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pericolo tutti gli strinse in comune difesa. Questa nuova alleanza tra l'altare ed il trono, che fu detta santa, che fu proclamata come garanzia dell'ordine civile, e che fu chiusa col trattato di Vienna, giudicata variamente dagli uomini politici e dagli uomini di buon senso, forul pretesti alla diplomazia per intervenire negli affari temporali della Chiesa, pose la sovranità temporale dei papi sotto la garanzia dei trattati; associò il papato ad un sistema governativo repugnante agli ordini naturali ed alle tradizioni italiane; lo fece, in certa guisa, solidale di tutte le colpe della restaurazione: e per tal modo quella sovranità che più di ogni altra dovrebbe appoggiarsi sul libero ossequio e sulla forza della dottrina, ebbe per soli fondamenti la fede dei trattati e la forza delle armi.

Se allora quando le opinioni e gli affetti degli uomini declinano ad un estremo, può esser suggerimento di squisita sapienza sospingerli verso la parte opposta, acciò dalla combinazione delle forze contrarie sieno ridotti nella perfezione del mezzo: se una maggior concentrazione di poteri potè essere opportuna per salvare l'indipendenza della sede apostolica: se le tendenze anarchiche ed irreligiose esigevano che il papato inclinasse più per le parti dell'assolutismo, che per quelle della libertà, e più in favore dei principi, minacciati, che dei popoli, troppo lungi trascorsi: se associarsi alle vedute della volgare politica potè sembrare saggio consiglio onde provvedere al ristabilimento dell'ordine ed alla pubblica pace: le mutate condizioni dei tempi, i nuovi progressi dello spirito umano, i nuovi bisogni della società europea, richiedono oggidì nuovi consigli, nuovi ordini, nuovi provvedimenti.

Onnipotente regina del mondo è surta la pubblica opinione, e questo portentoso instrumento di cui si vale la Provvidenza per fecondare i concetti e per incarnare i disegni che ella inspira ai suoi figli prediletti, spinge popoli e re in una carriera dalla quale per forza qualunque non ponno esser rimossi, nè retrospinti: questa pubblica opinione, non composta dei capricci delle turbe ignoranti, nè della connivenza delle fazioni, ma dell'assenso dei buoni e dei savi; questa pubblica opinione, la quale importa maggioranza del consiglio dei migliori sull'arbitrio dei pochi e sulla forza di tutti; questa pubblica opinione, che, assicurando il predominio delle idee sui fatti e della civiltà sulla barbarie, ha propagato e diffuse le due nuove idee della dignità individuale e della legalità, che son figlie del Vangelo e cárdini perpetui di ordine e di progresso; questa pubblica opinione, che giudica al suo tribunale inesorabile le colpe dei principi e le follie dei popoli, ha giudicato per sempre le cause opposte della licenza e del dispotismo, e, giudicandole, le ha dichiarate entrambe antisociali, ingiuste, impossibili. A questo fatto, che è

indizio certo di gravi mutamenti, altri se ne aggiungono pure di non minore importanza. La riforma che fu desiderata dai padri nostri, e fu pretesto quello scisma onde da tanti anni è travagliata la Chiesa, in gran parte è già compiuta negli ordini augusti del cattolicismo e della ecclesiastica gerarchia. La corte romana non teme più l'acerba censura del viaggiatore alemanno (1), la vita privata dei cardinali sfugge al commento dei novellieri, nè la calunnia potrebbe trovare argomento di durevole scandalo nelle sale auguste del Vaticano; e mentre sembra imminente il giorno avventuroso nel quale, cessando lo scisma, il romano pontefice sarà salutato da tutte le nazioni cristiane come custode della parola di Cristo, cessano del pari i rancori, cessano le rivalità, cessano le gelosie tra le chiese nazionali, nè dà reputazione di libertà il resistere a Roma, come non dà vanto di spirito il sembrare miscredente. Le riforme politiche già cominciate o compiute in molti Stati cattolici, assecurando ai cittadini la libertà del pensiero e la libertà di coscienza, se giovano allo Stato, giovano nel tempo stesso alla causa perpetua del cattolicismo: le giovano, perchè gli stessi diritti della Chiesa, posti sotto la garanzia delle instituzioni politiche, restan sottratti al dispotismo: le giovano, perchè le relazioni del clero col papato sono divenute più libere e più frequenti: le giovano, perchè, perduta il clero ogni influenza diretta negli affari civili, esso non ha più occasione di alimentar le discordie, che in altri tempi tra le due potestà sono state gravissime : le giovano, infine, perchè perpetua essendo la causa della Chiesa, siccome eterne sono le leggi del vero, del buono e del santo sulle quali essa si asside, i diritti della Chiesa e del papato hanno acquistato nell'opinione dei popoli quanto sembrava avesser perduto - per le mutate instituzioni: sotto lo scudo delle libertà politiche meglio respira anche la Chiesa, che sotto l'ombra dei privilegi.

