Immagini della pagina
PDF
ePub

sciti quasi tutti di primavera, e il luglio propriamente un aprile. Ma quest' agosto è una fiamma. Non si dorme la notte; non si riposa il giorno: e della notte bisogna far giorno, come s'usa costì. Ed appunto jeri l' altro il grande scudiere venne a trovarmi qui alla badia di Marmotier, dov'io alloggio, ch' era sul far della notte; ed il duca di Guisa, jermattina, ch'era sul principio quasi del giorno. Passerà questa furia al fine; chè ben sa vostra eccellenza quanto le passioni qua, eziandio degli elementi medesimi, son fuggitive. A bastanza mi son doluto del caldo. Trattiamo ora d'altre materie.

Io mi truovo al presente in Turs, per occasion della corte. E, quanto alle cose pubbliche, tutto qui si riduce al negozio della regina madre. Ma potiamo sperare che pur finalmente lo vedremo presto finito, e con quella perfezione che tutti i buoni hanno desiderato. Di già la regina si risolve di venire a trovare il re dirittamente qua a Turs. Operò molto invero, per la riconciliazione intiera, l' andata del signor prencipe di Piemonte ad Angolemme. Il duca di Mombasone v'è poi stato inviato dal re due volte : ch' ha fatto vedere anche più al vivo la sincera intenzione del signor Luines suo genero alla regina: onde sua maestà in fine s'è risoluto di dar bando a' sospetti, e di venire a trovare il re. Secondo le passioni, tali sono stati i consigli. E anche 'l dì d'oggi non mancano molti che la consigliano a non fidarsi. lo confesso che sono stato di quelli che più hanno procurato di persuadere sua maestà a venire: e per mezzo del nostro buon padre Gioseppe cappuccino, ch' andò, alcuni dì sono, anch' egli ad Angolemme, io le scrissi e feci dir liberamente che non doveva nè temer più nè tardar più, e ch' io aveva grand' occasione d'assicurare la maestà sua, che le cose non potevano esser meglio disposte da questa parte. Ho avuta poi una sua lettera benignissima, ch' aggradisce il mio consiglio, e la libertà da me usata. E veramente non si poteva veder più chiaro di quel ch' ho veduto io nel cuore del re e del signor di Luines. L'attendiamo qua dunque in breve. E si vorrebbe, se fosse possibile, che il suo primo congresso col re seguisse nel giorno di san Luigi, per render tanto più celebre questo giorno, ch' è per sè stesso sì celebre in Francia. Da questa riunione si può sperare senza dubbio un gran bene; siccome dal contrario si poteva temere un gran male; ed ora specialmente, nella congiuntura dell'assemblea ch' hanno a far gli Ugonotti questo mese che viene: a' disegni perversi de' quali niuna cosa poteva star meglio, che la continovazione della discordia nella casa reale. A questo termine son le cose della regina. Memorabile dunque sarà ora Tours per la sua venuta qua in tale occasione, com'è Blois per la sua fuga da quel luogo a' mesi passati.

Nel trasferirmi alla corte, io vidi in Blois la fenestra per dove ella scese di mezza notte e vidi il resto di quel castello, che par riservato agli accidenti più tragici della Francia. Ed in particolare mi feci condurre alle camere dell'appartamento regio, dove fu ammazzato il Duca di Guisa agli stati generali d'Enrico terzo. Di qua entrò, mi dicevano: qui ebbe il primo colpo: qui sfodrò mezza la spada: qui lo finirono: e qua in disparte stava nascosto il re stesso a vederlo morire. Più grande fu anche l'orrore che mi cagionò il luogo dove, il dì appresso, fu crudelmen! Cioè possiamo.

te ammazzato a colpo d'alabarde il cardinal suo fratello. Vidi la camera dove fu imprigionato al medesimo tempo il cardinal di Borbone; e vidi quella finalmente dove poi, otto giorni appresso, morì di dolore la regina Caterina, accorata da successi così funesti, e dalle conseguenze anche più funeste, ch'ella ne predisse al morire: e considerai con grand'attenzione quelle animate muraglie, che spirano al vivo le miserie delle corone in mezzo alle apparenti loro adorate felicità. Ma torniamo a Turs, e a questo delizioso paese.

