo il sinhal in Guittone e in altri del suo tempo; ma dai siciliani della prima età non se ne può addurre un solo esempio certo. Ecco dunque alcuni punti su cui meglio potremo avere appoggio per deduzioni

ulteriori.

III.

Le varietà in cui si svolse la lirica italiana primitiva, furono la canzone, il discordo e il sonetto. Quei rimatori non conoscevano nessun' altra delle molte specie in cui la lirica provenzale era venuta diversificandosi al loro tempo; e di quelle tre, due sole si trovano comuni alla provenzale : la canzone e il discordo; vi manca affatto il sonetto, che solo più tardi fu introdotto nella Provenza e che, nella forma sua tipica, indubbiamente fu di origine italiana. Del sonetto in quegli antichissimi occorrono ben pochi esempi,

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