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Tale è appunto la condizione degli Stati pontifici. Colà le vie di quegli impieghi e di quegli onori che appagano i bisogni del l'intelligenza, più che l'utile borsale, sono chiuse per sempre a chi non porta collare: colà pei laici non vi è speranza di pervenire: colà per le ambizioni è chiuso ogni sbocco. Vi rimarrebber le lettere, i commerci e le industrie, vi rimarrebbe la vita pubblica del municipio, come altretanti mezzi per dare uno sfogo alla operosità delle popolazioni. Ma le lettere gemendo negli Stati pontifici, più che negli altri Stati d'Italia, sotto il peso di una censura eunuca, insipida è anticivile, quale avviamento possono offrire agli ingegni? quale avviamento possono offrire le lettere, quando perfino le accademie letterarie e scientifiche, ogni convegno di studi, ogni gabinetto di lettura, come sospetti, furon colpiti da proscrizione? Quale sfogo posson dare all'operosità dei cittadini le industrie ed i commerci, quando gli uni e le altre gemono sotto il peso dei regolamenti e del monopolo, quando la libertà del commercio, la libera concorrenza, le macchine, l'industrialismo stesso, non hanno ancora ottenuta cittadinanza tra i principi governativi? Quale indirizzo alla operosità civile può offrire la vita municipale, quando essa è ridotta o a privilegio di una fazione, o è avuta vile perchè fatta serva, non ausiliaria al governo? Cosa rimane adunque? Restano le ambizioni non appagate, resta il bisogno di muoversi non soddisfatto, resta un popolo pieno di vigore, di vita e di forza, che, collocato in mezzo ad una società la quale si muove, si agita ed opera, vuole entrare in esercizio, vuole un indirizzo alla attività propria, resta la virtù operativa, che, eccitata da tanti dolori, stimolata da tante antipatie, stanca di tanti contrasti, riscossa da tanta imprevidenza, non temperata dall'educazione, non regolata dalla sapienza governativa, non soddisfatta in modo alcuno, prorompe disordinata, e si sfoga in progetti temerari, in desidèri mal misurati, in conspirazioni tentate senza speranza di riuscita.

CAPITOLO V.

Variabilità del governo..

Si perviene al papato mediante l'elezione. L'elezione è il modo più savio e più dialettico per distribuire é per trasmettere le dignità della terra, e quando la razionalità di questo sistema non fosse contrabilanciata dai danni dei tumulti, delle sedizioni, delle fazioni cui esso dà luogo, cotal modo di perpefuarc i poteri sovrani sarebbe certamente migliore di quello della successione, che generalmente è prevalso negli Stati d'Eu

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ropa. L'elezione, d'altronde, è il solo modo conveniente alle dignità della Chiesa, il solo che sia autenticato dall' esempio di Cristo e dalle sue parole, il solò che continui la primitiva instituzione del sacerdozio, nè a noi appartiene l'officio di noverare i benefici che l'elezione produce per la Chiesa e per la umanità. L'elezione, per altro, ottima in sè stessa quando è applicata al governo della Chiesa, la quale si regge sopra principi costanti ed uniformi, applicata al governo dello Stato quando non sia temperata da una qualche instituzione stabile e permanente, produce un danno non lieve, che noi esporremo, valendoci delle parole del cardinal Pallavicino e del pubblicista Botero.

Osserva il primo: «Che gli altri domini o son successivi per natura, o per consuetudine, sicchè i lor principi nelle dispo>>sizioni possono operare a disegno lungo, laddove i papi si >> eléggon vecchi, e con certezza che dopo la breve lor vita suc» cederà chi da coloro non è preveduto, e chi avrà concetti »in parte contrari: il che siccome per altro arreca molti e » gravissimi benefíci, così partorisce questo danno, che non »possono in utilità dello Stato mirare a disegno lontano, ap>>plicando rimedi i quali esigono lunga cura (1) ».

Osserva il secondo: « Credo i pontefici non ci abbiano atteso » (parla della giustizia criminale), e non ci attendano per altre » gravi occupazioni, come per la brevità della vita, che è anco >> cagione che alcuni che han tentato di riordinare alcune cose » spettanti alla amministrazione ed al miglioramento della giu>> stizia e del governo, non l'abbiano polula stabilire (2) ».

