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a migilor mercato, passò successivamente sotto la signoria dei Peppoli, fatti vicari generali della Chiesa (1), e per il prezzo di duecentomila fiorini d'oro sotto la signoria di Giovanni Visconti, che potè ottenere da Clemente VI la bolla d'investitura (2).

Le vicende politiche di Roma furono anche in questi tempi dipendenti sempre dalle sue condizioni speciali, vale a dire, dal poter dei nobili, non mai depresso, dalle tradizioni antiche, non mai dimenticate. La constituzione politica del popolo aveva per fondamento la divisione della città in tredici rioni, ciascuno dei quali si eleggeva un capo detto il caporione. I tredici caporioni equivalevano ai priori delle altre città. Vi erano inoltre due collegi, l'uno di cinquantadue cittadini, e l'altro di venticinque, presieduto dal capitano del popolo. Per la riunione dei due collegi avevasi il gran Consiglio. Alla testa del popolo stava il prefetto di Roma: alla testa dell'intera città, cioè del popolo e dei nobili, stava il senatore (3). Annullata per Martino IV la legge di Niccolò III, la quale vietava che la dignità senatoria fosse conferita a principe o forestiero, essa fu ottenuta per le diverse vicende che le fazioni principali Orsina e Colonnese ebbero in Roma. L'ottenne col favore dei Colonnesi Luigi di Savoia, col favore di Giovanni XXII il re Roberto, che, per avere la pace tra i due partiti, dovè scegliere in entrambi un luogotenente (4): l'ottenne per gli stessi mezzi anche Ludovico il Bavaro, che prese per suo vicario Castruccio (5). Non era però spenta nel popolo romano la volontà di organizzare il Comune, e di concentrare in esso un potere forte e supremo, che si serbasse illeso in mezzo agli urti delle contrarie fazioni. Due fatti diversi provano la stessa tendenza: cioè l'ambasceria spedita nel 1338 a Firenze per aver copia degli ordini di giustizia (6); la sollevazione di Cola di Rienzi. Il primo fatto proveniva dalle idee comuni allora a tutti i popolani delle città guelfe. Mosse il secondo dalle cause stesse, cioè dal bisogno d'introdurre ordini di giustizia contro ai grandi, e pace tra i partiti; bisogno che, associandosi secondo l'usato alla idea di Roma, resuscitata nella potestà tribunizia, fruttò la morte al tribuno, zelante del bene dell'Italia ed amator del mondo, e fruttò rovina ai Romani, la di cui municipale constituzione restò sempre incompleta e quindi

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insufficiente a salvarli contro i nobili e contro le invasioni de. poter sovrano (1)..

Mentre Perugia si governava a città libera; mentre Bologna riconosceva la signoria dell' arcivescovo di Milano, e mentre Roma mal celava le sue miserie presenti colle tradizioni di sua antica grandezza, il resto degli Stati della Chiesa era sminuzzato e diviso tra grandi e piccoli dinasti, ciascuno dei quali pretendeva alla posizione di principe indipendente. I tre fratelli Malatesta, Malatesto cioè, Galeotto e Pandolfo, col titolo di vicari imperiali tenevano signoria in Rimini, Fano, Pesaro ed Osimo (2). I Polentani, figli di Guido, signoreggiavano Ravenna, Cervia, Sinigaglia e Bertinoro. Urbino, Recanati, Spoleto ed Assisi ubbidivano ai Montefeltro. Į Varano, prima signori di Camerino, poi colla protezione dei papi erano divenuti i primi dinasti della Marca. Dominavano colla stessa potestà quasi sovrana, e solo moderata dalle autorità dei Comuni, gli Ordelaffi in Forli; Ghello da Calisidio in Cesena; Gentile da Magliano in Fermo; Albergotto dei Chiavelli in Fabriano; Bulgaruccio degli Ottoni in Montelice; Smeduccio degli Smeducci in San Severino; Pagnone della Cima in Cingoli; Michele Montemilone in Montemilone e Tolentino; Freddo de' Fedrucci in Macerata. Giovanni da Vico, prefetto di Roma, gli Orsini ed i Colonnesi possedevano quasi tutto il territorio vicino a Roma, il patrimonio di San Pietro e la Sabina (3).

Questa era la condizione miseranda della sovranità temporale dei papi nella prima metà del secolo XIV. Maturavano intanto due grandi avvenimenti, per mezzo dei quali doveva operarsi nelle età successive una completa trasformazione della sovranità stessa, vogliam dire

I. La formazione delle nazioni moderne;

II. La constituzione politica del Sacro Collegio.

(1) Muratori, anno 1347. - Leo, lib. vii, cap. 3, § 4.

