Immagini della pagina
PDF
ePub

varsi allo

[ocr errors]

ti anni mostrasse, che iu niun modo non si potea credere che fosse di nostro secolo. La sua statura, per lo essere ella variabile, non si potea determinatamente giudicare quanta fosse. Conciossiacosachè questa donna si ristringeva tal ora in guisa, che non passava la comune misura d'un uomo e talvolta si ditugeva in modo, che pareva che ella col cocuzzolo del caccasse il cielo; ed alcuna fiata, quando voleva letrapassava esso cielo, di maniera che coloro i quali Volevano guardare, non potevano. Aveva le sue vestimenta di fila sottilissime, e con maraviglioso artifizio e d'una materia indissolubile conteste, le quali essa medesima, sì come poi mi disse ella stessa, tessute si avea colle sue mani proprie: la bellezza delle quali, come si vede nelle statue affumicate dal tempo, aveva una certa caligine di trascurata antichità ricoperta. Nell'ultimo e più basso lembo delle quali, era intessuto un II', ed in quella da capo, uno 2; e tra l' una di queste due lettere e l'altra, si vedevano fregiati alcuni gradi, come a modo d'una scala, mediante i quali si poteva dalla lettera di sotto a quella di sopra satire. La qual vesta però avevano le mani d'alcuni uomini violenti squarciata tutta; e portatosene ciascuno quei brani ch'egli aveva portarne potuto. Teneva costei nella sua mano dritta alcuni libriccini, e nella manca una bacchetta da re. VARCHI, Volgarizzamento della Consolazione della Filosofia. di Boezio, libro I.

V. La vita umana.

Non ci è al mondo più lungo cammino di quello della vita. Ogni uomo e ogni donna, quanto è a sè, non può fare una gita più lunga di questa, Mentre che si fa viaggio, mille cose ti hanno ad accadere; e mentre che si vive, sarà lo stesso. Leva il sole chiaro, senza un nuvoletto per tutta l'aria dall'oriente all'occidente, da settentrione al mezzodì. Oh, bella giornata ch'è questa! Animo. Su, in poste. Oggi io avrò un viaggio prospero. Entro nel calesse; e non sarò andato oltre due miglia, che dalla parte di tramontana incominciano a sorgere certi nugolonacci neri, cenerognoli; dai quali esce un acuto lampeggiare spesso: poi si alzano, e mandano fuori un sordo fragore: in fine volano come se ne gli portasse il diavolo, premono certi goccioloni radi qua e colà, finalmente riversano pioggia con tanta furia, che par che venga dalle grondaje. Tu ne aspetti allora anche gragnuola, saette, e che si spalanchi l'abisso. Non è vero. Ogni cosa è sparita: il sole ritorna come prima. Un altro dì ti avviene il contrario. Esci di letto, che giureresti che avesse a cadere il mondo; di là a mezz'ora, tutto è tranquillità e quiete. Trovi un' osteria che pare editica ta dal Palladio. Ti si presenta un ostiere, che diresti, costui è uscito ora di bucato; pulito come una mosca. I famigli suoi tutti sono garbati. Tu fai conghiettura di avere un pranzo che debba essere una signoria. Siedi alla mensa. A pena hai di che mangiare: e in fine una polizza ti scortica fino all'osso. Domani in una taverna, che pare un nido di sorci, che ha per insegna un fastelletto di fieno, o una frasca legala sopra un bastone, Significa pantnn, cioè pratica o attiva.

[ocr errors]

* Significa continǹ, cioè speculativa o contemplativa.

[ocr errors]

farai la più grassa vita e il più bello trionfare del mondo. Reggi in qual modo vuoi le cose tue e fa quel che vuoi; prendi alterazione o non ne prendere di quello che ti avviene; misura i tuoi passi, o lascia andare le cose come le vogliono; io credo che sia quello stesso. Una cosa sola dovremmo imparare, cioè la sofferenza. Ma noi vogliamo antivedere, gli anni non che i mesi prima, quello che dee avvenire; e oltrepassare con gli occhi dell' intelletto a quello che dev'essere. E non è maraviglia poi se vediamo quasi tutti gli uomini pieni di pensiero; con gli occhi tralunati e malinconici, che sembrano sempre in agonia; e si dolgono che la fortuna è cieca.

Gozzi, Osservatore, parte III.

VI. La curiosità delle cose che non ci appartengono, e la

noncuranza delle cose proprie.