Tanti mutamenti, avvenuti ai giorni nostri negli ordini religiosi, intellettivi e civili, accennano ad una riforma che presto o tardi avverrà nei rapporti temporali del papato: imperocchè non è dato supporre che il papato voglia parteggiare pel dispotismo, quando vede che alla causa della Chiesa meglio è provvisto dove fiorisce la libertà: nè è dato immaginare che esso non senta farsi sempre più gravoso e molesto il minuto disbrigo degli affari temporali, mentre tutto l'invita a sorvegliare i grandi interessi della Chiesa e del cristiano incivilimento.

(1) Si allude al viaggio del giovine Lutero a Roma. - Vedasi Merle d'Aubigny, Histoire de la Réforme.

CAPITOLO II.

Della necessità della sovranità temporale dei papi.

Ma se i mutamenti avvenuti negli ordini religiosi, intellettivi e civili del mondo, fanno preconizzare come inevitabile e certa una riforma nei rapporti temporali del papato, questa riforma potrebbe forse essere spinta fino all'abolizione completa della sovranità temporale? A questa questione vuolsi dare succintamente una risposta.

Più volte è stato disputato sulla sovranità temporale dei papi, e più volte non solo sulla legittimità di essa, ma ben anche sulla di lei convenienza sono stati promossi acutissimi dubbi e violente discussioni. Sono note le dottrine, altre volte rammentate, di Arnaldo da Brescia, sono note le diverse sentenze per le quali hanno parteggiato gli uomini più eminenti del medio evo, ed è noto altresì come i dubbi, le teorie e le opinioni del medio evo per disparate vedute e per opposti interessi sieno stati ai giorni nostri richiamate a nuovo esame ed a nuove discussioni. Non essendo nostro divisamento d'impegnarci in tali ricerche dottrinali, o di portare il tributo del nostro povero ingegno in una polemica cotanto famosa, ne diremo solamente quel poco che possa sembrar necessario, onde le nostre parole non offrano plausibile occasione ad equivoche interpretazioni.

Tre sono le sentenze sostenute nelle diverse scuole sul potere temporale del papa.

La prima sentenza è di coloro i quali sostengono che il papa abbia per gius divino pienissima potestà sul mondo universo, tanto per le cose ecclesiastiche, quanto per le politiche e civili. La seconda sentenza, cadendo nell'estremo opposto, si risolve in due proposizioni, cioè:

1.o Che il papa come papa non abbia per gius divino nessuna potestà temporale, nè possa in modo alcuno comandare ai prìncipi secolari, o privarli del principato ;

2.o Che non sia lecito, nè al papa, nè ai vescovi accettare specie alcuna di temporale dominazione, essendo proibito dal gius divino l'unire la spada spirituale insieme colla spada temporale.

La terza sentenza, media fra queste due estreme, ammette che il papa, come papa, non abbia direttamente ed immediatamente altra potestà tranne la spirituale: ma sostiene che in ragione della potestà spirituale abbia almeno indirettamente somma potestà anche sulle cose temporali (1).

(1) Bellarmino, De summo pontifice, lib. v, cap. 1:

"Prima est summum pontificem, jure divino, habere plenissimam

Accettando questa terza sentenza media come la più conforme alla dottrina della Chiesa, puossi affermare con Gioberti, che il poter civile ed universale del papa sul mondo è una prerogativa del sommo sacerdozio, del quale egli è privilegiato, e che nulla rilevi alla immutabile immanenza di tal prerogativa, nè l'essere essa variabile quanto al modo dell'esercizio, nè l'essere mutabile secondo che mutano le condizioni del viver civile sulle quali interviene (1).

Questo poter civile, che dicesi prerogativa del sommo sacerdozio cristiano, è un potere, per altro, che per l'indole sua constitutiva diversifica assai da quello che è connaturale della sovranità vera e propria. Imperocchè, laddove l'essenza di questa consiste nell'agire direttamente sulle cose e sugli uomini, e con mezzi umani, e per un fine principalmente terreno, l'essenza del primo, più ideale, che sensibile, più spirituale, che materiale, più celestiale, che terrena, agisce più specialmente sugli spiriti, e spirituali sono i mezzi che impiega, come spirituale è lo scopo cui intende. E mentre il poter civile del papato non esclude l'interessenza di un altro poter sovrano immediato e diretto, la sovranità vera e propria, quantunque non escluda l'interessenza di altri poteri, gli suppone per altro, e gli vuole subordinati e limitati. Questa distinzione ne conduce a concludere che, se il poter civile del papato, ossia la di lui influenza sugli interessi morali e materiali delle nazioni cristiané, si ricollega coll'es

» potestatem in universum orbem terrarum, tum in rebus ecclesiasti» cis, tum in politicis.