Questa veramente si potrebbe chiamar l'Arcadia di Francia; se non che vi manca un Sanazzaro francese che la descriva. Qui però, se non si chiama questo paese l'Arcadia, vien nominato almeno il giardino del regno. E con molla ragione invero: sì placidamente vi corre in mezzo questa bellissima Loira; sì amene son le sue sponde; e sì ricche le campagne qua intorno, di frutti, e d'ogni vista più dilettevole. Ma che pare a vostra eccellenza del sito di Turs; con questo borgo all' incontro, dov'è situato questo celebre monasterio di Marmotier? che le pare di quelle isolette, che fanno un ponte della natura, congiunto a quello dell'arte, per dove si passa il fiume, e s'entra nella città? e che le pare di tanti arbori che sorgono fra le case dalla parte della città, nel borgo, e nelle isolette; ch'ora uniscono ed ora variano, con tanto gusto, da tutti i lati sì vaghe scene? Molto meglio di me furono osservate forse da vostra eccellenza queste cose medesime, quand'ella fu a Turs: ma ho voluto anch'io rinovargliene la memoria, e con la memoria il piacere. E tanto basti delle cose di qua.

In Germania, i progressi del conte di Bucoy, dopo l'arrivo delle genti di Fiandra, si fanno ogni di maggiori: ed in Francfort gli elettori hanno riconosciuto di già il re Ferdinando per re di Boemia; ch'è per lui una gran caparra della sua elezione all'imperio. Di qua non si può proceder meglio nelle cose di quelle parti, per servizio della religione, e per vantaggio di Ferdinando.

Finirò questa lettera con accusare a vostra eccellenza la sua delli ventisette del passato; e con rallegrarmi quanto più vivamente posso con lei, che sia stato promosso al cardinalato il serenissimo infante don Ferdinando, terzogenito di sua maestà cattolica. Successo invero che non poteva essere nè di più grand'ornamento al sacro collegio, nè di maggior riputazione alla Chiesa tutta. E bacio a vostra eccellenza con riverente affetto le mani. Di Turs, li 20 d'agosto 1619.

XX. Antonmaria Salvini ad Antonio Montauti.

Intendeste nella mia passata come io sono compiacente e condescendente verso gli amici innamorati. Ora voglio che sappiate come io sono in conversazione. lo stimo tutti gli uomini come fratelli e paesani: fratelli, come descendenti dal medesimo padre, che è Iddio; paesani, come tutti di questa gran città che mondo si chiama. Non mi rinchiudo nè mi ristringo, come i più fanno, che non degnano se non un certo genere di persone (come gentiluomini e letterati ), e gli altri stimano loro non appartenere; e gli artigiani e i contadini e la plebe, non solamente non degnano, ma talora anche strapazzano: come se non fussero uomini anch'essi, e

battezzati; ma Indiani, o bestie, o gente d'un'altra razza, che non avesse che fare colla nostra. Ho odiato sempre l'affettazione di parere in tutti i gesti, nel portamento, nelle maniere, nel tuono della voce contraffatto, un virtuoso, o un signore d'importanza; sfuggendo più che la morte ogni atto di superiorità, e facendomi così degnevole, umano, comune e popolaIl cappello non risparmio; e sono quasi sempre il primo a salutare. E, per dirvi tutto il mio interno, non saluto mica per semplice cirimonia; ma per una stima universale che io nutrisco nel cuore verso tutti, sieno che si pare, e abbiano nome come vogliono. Perchè finalmente ognuno, per sciatto e spropositato che sia, fa la sua figura nel mondo, ed è buono a qualcosa ': si può aver bisogno di tutti; e però tutti vanno stimati.

re.

Questa stima degli altri fa che io non sono invidioso, ma ho caro il bene di tutti, e lo tengo come se fosse mio proprio: godendo che ci sia degli uomini che sappiano, e che la patria e il mondo ne riceva onore. Sicchè, non solamente, coll'ajuto di Dio, mi trovo mancare di quei tormenti cotidiani che apporta questo brutto vizio dell'invidia, che si attrista del bene degli altri; ma di più vengo ad avere diletto e piacere quando veggo la gente, e particolarmente gli amici, essere avanzati, e crescere in guadagni o in riputazione. E questo modo non si può dire quanto mi mantenga lieto, e mi faccia star sano.

