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nè l'assistenza delle potenze cattoliche fossero garanzie sufficienti a salvare la sovranità temporale del pontefice dalla rovina, bisognerebbe allora adorare nella caduta di questo edifizio augusto i decreti imprescrutabili della Provvidenza; l'umile barca del Pescatore rimarrebbe pur sempre illesa in mezzo ai flutti di un mare procelloso, la fede sola basterebbe a salvarla, senza bisogno di trasformarla in nave di guerra. Pietro camminò sulle acque finchè cbbe fede nelle parole del maestro; vacillò nei piedi tosto che vacillò nella fede, e, se la mano amica di Cristo nol sorreggeva, Pietro, dubitando, annegava.

Diceva Lambertini: « Che alla perfine la Chiesa conserve>> rebbe ciò che per diritto divino era suo, e perderebbe ciò che » i potentati della terra le avevano dato, e che cagione per lei » era di tante querele, di tanti risentimenti, di tante molestie, » e ancora di tanto scandalo e discordie pei fedeli ».

Terminiamo questo capitolo colle celebri parole del cardinal Pacca: «Mi confermava in questo timore il pensiere che dal » tristo e doloroso avvenimento della cessazione della sovranità » dei papi, poteva il Signore cavarne altri e non leggeri van>> taggi per la sua Chiesa; pensava che la perdita del dominio » temporale e della maggior parte dei beni ecclesiastici, avreb» be fatta cessare o infievolire almeno quella gelosia e quel mal » talento che si ha ora da per tutto contro la corte romana e » contro il clero: che i papi, sgravati dal pesante incarico del » principato temporale, che pur troppo gli obbliga a sacrificare » una parte del loro tempo, così prezioso, in negozi secolareschi, >> avrebber potuto rivolgere tutti i loro pensieri e tutte le loro » cure al governo spirituale della Chiesa: che mancando alla >> Chiesa romana il lustro e pompa dell'onorificenza, e l'incen» tivo dei beni temporali, sarebbero entrati nel suo clero quelli » soltanto che bonum opus desiderant, e non avrebbero dovuto >> in avvenire i papi avere, nella scelta dei loro miniștri e con» siglieri, tanti riguardi allo splendore dei natali, agli impègni » dei potenti, alle raccomandazioni e nomine de' sovrani, per >> cui può dirsi spesso delle promozioni romane: multiplicasti » gentem, sed non magníficasti laetitiam; che, finalmente, nelle » consultazioni per gli affari ecclesiastici, tra i motivi che si » presenterebbero per prendere o per rigettare una risoluzione, » non avrebbe avuto più luogo quello del timore di perdere lo » stato temporale, motivo che, messo sulle bilance, potea farle » traboccare dalla banda di una soverchia pusillanimità. Queste » ed altre considerazioni indebolivano, come io diceva, la mia » speranza di veder presto risorgere il governo pontificio, e mi >> fecero talvolta pensare, non essere più sperabile, per molto » tempo almeno, questo avventuroso e tanto da noi desiderato

» risorgimento: ed in quei momenti andava in mente racco» gliendo le ragioni apologetiche della mia condotta, e ministe» riale e particolare, e, rassegnato ai divini voleri, concludeva » che qualunque cosa accadesse: Justus es, Domine, et rectum » judicium tuum (1) ».

E noi, che siamo laici, unendo le nostre deboli parole alle nobilissime dell'esimio porporato, prendiamo qui solenne occasione per dichiarare che quanto abbiamo detto, non per vana pretesa di leggere nei decreti del cielo, non per irreverenza alla corte di Roma, non per vano desío di fama o di novità l'abbiamo detto, ma solo per dimostrare nel migliore e più efficace modo la sincera affezione che con tutte le forze dell'animo nostro professiamo caldissima verso una instituzione che noi reputiamo santa e necessaria, nel triplice rapporto della Chiesa, della pubblica pace e della politica rigenerazione dell'Italia.

CAPITOLO VI.

Modo per effettuare praticamente la soluzione
del problema.

Possono concorrere alla soluzione del problema le savie e pacifiche rimostranze o preghiere dei sudditi: può concorrervi l'intervento della diplomazia, la quale, interessata essendo ad allontanare ogni possibile eventualità di guerra, ha già pronunziata parola di franca adesione ad una larga riforma: posson concorrervi ancora i principi italiani, sì perchè hanno essi interesse che sia tolto dal centro dell'Italia un fomite perpetuo di insurrezione, sì perchè ad essi deve piacere un modo di riforma dal quale non sia disturbato l'equilibrio degli Stati, sì perchè ad essi non giova starsi colle mani a cintola quando la vicina casa è in fiamme o in rovina.

