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BONAVENTURA ZUMBINI

L'episodio della monaca di Monza nella prima minuta dei "Promessi Sposi " (')

N

ELLA vasta concezione dei Promessi Sposi ci era un altro personaggio e un altro ordine di fatti, per i quali il Manzoni doveva ancora imbattersi in quell'amore, la cui dipintura nell'arte gli era sembrata oltremodo pericolosa: alludo alla monaca di Monza e al suo primo incontro con Egidio. Per quanto diverso da quello di Lucia, l'amor di Gertrude, nella prima redazione, ci appare, almeno in sul cominciamento, come un vero e proprio amore. Era dunque naturale che l'autore si credesse nel dovere di non farne alcuna dipintura: ed ecco che, a tale effetto, ripetè la sua solita protesta: «Il nostro ma«<noscritto segue qui con lunghi particolari il progresso dei «< falli di Gertrude; noi saltiamo tutti questi particolari, e

(1) Questo scritto fa parte di un capitolo intitolato come sopra e ch'è il secondo di un lavoro sui Brani inediti. Nel primo si era trattato della rappresentazione dell'amore nell'arte manzoniana, in proposito dei due protagonisti; qui si continua dello stesso argomento, riguardo alla monaca di Monza.

« diremo soltanto ciò che è necessario a fare intendere in <«< che abisso ella fosse caduta, e a motivare gli orribili ec<«< cessi d'un altro genere ai quali la strascinò la sua ca« duta » (1).

Come si vede, la nuova protesta, nella solita finzione del manoscritto e persino in alcune espressioni, è simile a quell'altra fatta in proposito dei due sposi. Se non che, ora, il Manzoni la fa un po' tardi, cioè dopo aver già tracciato, per quanto in poche linee, una storia quasi compiuta delle prime relazioni di Gertrude col suo seduttore. È questo un punto degno di particolare studio, perchè ce ne possono venire nuovi suggerimenti ed aiuti nell'interpretazione del famoso episodio e anche di tutta l'arte manzoniana. Ma occorre che si dia prima un'occhiata allo stesso episodio, quale nella sua precipua sostanza si legge nelle due redazioni.

I casi di Gertrude ebbero origine da quei pregiudizi sociali e da quell'egoismo dei padri di famiglia, che diedero materia a non poche opere d'arte; tra le quali, se non prima per tempo, certo è tale, per ricchezza di elementi storici e pregio di arte e celebrità, la Novella Eloisa. Se non che, per restringermi alla differenza che più importa al mio soggetto, dove in esse opere la tirannia domestica opprimeva una vita umana pervenuta o prossima alla giovinezza, nei Promessi Sposi essa comincia ad opprimerla ancor prima che la povera vittima fosse capace di passione alcuna. Incomincia ad opprimerla in quella fanciullezza che tutto ignora, che si pasce di carezze materne e che sorride, come a persone care, a quanto l'è intorno. Sicchè, davanti a quel contrasto fra tanta innocenza e tanta perfidia, sorge dai nostri cuori come un grido: « Qui si uccide l'infanzia, <«< la gioia, la delizia, e quanto altro è di più santo in tutta

(1) Brani inediti, I, 116.

«< la vita!» Si può dire persino che Gertrude, con esempio unico piuttosto che raro, era già una vittima designata innanzi che venisse al mondo. Sin d'allora, l'era stato destinato il chiostro; e quando fu nata, perchè il supplizio incominciasse non le occorse, come ad altre creature similmente infelici, che ella fosse agitata da qualche amore o da disegni contrari al volere dei suoi. Il martirio di lei precorse ogni atto di tal sorta. Tanto è vero che, quando ormai giovanetta, parve volesse affezionarsi al giovane paggio di sua casa, la tirannia domestica non ebbe già a cominciare le sue arti, ma soltanto a continuarle con maggior crudeltà e fortuna. Anzi, il lieve trascorso non fu se non uno di quegli accidenti impreveduti che talvolta, pur nelle migliori concezioni drammatiche, dove tutto procede per motivi intrinseci, oltre ad affrettare la catastrofe, fanno testimonianza dell' inevitabile efficacia che le forze esterne esercitano su tutta l'azione.