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Altera, non tam sententia quam hæresis, in altero extremo duo » docet: primo, pontificem ut pontificem et ex jure divino nullam ha» bere potestatem temporalem, nec posse ullo modo imperare principibus sæcularibus, nedum eos regnis et principatu privare, etiamsi » illi privari alioquin mereantur; secundo, docet non licuisse pontifi» ci, aliisque episcopis accipere temporale dominium, quod nunc ha» bent in quasdam urbes et provincias, sive ejusmodi dominium do» natum eis fuerit, sive illud usurpaverint: prohibet enim jus divinum, » uni homini gladium spiritualem et temporalem simul committi.

>>Tertia sententia, media et communis, pontificem ut pontificem » non habere directe ac immediate ullam temporalem potestatem, sed » solum spiritualem; tamen ratione spiritualis habere saltem indire»cte potestatem quamdam, eamque summam, in temporalibus ».

Questa sentenza media è stata formulata con precisione scientifica dal Gaetano, in Apol., parte 2, cap. 13, add. 8. « Potestas pa» pæ directe est respectu spiritualium ac supremum finem humani ge»neris: ideo suæ potestati duo conveniunt, primo quod non est di» recte respectu temporalium: secundo quod est respectu temporalium » in ordine ad spiritualia ».

(1) Gioberti, del Primato morale e civile degli Italiani, tomo 1.

senza constitutiva del sommo pontificato, talchè indipendentemente dall'attualità dell'esercizio, separarlo da esso non si possa senza denaturare il papato; la sovranità vera e propria, invece, è una qualità non essenziale, ma accidentale, contingibile e non necessaria, talchè sia dato concepire il papato senza essa, e supporre un papa che, senza dominio di Stati particolari, abbia suprema autorità sul mondo, ed abbia una sola specie di sudditi, i cristiani, cioè, dell'universo.

Se però, astrattamente parlando, niente repugna in ragione l'ipotesi di un papa senza sovranità temporale, ipotesi che d'altronde mirabilmente s'addice all' indole provvidenziale della Chiesa di Cristo, la quale, non peritura per variare di tempo o per variare di fortuna, ha un'esistenza tutta sua propria ed indipendente dagli umani artifizi e dai mondani sussidi, pur non ostante, considerando le cose quali esse sono nel mondo reale, puossi facilmente argomentare che la sovranità temporale dei papi sia essa pure un mezzo provvidenziale destinato a garantire l'indipendenza del sommo sacerdozio.

La sovranità temporale garantisce al papato l'indipendenza, nel modo stesso che il dominio di beni e rendite proprie garantisce alla Chiesa la libertà: la garantisce, perchè sottrae il sommo potere sacerdotale alle esorbitanze del potere civile: la garantisce, perchè sottrae il potere arbitramentale del papa alla sinistra influenza delle politiche dissenzioni: la garantisce, perchè sottrae i decreti pontifíci al sospetto di recare offesa alla reciproca dignità delle nazioni cristiane. Se il papa fosse rimasto in Avignone, egli sarebbe divenuto un grande elemosiniere di Francia, che niun'altra nazione avrebbe riconosciuto fuorichè la Francia (1): un papa suddito di Carlo V non sarebbe stato accettato come árbitro di pace da Francesco I: un papa suddito di Napoleone sarebbe divenuto un dignitario dell'Impero francese: un papa suddito di Casa d'Austria non sarebbe obbedito, nè sulle rive della Vistola, nè su quelle della Senna. Nè dicasi che i trattati e le convenzioni politiche potrebbero bastare per garantire l'indipendenza del papa. I trattati potrebbero, invero, dichiarare che il papa fosse teoricamente indipendente da ogni civil principato: potrebbero le diplomatiche convenzioni sottrarre la sacra persona del papa e la sua corte ad ogni specie di sudditanza, ma nè i trattati, nè le convenzioni potrebbero variare la realtà dei fatti, e molto meno attenuare la forza dell'opinione, davanti alla quale gli uni e le altre sono egualmente impotenti. Il sospetto di una segreta influenza e di un'occulta inspirazione scemerebbe pur sempre l'ossequio, la reverenza, la fiducia; ed il sospetto, o scenda dalle reggie, o si

(1) Müller, Storia della Svizzera, u, p. 15.

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