Gli occhi e gli orecchi degli uomini a me pare che somigliar si possano alle finestre di una casa; alle quali si affaccia l'anima, per vedere le cose del mondo. E costei, ch'è la padrona dell'uomo, ed ha tutte le sue masserizie in lui, lascialo per lo più in abbandono; e a guisa di una civetta, che uccelli amatori, sta sempre alla finestra, ora per adocchiare, e ora per udire, quello che facciano o che dicano gli altri. De'fatti del prossimo ella è maestra. Domandatele quello che fa il tale, o il tale, quello che gli sia avvenuto, quali sieno i difetti suoi; ella vi tesserà una cronaca, con tanta diligenza, che voi direte: Costei è la più dotta e la più erudita anima che vivesse mai. Oh quante cose ella sa! com'è informata bene! All'incontro, se voi le favellate punto de'fatti suoi, non solo troverete ch' ella n'è ignorante e goffa, ma vi accorgerete, a varii segni, che la non si cura di aver notizia di quello che le appartienė; e non vi ascolterà volentieri, e talvolta vi dirà cose che mostreranno che voi le fate dispiacere a parlargliene. Al men che sia, dappoich'ella pur vuole starsi alla finestra, mentre che vede i fatti degli altri, in iscambio di farne conserva nella sua memoria per cianciarne, se ne valesse per farne poi tacitamente specchio a sè medesima, e averne scuole per li fatti suoi. Ma che? Non è mai stato possibile. E tuttavia dappoi in qua che ci sono uomini al mondo, sempre è stato alcuno che, a guisa di trombetta, andò intorno sermoneggiando, e dicendo pubblicamente questo difetto ch' ella ha. Chi lo ha detto con libri aperti di morale; chi con finzioni di bestie che parlano; chi con immaginare azioni di uomini in poemi, altri in tragedie e in commedie: dicendo costoro fra sè: dappoichè l'anima vuol pur vedere ed udire, vagliamoci di questa sua inclinazione, e rappresentiamole cose le quali, col mezzo della maraviglia, del terrore, o del riso, la scuotano, la destino; sicché sia sforzata a fare qualche comparazione fra sè e quello che vede, e non dorma con gli occhi aperti. În fine, io credo che non abbiano giovato punto: perchè la cosa fu presa per finzione ritrovata per dare altrui diletto, è in iscambio di comparare quello che si vedea o si udiva a sè medesima, la maliziosa anima fece la comparazione delle cose vedute ed udite con altri; e ne fu quello stesso di prima.

1 Cioè elle.

Il medesimo, ivi, parte IV.

sticcio. Il naturale, nelle persone si chiama viso; il posticcio, maschera: nelle cose poi, il medesimo naturale si dice proprio; il posticcio, metafora o traslazione. Or come sono assai più le persone che si voglion mascherare, che non sono le maschere; così molte più sono le cose che si hanno a significare, che non sono le parole e i proprii che le significhino. Per questo s'è trovato, primieramente per necessità, che questi volti posticci si prestino e si scambino; e che gli uomini se ne servano in loco de' naturali, e le cose in loco de' proprii. Dipoi, conoscendosi che, fuor della necessità, le maschere dilettano a vederle, e le metafore a sentirle; si son fatte anco per vaghezza e per diletto; e tal volta per rappresentar meglio una persona e una cosa, che non si farebbe col naturale e col proprio loro. E queste sono le principali cagioni per le quali s' adoperano, così le maschere, come le metafore. Diciamo ora che siccome quelle si frequentano più, e con maggior licenza si fanno, di carnovale, che negli altri tempi; così queste più spesso e più licenziosamente s'adoperano nella poesia, che nell'altre composizioni. Diciamo ancora che siccome una maschera può servire per più persone, ed ognuno si può mascherare in più modi; così medesimamente una metafora può servire per più cose, ed una cosa sola si può significare con diverse metafore. Vi potrei con molti altri paralleli venir riscontrando questa similitudine dell 'una con l'altra, circa gli accidenti loro; ma saria lunga cosa, ed anco impertinente in questo loco, perchè l'intento mio non è di trattar della natura loro se non quanto mi basta a mostrarvi che quelle che voi riprendete, sono mal riprese. Però diremo solamente che siccome non tutti sanno ben mascherare, così nè anco tutti sanno ben trasferire.

CARO, Apologia contra messer Lodovico Castelvetro.

1. Delle definizioni.

Qualor pig liasi a definire una cosa determinata già da un certo nome, o di qualunque altro modo stabilita, bisogna prima proporsi all' animo quella tal cosa, e scorrendola col pensiero, raccogliere tutte le proprietà che possono di lei sapersi. Che se, ciò fatto, vorrà alcuno, a fine di dichiarar la cosa, numerare ad una ad una ed esporre tutte le dette proprietà; non si dirà, per questo, che egli l'abbia definita; dirassi, più presto, che egli l'ha descritta. Ma, se egli fra tutte quelle proprietà sceglierà le più principali e le prime; cioè quelle da cui nascono e derivan le altre; e queste prime sole esporrà; allora dirassi che egli abbia veramente definita la cosa che definir volea. Onde si vede che la definizione non dee comprendere tutte le proprietà della cosa definita; ma solamente le prime. E poichè dalle prime nascon le altre, però, manifestandosi le prime nella definizione, da queste poi si raccolgon le altre, per via di argomentazione: e così dalla definizione si traggono tutte le proprietà che necessariamente alla cosa definita convengono.

Francesco Maria ZANOTTI, Dell'arte poetica, ragionamento I.