L'INTERVENTO DEI PRINCIPI ITALIANI IN QUELLE COSE CHE IMPORTANO ALLA SALUTE DELL'ITALIA non può essere contrastato, nè dirimpetto al diritto pubblico, nè dirimpetto al senso

comune.

Ma la soluzione del problema vorremmo che fosse effettuata dal fatto spontaneo del papa e del Sacro Collegio, anzichè dalla diplomazia o da altro qualsivoglia principe.

Nelle cose che riguardano le riforme politiche degli Stati è vietata da tutte le dottrine politiche qualunque coazione esterna che offenda la indipendenza del principato. Questo principio

(1) Lettera d'introduzione alle memorie.

tanto vale per denegare ad ogni potentato il diritto d'intervenire nelle faccende politiche e temporali del papato, tranne per via di mero consiglio, quanto per denegare ad ognuno il diritto di frapporre ostacoli ad una riforma che dal papa e dal Sacro Collegio si consentisse.

Non parliamo del papa; il suo disinteresse è conosciuto, come conosciuti sono del pari il sincero amore che nutre per i popoli da Dio affidati alla sua custodia, e lo zelo che lo infiamma ad adoperarsi per il bene della Chiesa. In questa riforma, d'altronde, niun detrimento si sente dal papa, niuna abdicazione, o diminuzione di potere gli è chiesta: resta ad esso intatta, inviolata, indipendente la sovranità, gli resta libero ed assoluto il governo dello Stato.

Parliamo, invece, dei cardinali, cui, rimanendo tutti gli antichi onori, tutti gli antichi offici, tutte le prerogative, potrebbe, pur non ostante, sembrare che l'associazione del laicato al governo, il temperamento dei poteri, la severità del sindacato fossero attentati alla libertà ed indipendenza ministeriale e governativa. E questo, per vero, è il nodo gordiano della questione, imperocchè la riforma da noi progettata è diretta appunto a far cessare quella indipendenza governativa della quale godono attualmente i funzionari, e che vuolsi da noi considerare come la maggiore calamità dello Stato.

Il ritirare le cose verso i loro principi per conservargli l'antica reputazione, è massima politica, la di cui applicazione nemmeno nel caso attuale può esser controversa.

Tolgasi pertanto ai cardinali come individui ogni autorità politica, che ad essi stessi è grave e molesta: ridonisi tutta intera al Sacro Collegio, come corpo nel quale congiuntamente al papa risiede la rappresentanza della sovranità della Chiesa. In questo tema i cardinali funzionari non abbiano un'autorità propria, ma un'autorità delegata e dipendente dal poter sovrano.

Qui non vi è via di mezzo. O i cardinali, appagandosi della sovranità compartecipativa, vogliono trasformarsi da funzionari in dignitari, come accadde un tempo della carica del gran camarlengato di Santa Chiesa, e allora qualunque specie di dipendenza o di responsabilità non sopra di essi, ma graviterà esclu sivamente sopra i funzionari, che, prelati o laici, saríano nominati liberamente dal papa e dal Sacro Collegio: o i cardinali, invece, non vogliono spogliarsi delle ingerenze attive del governo, ed alla dignità di sovrani vogliono unire eziandio l'autorità di funzionari, ed allora, come funzionari, duopo è che soggiacciano a quella responsabilità di cui sarebbero scevri come sovrani.

E gli eminentissimi principi non vorranno dipartirsi nella

scelta dall'uno o dall'altro di questi due partiti, siccome i soli dai quali possa sperarsi una riforma efficace e duratura; in primo luogo, perchè essi hanno la conscienza che lo stato attuale è precario, e non può sperarsi di sostenerlo per più lungo tempo. In secondo luogo, perchè ad essi non deve piacere quello che tutto di è in bocca dei pretesi savi del mondo, godere cioè i benefici del tempo, imperocchè il tempo si caccia innanzi ogni cosa, e può condurre seco bene come male, e male come bene. In terzo luogo, perchè è regola di prudenza politica sapersi sempre far grado delle cose, quando la necessità ne potrebbe costringere a doverle poi fare in ogni modo, senza che per questo niuno ne sia grato e riconoscente. In quarto luogo, perchè il Sacro Collegio è interessato a far cessare uno stato violento di cose, che è cagione di difficoltà sempre crescenti, argomento di scandalo, occasione di calunnie, e pretesto d'irreverenza. In quinto luogo, perchè esso è pure interessato a favorire e promuovere gli alti destini cui è chiamato il papato nell'opera stupenda della civilizzazione cristiana. In sesto luogo, infine, perchè, concorrendo spontaneamente coll'opera sua ad una riforma che forse in ogni evento pur sarebbe inevitabile, potrebbe meglio e più efficacemente provvedere alla sua dignità, alle sue prerogative ed alla utilità temporale della Chiesa.