Seguito i miei studii allegramente: ne'quali ancora conservo il mio genio universale perchè tutto m'attaglia, e da ogni libro mi pare di cavar costrutto; e ordinariamente stimo gli autori e non gli disprezzo; come veggo fare a molti, senza nè anche avergli letti, e che, per parere di giudizio sopraffino appresso al volgo, sfatano e sviliscono tutto, e pronti sono e apparecchiati piuttosto a biasimare che a lodare. Dilettomi per tanto in varie lingue, oltre alla latina e la greca; piacendomi il grave della spagnuola, e il delicato della francese. Or che pensate? ultimamente mi sono addato all'inglese: e mi diletta e mi giova assaissimo. E gl' Inglesi, essendo nazione pensativa, inventiva, bizzarra, libera e franca; io ci trovo nei loro libri di grande vivacità e spirito: e la greca e l'altre lingue molto mi conferiscono a tenere a mente i loro vocaboli, per via d'etimologie e di similitudini di suoni. Per finire; converso co'libri come colle persone; non isdegnando nessuno, facendo buon viso a tutti; ma poi tenendo alcuni pochi buoni, e scelti, più cari. Di casa 18 novembre 1713.

[blocks in formation]

DISCORSI DIMOSTRATIVI

I. L'esilio non esser da avere a grave.

Vogliono ragionevolmente gli antichi filosofi, il mondo generalmente a chiunque ci nasce, essere una città. Perchè ' in qualunque parte di quello si truova il discreto, nella sua città si truova: nè altra variazione è dal partirsi o essere cacciato d'una terra, e andare a stare in un'altra, se non quella che è in quelle medesime città che noi, da sciocca opinione tratti, nostre diciamo, di una casa partirsi, e andare a stare in un'altra. E come i popoli hanno nelle loro particolari città, a bene essere di quelle, singulari leggi date; così la natura e tutto il mondo l'ha date universali. In qualunque parte noi andremo, troveremo l'anno distinto in quattro parti; il sole la mattina levarsi, e occultarsi le sera; la stelle egualmente lucere in ogni luogo; e in quella maniera gli uomini e gli altri animali generarsi e nascere in levante, come nel ponente si generano e nascono: nè è alcuna parte ove il fuoco sia freddo, e l'acqua di secca complessione; o l'aere grave, e la terra leggiere. E quelle medesime forze hanno in India l'arti e gl'ingegni, che in Ispagna; e in quel medesimo pregio sono i laudevoli costumi in austro, che in aquilone. Adunque, poichè in ogni parte, dove che noi ci siamo, con eguali leggi siamo dalla natura trattati; e in ogni parte il cielo, il sole e le stelle possiamo vedere; e il beneficio della varietà de'tempi e degli elementi usare, e adoperare le arti e gl'ingegni come nelle case dove nascemmo, possiamo; che varietà porremo noi tra quelle, e quelle dove ci permutiamo? Certo niuna. Adunque, non giustamente esilio, ma permutazione chiamar dobbiamo quella che, o costretti o volontarii, d'una terra in un'altra facciamo; nè fuori della città nella quale nascemmo, riputar ci dobbiamo in alcun modo, se non quando per morte, questa lasciata, alla eterna n'andiamo. Se forse si dicesse, altre usanze essere ne'luoghi dove l'uomo si permuta, che nelli lasciati; queste non si deono tra le gravezze annoverare: conciossiacosachè le novità sieno sempre a'mortali piaciute. E inconveniente cosa sarebbe a concedere che più di valore avesse ne'piccioli fanciulli l'usanza, che 'l senno negli attempati. Possono i piccioli fanciulli, tolti d'uno luogo e trasportati in un altro, quello per l'usanza far suo, e mettere il naturale in obblio: il che maggiormente l'uomo dee saper fare col senno, in tanto quanto il senno dee avere più di vigore ed ha, che non ha l'usanza, quantunque ella sia seconda natura chiamata. Questo mostrarono già molti, e tutto dì il dimostrano. Chi potrebbe dire, quanti già a diletto lasciarono le proprie sedie, e allogaronsi nell'altrui? E se questo può fare il senno per sè medesimo, quanto maggiormente il dee fare dalla opportunità ajuCioè per la qual cosa.