II. Bellezza e bruttezza.

Comechè malagevolmente isprimere appunto si possa che cosa bellezza sia, nondimeno acciocchè tu pure abbi qualche contrassegno dell' esser di lei, voglio che sappi che dove ha convenevole misura fra le parti verso di sè, e fra le parti e 'l tutto, quivi è la bellezza; e quella cosa veramente bella si può chiamare, in cui la detta misura si truova.

E, per quello che io altre volte ne intesi da un dotto e scienziato uomo, vuole esser la bellezza uno, quanto si può il più, e la bruttezza per lo contrario è molti. Siccome tu vedi che sono i visi delle belle e delle leggiadre giovani: perciocchè le fattezze di ciascuna di loro pajon create pure per uno stesso viso. Il che nelle brutte non addiviene: perciocchè, avendo elle gli occhi per avventura molto grossi e rilevati, e il naso piccolo, e le guance paffute, e la bocca piatta, e'l mento in fuori, e la pelle bruna, pare che quel viso non sia di una sola donna, ma sia composto di visi di molte, e fatto di pezzi. E trovasene di quelle i membri delle quali sono bellissimi a riguardare ciascuno per sè, ma tutti insieme sono spiacevoli e sozzi, non per altro se non che sono fattezze di più belle donne, e non di questa una, sicchè pare che ella le abbia prese in prestanza da questa e da quell' altra. E per avventura che quel dipintore che ebbe ignude dinanzi a sè le fanciulle calabresi, niuna altra cosa fece, che riconoscere in molte i membri che elle aveano quasi accattato, chi uno e

chi un altro, da una sola; alla quale fatto restituire da ciascuna il suo, lei si pose a ritrarre, immaginando che tale e così unita dovesse essere la bellezza di Venere.

Nè voglio io che tu ti pensi che ciò avvenga de' visi e delle membra o de' corpi solamente; anzi interviene e nel favellare e nell' oprare nè più nè meno. Che se tu vedessi una nobile donna e ornata, posta a lavar suoi stovigli nel rigagnolo della via pubblica; comechè per altro non ti calesse di lei, sì ti dispiacerebbe ella in ciò, che ella non si mostrerebbe pure una, ma più; perciocchè lo esser suo sarebbe di monda e di nobile donna, e l'operare sarebbe di vile e di lorda femmina. Nè perciò ti verrebbe di lei nè odore nè sapore aspro, nè suono nè colore alcuno spiacevole ; nè altramente farebbe noja al tuo appetito ma dispiacerebbeti per sè quello sconcio e sconvenevol modo, e diviso atto. DELLA CASA, Galaleo.

III. La equità o discrezione, considerata in quanto

all' ufficio del giudice.

L'altra spezie è l'equità, o la discrezione che si possa chiamare ; la quale è quella che supplisce ai mancamenti della legge scritta, e dove non è particolare e propria legge. Perciocchè quel che l' equità dêtta, è sembiante di quel che dêtta la giustizia: e dettato dall'equità s' intende quel giusto che non è compreso nella legge scritta. Questi mancamenti sogliono accader nelle leggi, parte contro volontà degli ordinatori d'esse, parte di volontà loro. Contro lor volontà quando non antiveggono ogni cosa; di voJontà loro, quando non possono determinare sopra tutti gli accidenti che sogliono occorrere, ma son forzati a parlare in generale; non servendo questa generalità se non per il più delle volte e così, quando lassano quelle cose che malagevolmente si posson determinare, per esser infinite. Come, circa al ferir col ferro, se si volesse tassare, non solamente la qualità delle ferite, ma la sorte dell' armi, e la quantità e la qualità del ferro. Perchè non basteria la vita dell' uomo a voler specificare ogni minuzia. Essendo adunque la cosa di che la legge ha da parlare, indeterminata; e pur bisognando che le leggi si facciano; è necessario che le lor pronunzie siano semplici, e largamente scritte. Onde quando occorresse che qualcuno, avendo per avventura un dital di ferro, ed alzando la mano, percotesse un altro; secondo il rigor della legge scritta, verrebbe condannato, e giudicato per ingiuriatore; ma, riguardando alla verità, si deve giudicare che non abbia fatto ingiuria alcuna. E questo fa l'equità. Or se l'equità o la discrezione è quella che fa ciò che s' è detto, già si possono chiaramente conoscer le cose che discretamente o indiscretamente si fanno. Officio di discreto uomo è di conoscer che gli errori non siano degni della medesima pena che l' ingiurie; nè le sciaure, della medesima che gli errori. E sciaure si chiamano quelli accidenti che vengono fatti impensatamente, e senza malizia : e gli errori si dicono quelli dove concorre il pensiero, e non la malizia. Ma ingiurie son quelle che si fanno con pensamento, e con malizia: perchè, concorrendovi il desiderio, bisogna che vi si adoperi la malizia. Offizio di discreto ancora è di perdonare alla fragilità degli uomini; ed aver l'occhio, non alla legge, ma al legislatore; non alle sue parole, ma alla sua intenzione; non a quel che

« IndietroContinua »