La vecchiezza dell' età ed il pensiero che il successore possa essere animato da diverse vedute, pensiero che il volgo ha tradotto nel triviale proverbio, che un papato è nemico dell'altro, sono già due potenti cagioni che fanno perpetuo il disordine nell'amministrazione dello Stato. Ma non è tutto: avvegnachè a queste cagioni altra se ne aggiunge più grave e più calamitosa, la perpetua variabilità, cioè, nei principi governativi, nelle leggi, nelle persone; variabilità che non è temperata da nessuna instituzione assidua, permanente, constante, la quale continui per lo meno nei principi quella perpetuità di vedute, che non può esser nelle persone. Non è gran tempo, e lo attesta la ŝtoria, che ad ogni nuova elezione di papa, tutto si rinnuovava il per'sonale degli impieghi, sia che fossero essi spirituali, sia che allo stato temporale si riferissero. Oggi quest'uso più non esiste in principio, ma ne duran tuttora le tracce nel fatto e nelle costumanze, avvegnachè il segretario di Stato, cui tutta la macchina del governo è affidata, da cui emana il pensiero che tutta la

(1) Pallavicini, Storia del Concilio di Trento, (2) Relazione di Roma e del suo governo.

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regge e la dirige, ad ogni elezione nuova si cambia, e cambiasi appunto per portare nel governo principi, vedute, interessi sostanzialmente diversi da quelli che vi portava l'antecessore. Ciò porta due conseguenze. La prima è che se per caso l' antecessore segretario di Stato ha intraprese riforme vantaggiose al pubblico bene, è cura immediata del successore l'annientarle, modificarle, cambiarle, e la storia degli ultimi anni, la storia, cioè, che descrive il segretariato di Consalvi ed i successivi, evidentemente lo prova. La seconda conseguenza è che, col cambiarsi del segretario di Stato, cambiano e si rinnuovano non solo i principi, ma anche le persone. Quindi la variabilità negli impieghi, che poi refluisce tutta sul governo, è, per così dire, permanente in tutti i gradi della gerarchia. I cardinali ed i prelati sono quindi promiscuamente ed il più delle volte simultaneamente impiegati nelle cose del governo ed in quelle della Chiesa: per ordinario una carica governativa dassi in premio di servigi prestati alla Chiesa, ed una dignità ecclesiastica in ricompensa di servigi prestati allo Stato. Gl'impieghi non sono mai di lunga durata; un individuo ne percorre molti, ed è balzato dall' uno all' altro, da un'incombenza all'altra, senza che fra queste vi sia rapporto o connessione di sorta alcuna. Dal comando militare passa il prelato alla Sacra Ruota, da questa al Santo Uffizio, dal Santo Uffizio ad una nunziatura, dal vescovado al governo di una provincia, dalla Congregazione dei Riti ad un'amministrazione finanziera; e per tal modo niuno acquista cognizione dell'uffizio, niuno risente amore per la carica, niuno pensa a proporre riforme e regolamenti, che o non ha tempo per attuare, o vedrebbe cambiati dal successore. Aggiungesi a tutto questo, che gli uffici secolari sono meno reputati e meno ambiti, poichè non per essi, ma sibbene per gli uffizi ecclesiastici si passa alle grandi dignità della Chiesa; quindi i primi, essendo cercati ed ambiti non per loro stessi, ma come mezzo per giungere ai secondi, sono anche con maggiore incuranza esercitati, con quella incuranza, cioè, che è propria e connaturale a tutti coloro che stanno in un impiego dal quale vogliono al più presto esser rimossi, per ascendere ad altri di maggiore importanza.

Un governo il di cui sovrano è elettivo, ed è cotanto variabile nei principi e nel personale, è un governo che non può avere altra stabilità tranne nel disordine e nell' anarchia.

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Invertita destinazione del danaro pubblico.

La questione finanziera è questione di vita e di morte per qualsivoglia governo. Ebbe dai sussidi straordinari l'origine sua

la Constituzione inglese; ebbero dal disordinato stato della finanza francese la cagion prima gli Stati Generali del 4789: la Dieta ungherese del 1844 si è disciolta in una questione di finanza (1): avranno dalla questione finanziera il colpo di grazia gli abusi delle vecchie monarchie, quando non vogliasi trar profitto dalle lezioni della esperienza e della storia. Se vi è cosa, infatti, che più faccia sentire i benefici di un governo rappre sentativo, è questa la pubblica discussione del budget; se vi è cosa che più offenda in un governo straniero, quella è di vedere i danari del paese trasportati ad alimentare il lusso ed i bisogni di un signore straniero: se vi son cose che tocchino più al vivo la suscettibilità dei sudditi, eccitino più facilmente i popolari tumulti, sono le imposizioni arbitrarie, le tasse immoderate, la mala gestione del pubblico danaro. Pochi sono sempre gli uomini cui possano scaldare la mente ed il cuore un'idea astratta ed un affetto, quantunque generoso e magnanimo: perchè idee ed affetti di tal natura possano muovere le braccia all'azione, una natura ci vuole privilegiata da Dio, un carattere ci vuole meno guasto dagli interessi materiali, un'anima, infine, gentile, passionata, capace di sentir l'impero del bello e del buono; ed anime si fatte, create più per soffrire che per godere, sono rare nel mondo, poichè l'alito funesto dell'egoismo spesso le guasta, e quello, più funesto ancora, del disinganno le avvilisce, le dispera e le uccide. Non così per la question finanziera: essa interessa tutti, s'intende da tutti, si propaga rapidamente in tutte le classi del popolo, ed analizzando fino al fondo l'indole vera di ogni rappresentanza nazionale, facilmente si scorge che i desidèri di riforma, le specie diverse di privilegi, le forme tutte di garanzia riduconsi tutte nel dare ai contribuentì la sorveglianza più o meno diretta sul pubblico danaro.