tato o sospinto? perchè ' estimo 2, poichè così piace alla fortuna, che voi a voi medesimo facciate credere non costretto ma volontario l'esservi d'un luogo permutato in un altro, e che quest'altro sia il vostro, e quello, che lasciato avete, fosse l'altrui. Questo v'agevolerà la noja, dove l'altro la graverebbe.

Diranno alcuni che, perchè 4 in ogni luogo della terra si levi il sole, non in ogni parte i cari amici, i parenti, i vicini, co'quali rallegrarsi nelle prosperità, e nelle avversità condolersi gli uomini sogliono, trovarsi. Dico che degli amici è difficil cosa, e degli altri è fanciullesca cosa curarsi. Ma, perciocchè molte sono più rade l'amistà, che molti non credono, non è d'avere discaro, avere almeno in tutta la vita dell'uomo uno accidente per lo quale i veri da'fittizii si conoscano. Come il paragone l'oro, così l'avversità dimostra chi è amico. Havvi adunque la fortuna in parte posto, che discernere potete quello che ancora non poteste giammai vedere; chi è amico di voi, e chi era del vostro stato. Il perchè 6 vi dee essere molto più caro che discaro l'essere da loro separato: considerando che, se alcuno trovate al presente, che vostro amico sia, sapete nel cui seno i vostri consigli e la vostra anima fidare possiate; e, dove non ne trovaste, potete discernere in quanto pericolo per lo passato vivuto siate, in coloro voi medesimo rimettendo, che quello che non erano dimostravano. E se forse diceste: io ne trovai alcuno, e da quello mi duole l'essere diviso, dico, questa non essere giusta cagione di dolersi. Imperciocchè il frutto e il bene della verace amistade non dimora nella corporale congiunzione, anzi nell'anima, nella quale l'arbitrio fu di prendere o di lasciare l'amistà. E quantunque il corpo sia dall'amico lontano, o sostenuto, o imprigionato, a costei è sempre lecito di stare e d'andare dove le piace. Questa dinanzi da sè, di qualunque parte del mondo, può convenire chi le aggrada. Chi dunque s'interporrà, o che voi coll'anima non possiate a'vostri amici andare, e stare con loro, e ragionare e rallegrarsi e dolersi; o fargli dinanzi da voi menare alla vostra mente, e quivi dire ed udire, domandare e rispondere, consigliare o prendere consiglio ? Le quali cose senza dubbio vi fiano tanto più graziose 9 in questa forma, che se presenti col corpo fossono 1. Tanto essi udiranno, quanto a voi piacerà di parlare, senza interrompere le parole giammai. Essi quelle ragioni che voi approverete, approveranno; e quello risponderanno che voi vorrete. Niuno cruccio; niuna odiosa parola potrà essere tra voi e loro: tutti presti, tutti pronti ad ogni vostro piacere verranno; nè più staranno che a voi aggradi. O bella e dilettevole compagnia, e molto più che la corporea da volere"! e massimamente pensando che come voi con loro, così essi con voi continuamente dimorranno 12, e dolendosi de' vostri casi, con ragioni più utili che forse le mie non sono, vi conforteranno ; ed oltre a ciò, quello assenti adoperranno 3, che per avventura voi presente non potreste adoperare.

10

Per la qual cosa. Laonde. 2 Cioè stimo bene, vi consiglio.

6 Per la qual cosa.

7 Ma.

4

3 Il contrario. Il pensiero contrario. Quantunque. 5 Molto. 8 O che non possiate farli menar dalla vostra mente dinanzi a voi. 9 Molto più grate. 10 Fossero. "E molto più desiderabile che la corporea.- 11 Dimoreranno. 13 Adopreranno. Cioè opereranno.

« IndietroContinua »