I Fragmenta historia romana, ap. Muratori, fanno un quadro spaventoso del disordine di Roma in questi tempi: « Onne di se com>> mattea: da onne parte se derobava: dove era loco de vergini se » vettoperavano. Non ce era reparo: le piccole zittelle se ficcarone, >> e menavanose a desonore: la moglie era toita lo marito ne le pro»prio letto. I lavoratori quando ievano fora a lavorare, erano de>> robbati: dove? fin sulla porta de Roma ».

Nelle lettere scritte alle città italiane, Cola invoca espressamente l'antico diritto di Roma. « Volentes benignitates et libertates antiquorum Romanorum pacifice, quantum a Deo nobis permitti»tur, imitari ».

(2) Cronica bolognese; Rer. Italic., tomo xvu, pag. 414. (3) Raynaldi, anno 1350, n. 6.

SI.

Formazione delle nazioni moderne, e sua influenza
sulla condizione politica dei papi.

Se il papato aveva dovuto lottare per gran tempo príma di assicurare il suo completo trionfo sul poter civile, assistito dalle tradizioni e dal diritto divino, aveva fin dal secolo Ix trionfato completamente nell'ordine legale e nell'ordine intellettuale sulle chiese nazionali (1). Ma nel secolo XIV cominciavano già i germi di quelle divisioni che, nate col risorgere del razionalismo, cresciute nel seno delle università, favorite dalle monarchie, che constituivansi al di sopra dei poteri feudali e comunali, furono le remote cagioni del grande scisma d'Occidente, dei concili di Costanza e di Basilea, e s'immedesimarono finalmente colla riforma (2).

Sui primi del secolo XIV già compariva gigante un fatto nuovo, la formazione, cioè, delle lingue nazionali, la quale preceder doveva la formazione delle diverse nazionalità, che andò successivamente compiendosi nel secolo XV. L'idioma della Chiesa cedeva per tal modo il passo poco alla volta ai nuovi idiomi; accanto alla scienza sacerdotale sorgeva la scienza laica, che inauguravasi stupendamente in Italia col poema dell' Alighieri; l'universalità intellettuale rompevasi; una nuova separazione manifestavasi, e le nazionalità, già domate ed assorbite dai due elementi prevalenti teocratico e feudale, cambiate, trasformate, affrancate dalla tutela, gettavansi in una strada nuova per dar principio ad una nuova resistenza. I principi elettori riuniti sulle rive del Reno, dai loro seggi di pietra gettavan le basi di un nuovo sistema per mantenere i diritti e la dignità dell' Impero contro le invasioni papali. Odoardo III ricusava arditamente di pagare il tributo a San Pietro, e la sua resistenza era lodata ed incoraggita dal parlamento. I pretori del popolo, i grandi, il clero e le università aderivano agli atti di resistenza, che, insegnati da Filippo il Bello, furono poi sempre imitati dai re francesi. Apparve allora alla corte di Roma esser saggio consiglio e

(1) Guizot, Cours d'Histoire moderne, leçon xxvи.

(2) E noto che lo scisma d'Occidente ebbe per origine la divisione tra i cardinali italiani e francesi, e l'interesse che ebbero i principi nel proteggere gli antipapi. È noto che il Concilio di Costanza, oltre i diversi provvedimenti presi per la tutela delle chiese nazionali, dovette ricorrere all' espediente di aggiungere al collegio dei cardinali sei prelati per nazione all'effetto di eleggere il nuovo papa, che fu Martino V.Vedasi Lenfant, Histoire du Concile de Constance.

necessità imposta dal variare dei tempi, il rivolgere le mire a quella sovranità temporale che meno sembrava dovergli esser contrastata nell' opinione e nel fatto, a quella sovranità cui essa aveva titoli, nel diritto pubblico d'allora, incontroversi, a quella sovranità, infine, che, se prima era stata ambíta per salvare il Papato dalla servitù dell' Impero, appariva odiernamente indispensabile per conservare la supremazia spirituale sulle nazioni cristiane. Questa necessità, che molti anni più tardi fu apertamente denunziata da un oratore nel concilio di Basilea, era conosciuta in corte avignonese nella prima metà del secolo XIV (1).

Fu questo il motivo della prima spedizione del cardinale Egidio di Albornoz nel 1353. «L'anno fu questo (dice il Muratori) » in cui il papa Innocenzo, vedendo ormai tutte le città della >> Chiesa cadute in mano di tiranni, spedì in Italia Egidio Albor»noz, cardinale spagnuolo, personaggio di gran petto e mente, » che, avvezzo alle armi prima di portar la porpora, seppe fare » non meno da generale d'armata, che da legato (2) ». E furono veramente mirabili le geste dell'Albornoz; poiché, venuto in Italia con pochi armati, seppe in poco tempo, parte colle armi, parte colle arti politiche, parte cogli accordi, ridurre all'obbedienza tutte le città e tutti i dinasti della Chiesa. Adoperò Cola di Rienzi per abbatter col favor dei Romani la potenza di Giovanni da Vico. Adoperò gli accordi per sottomettere i Malatesta, i Polentani e gli altri minori dinasti, confermandoli tutti nel possesso dei loro Stati, mediante il pagamento di un censo annuo in ricognizione dell'alto dominio. Adoperò le armi e le arti politiche al tempo stesso per soggiogare gli Ordelaffi, che, rimasti soli, osavan nonostante di far resistenza al legato (3).