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Le imposizioni sono una necessità inevitabile in ogni specie di governo, ma essé non sono nè un tributo, nè una regalía, nè una rendita patrimoniale. Queste idee, che non sono state mai accettate nella loro totalità, nemmeno nella barbarie feudale, mercè i progressi del senso comune, mercè il rapido svolgersi dei sentimenti di giustizia, mercè i benefici della scienza, mercè l'ascendente dei principi eterni del vero, sono ormai abban donate da tutti, rimanendo esse nel dominio esclusivo degli umoristi, o degli atrabiliari. Oggi ogni idea di patrimonialità è scomparsa dal dominio del diritto pubblico universalmente accettato: oggi ogni governo, qualunque egli sia, altro non è che una amministrazione: la parola è entrata nel linguaggio della scienza, è stata accettata dalla pubblica opinione, è stata ammessa per

(1) Revue des Deux-Mondes du 1845, tomo xi, p. 019.

fino nei dizionari governativi, ed in queste faccende l'impero dei nomi e delle parole è onnipotente.

La parola amministrazione, e l'altra parola relativa lo Stato, fissano ad un tempo il carattere di qualsivoglia specie d'imposizione. Le imposizioni altro non sono che anticipazioni le quali si fanno dai sudditi per mantenere il governo, per provvedere ai bisogni dello Stato, per promuovere e tutelare i generali interessi del paese. Questa definizione, che sotto formule diverse è accettata universalmente da tutti, esige nel rapporto delle imposizioni tre condizioni sacramentali, cioè:') is an 1.° Moderazione nel chiedere;

2. Giusta egualità nel repartire;

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3.o Sapienza e fedeltà nello spendere e nello amministrare. Se le imposizioni sono soverchiamente gravose, se sono male repartite sopra i contribuenti, se non sono come i vapori che il sole trae dai campi per riversarveli sopra disciolti in pioggie e rugiade, esse appariscono estorsioni fiscali, esse diventano rapacità illegali, esse pérdono qualunque carattere di legalità, esse convertonsi in segno di tirannide, in fomite di mali, in cagione di ribellione, e ad ogni pagina lo dice la storia. Quei principi pertanto dell' Europa i quali non hanno ancora subìte le leggi inevitabili del progresso e della civilizzazione, la quale ha una forza espansiva tutta sua propria, che la porta ad estendersi ed a livellare, se vogliono esimersi per qualche tempo ancora dal rendiconto e dalle incomode discussioni del pubblico bilancio, se desiderano che le riforme, ormai inevitabili, si compian per essi e con essi e non loro malgrado, e senza il loro concorso, profittino del momento per immaginare quelle specie d' instituzioni per le quali possa soddisfarsi al desiderio dei popoli, e garantirsi stabilmente la libertà civile dei sudditi senza offesa alla indipendenza del trono, e senza diffalco alla forza del goyerno; ma, più che altro, stieno attenti alla finanza, e facciansi perdonare colla moderazione nel chiedere, e colla sapienza nello spendere e nello amministrare, quella onnipotenza di cui tuttora sono privilegiati. Sappiano essi che i sudditi pagano senza la◄ mento, finchè gli resta danaro per provvedere ai propri bisogni, finchè hanno un compenso di ciò che danno nel sicuro godi mento di ciò che gli resta: finchè vedono, infine, che il loro danaro si converte in strade, si trasmuta in canali, mantiene e propaga utili instituzioni, ed aumenta i benefici del viver civile, cioè la sicurezza e la prosperità universale. Ma sappiano altresì che, qualora i sudditi si accorgano che il frutto della loro industria e della loro fatica serve soltanto ad alimentare il lusso delle corti, i capricci del principe, la rapacità dei favoriti, la fame insaziabile delle turbe sempre crescenti dei pubblici funzionarii, quando si accorgano di non aver compenso alcuno dei sacrifici

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