Il Sacro Collegio adunque, mosso da quelle stesse virtù che gli hanno reso il suffragio della pubblica opinione, persuaso dalle difficoltà dei tempi che corrono, confortato dai consigli dei prìncipi italiani, incoraggiato dal voto di tutti gli uomini onesti, saprà dare al mondo, che lo attende, l'esempio imponente, grandioso, non mai veduto, di un venerando senato che, per il bene della Chiesa e per l'utilità dello Stato, abdica spontaneamente ad una parte della sua autorità in quella Roma stessa dove i Padri antichi con altro eroismo, per non disperar della patria, seppero aspettare intrepidi sulle sedie curuli l'ira di Brenno. Ed allora taceranno le calunnie, allora quel venerando consesso crescerà gigante nella opinione degli uomini, allora la porpora incontaminata brillerà di più vivaci colori, e la religione scriverà questo fatto tra i suoi trionfi immortali. È ben felice quel papa il quale, benchè privilegiato da Dio di tutte le qualità necessarie a ben governare, non dissimulerà a sè stesso l'impossibilità di adempire egli solo agli innumerevoli doveri del suo sacro ministerio. Felici quei cardinali, se, scendendo nel santuario della loro conscienza, non dissimuleranno a sè stessi l'impossibilità di soddisfare ai bisogni del tempo cogli attuali ordinamenti dello Stato, e se, non più dominati da una perigliosa gelosia vorranno chiamare in soccorso le forze giovanili e vivificanti del laicato, senza tema di esserne vilipesi o derisi al conspetto

del mondo! Ma più felici i sudditi, se, cessando da ogni ostilità suggerita dai pregiudizi o dal basso consiglio dell'egoismo, vorranno con affetto di riconoscenza e di amore coadiuvare la sovranità temporale dei papi nell'opera santissima e gloriosa di fondare una potenza che non teme vicende, quella, cioè, che si asside sulla dignità del trono, sull'impero delle leggi, sulla sicurezza dei sudditi e sulla prosperità universale.

CAPITOLO ULTIMO.

Conclusione.

Per le cose dette e discusse nelle pagine precedenti, ci pare resultino tre proposizioni di generale conclusione:

I. I vizi i quali si rimproverano al governo pontificio, sono estranei al papato, estranei alla Chiesa, estranei alla sovranità temporale, ma conseguenze della trasformazione di questa in governo clericale esclusivo.

II. Per riparare ai danni dello stato presente, è necessario ricondurre nel governo l'elemento laicale, ma in modo tale, che non ne resti offesa l'indipendenza pontificia.

III. Ridurre il governo ad un principato consultivo nel quale i poteri sovrani sieno temperati dai due attributi del far sapere al governo ciò cui deve provvedere, e del sapere ciò che fa il governo, organizzati mediante il poter comunale reso indipendente, è il mezzo più efficace per la resoluzione del problema.

La prima proposizione serve a giustificare il papato dalle accuse politiche e dalle calunnie degli avversari.

La seconda proposizione, eliminando dal calcolo tutte le possibili esagerazioni, pone in evidenza la necessità di una riforma.

La terza tende a ravvicinare il governo pontificio alle condizioni dell' incivilimento cristiano, le quali esigono la partecipazione dei popoli al governo di sè stessi, ed a ricongiungere lo stato presente col passato e coll'avvenire.

Noi non pretendiamo di avere sciolto il problema in modo assoluto, ma speriamo di avere esposti gli elementi tutti i quali sono necessari per risolverlo. Altri, più valenti di noi, potranno darne una risoluzione migliore, e, qualunque essa sia, ne goderà l'animo nostro; chè noi non ci mossimo (ci piace ripeterlo) a parlare nè per odio, nè per spirito di parte, nè per ambizione d'intelletto, ma per l'amore che portiamo alle credenze degli avi nostri, al papato, alla patria comune, e pel desiderio di vedere stabile la fiducia reciproca tra i principi italiani ed i loro popoli, permanente la concordia tra le nazioni cristiane, cessato una volta lo scisma che le divide.

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