Se la conquista dell'Albornoz impedì che gli Stati della Chiesa si sottraessero stabilmente alla di lei autorità, non alterò nel resto il concetto giuridico della sovranità pontificia, non variò i rapporti politici dei diversi poteri allora esistenti, non tolse la libertà ai Comuni, non la sovranità mediata ai feudatari, non spense in tutti la voglia di tentar cose nuove alla prima occasione. I Romani, che nella seconda venuta del cardinale gli avevan

(1) Il Ranke, nella sua Storia del papato, tomo 1, in francese, riporta il passo seguente del mentovato oratore, estratto da una collezione germanica: « Autrefois mon opinion c'était, qu'il serait très>> utile de séparer entièrement la puissance temporelle de la puissance >> spirituelle: mais maintenant j'ai appris que la vertu sans le pou» voir est ridicule, que le pape romain sans le patrimoine de l'Église, »> ne représente qu'un serviteur des rois et des princes

(2) Muratori, anno 1353.

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(3) Idem, agli anni 1354, 1356, 1358. - Leo, lib. vin, cap. 3,§ 1.

concessa la signoria della città, col patto che nè egli nè il papa vi avessero uffizio, nè giurisdizione alcuna vi esercitassero (1), ribellarónsi quattro volte durante lo scisma, cioè nel 1397 contro Bonifacio IX, nel 1404 e nel 1405 contro Innocenzo VII, nel 1408 contro Giovanni XII, e per due volte fu occupata la città da estranei signori, cioè nel 1409 dal re Ladislao, e nel 1417 da Braccio da Montone (2). Urbano V ottenne che Barnabò Visconti rinunziasse ad ogni pretensione sopra Bologna (3). Ma incerta signoria vi ebber per molti anni i papi, poichè Bologna ribellossi tre volte dal 1379 al 1416, e due volte nel periodo stesso fu occupata da altri, cioè da Giovanni Bentivoglio e dal cardinal Cossa, che tentò di procacciarsi in Romagna uno Stato indipendente ai danni della Chiesa (4).

Perugia fece guerra aperta coi papi nel 1369 per sostenere i suoi diritti sopra Assisi e Città di Castello; fu signoreggiata da Biordo de' Michelotti negli ultimi anni del secolo XIV, e da Braccio da Montone sui primi del XV (5). Sotto il pontificato di Gregorio XI ribellaronsi in pochi giorni alla Chiesa ottanta fra città, castelli e fortezze, sicchè poi ne vennero le immani rapine degl' Inglesi e dei Bretoni condotti dal vescovo d'Ostia e da Roberto, cardinale della basilica dei dodici Apostoli (6). Onde conoscer poi in quali condizioni si fosse ridotto il papato negli ultimi anni dello scisma, bastici riferire ciò che narra Lodovico Muratori sul ritorno da Costanza di papa Martino V. « Quivi (in >> Mantova) si riparò il resto dell' anno coll' attendere in lonta»nanza a rimediare ai disordini dello Stato ecclesiastico, pei » quali trovò vacillante la sua autorità. Bologna s'era già rimes»sa in libertà; Perugia con altre città obbediva a Braccio da >> Montone; in Roma tuttavia regnava la discordia, e vi teneva >> il piede la guarnigione della regina Giovanna; in mano, final» mente, di varii signori era la Romagna e parte della Marca. » Per cagione di questo sconcertato sistema i vigilanti Fioren» tini gli esibirono per stanza di sua sicurezza la stessa città di » Faenza o Pisa: egli vi si mostrò disposto ad accettare l'offer>> ta. Inviò ambasciatori in Bologna richiedendo il dominio tem>>porale di quella città; altri ne inviarono a lui i Bolognesi, >> pregandolo a non volersi impacciare nel civile loro governo, »e tanto seppero fare, che egli si contentò di lasciarli come

(1) Muratori, anno 1362.

(2) Idem, a questi anni.

(3) Idem, anno 1364.

(4) Idem, anni 1379, 1393, 1401, 1408, 1411, 1416. (5) Idem, anni 1369, 1394, 1400, 1416.

(6) Idem, anni 1375, 1376, 1377.

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