Poi, fra quante creature ebbero sorte più o meno simile alla sua, Gertrude fu forse la più infelice, e quindi la più degna di compatimento, anche perchè a lei non toccò nessuno degli aiuti o dei conforti che a quelle non mancarono. Solo dalle compagne di educandato ebbe consigli ed esempi che, impedendole di rassegnarsi, come da principio parea volesse fare, alla vita monastica, avevano cominciato a metterla sulla via della salvezza; ma tutto ciò fu quasi infantile, e sfumò quando, ben tosto, sopravvennero gli amari giorni della prova. Allora, non una madre che, come spesso in simili sciagure, le mitigasse l'oppressione paterna; non un'amica fidata; non la menoma corrispondenza di affetti con anima viva; non una parola amica che le infondesse un po' di coraggio o almen la facesse certa della pietà altrui. Anzi, pur fuori della propria famiglia, tutti, in vario modo, consapevolmente o no, concorsero alla sua rovina. Ci concorsero anche le

suore coll'agevolare gl'intrighi di suo padre, e ci concorse persino quel bravo ecclesiastico, il cui ufficio era appunto di accertarsi che nessuna violenza si facesse alla volontà di lei.

Così, contro tutti, parenti ed estranei, ella era sola, e non di altro armata che dei suoi accorgimenti puerili e di certi piani di difesa che parevano fatti apposta per agevolare la vittoria del nemico. Quale contrasto fra tanta inesperienza e tanta furberia! Pure, perdendo sempre più di terreno, ella si lusingava o di aver tenuto fermo, o (con più sincerità) di essere nondimeno a tempo di rifarsi della perdita. Se cedeva, ciò avveniva sempre per liberarsi di qualche presente molestia, non evitabile altrimenti; ma come dubitare della vittoria finale, se l'ultima parola doveva pur sempre essere la sua? Forse non possedeva ella stessa le armi più adatte ad ogni sorta di guerra, palese o segreta, che le si potesse muovere? La forza della ribellione contro la violenza, quella delle preghiere e delle lagrime contro le carezze e le lusinghe. Ma non si verificò nessuna delle due ipotesi. La poveretta era stata posta fin da principio, e poi mantenuta sempre, in tal condizione ch'ella non potesse trovare difesa o scampo in nessuna delle sue virtù e delle sue forze, in nessuno dei suoi accorgimenti e dei suoi molteplici piani di difesa, e neanche in nulla di quanto la circondava. Le avevano insidiata l'intera vita, e tutto all'intorno fattole un deserto, dove lo sguardo non trovava nulla in cui riposarsi, e ad ogni passo le si accresceva la stanchezza e l'affanno.

Così insidiata, così irretita, così costretta, ella finiva col pensare all' abborrito chiostro come ad un luogo non certo di pace, ma di minor pena; e si direbbe, pur con frase dantesca, che la tema le si volgesse in desio. E così ella si arrese ai suoi tiranni, e fu monaca per sempre. Ma tale divenuta, non aperse il cuore a quelle consolazioni che

la religione avrebbe potuto darle; chè, anzi, libera appena di quell'angoscia onde aveva cercato rifugio nello stesso orrore del chiostro, sentì farsi in sè più feroce l'odio per i suoi tiranni per quanti ne avevano aiutato l'opera tanto più esecrata, quanto più ne veniva sperimentando gli irreparabili effetti. E, crudele sopra ogni altro suo ricordo, nessuno al mondo aveva avuto per lei una qualsiasi cura, una pur menoma parte di quell'amore ond'erano felici le sue compagne del chiostro e ogni altra creatura simile da lei conosciuta. Per lei sola, sospese le più dolci e sante leggi di natura. Di amore per lei o di qualche cosa che all'amore somigliasse, non aveva visti altri esempi che quelle immagini solite ad apparirle per entro i sogni della sua giovanezza. Ma nulla mai di simile nella vita reale; nulla, salvo le gentili sembianze, gli sguardi e quasi la pietà di quel giovane paggio! Unico fiore, e anch'esso morto appena spuntato, sul deserto di sua vita.

Ma ecco che in quel medesimo deserto, quando più straziante era la consapevolezza delle proprie sventure, ecco offrirlesi alla vista qualche nuova cosa non dissimile da quelle immagini vagheggiate indarno sin allora. Era Egidio con tutto il fascino della giovinezza e con la potenza irresistibile che gli veniva dal mostrarsi innamorato di lei: di lei che non cercava altro che amore; nè fuori, com'era, del mondo, avrebbe potuto trovarne altro segno.

Fino a questo punto, l'episodio è sostanzialmente simile nelle due redazioni; ma da qui avanti, non lievi e non poche le differenze. Perchè, nella seconda, appena detto che Egidio <«< un giorno osò rivolgerle il discorso », il Manzoni soggiunge senz'altro: «la sventurata rispose »; laddove, nella prima, non la fece rispondere se non dopo ch'egli ebbe descritti gli effetti operati su lei dalla parola del seduttore: effetti che nel loro complesso costituiscono un nuovo, per quanto breve, periodo della sua storia interna. Difatti, alle

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