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2 puntos de qui sommo, e privi affatto del, as fine giudizio e gusto onde e' fu 11, sala, siamoci sforzati, seguendo le agere alla gioventù e agli studiosi « cuteratura uu saggio delle opere di quegli

dena dell'ultima età, i quali oggi non ta. Ye abbiam creduto che fosse un discostaraudimenti del chiarissimo compilatore l'auresi aggiunto qualche luogo de' più antichi noScitori del secolo decimoterzo e decimoquarto, da' 494 o nuila o assai poco egli attinse, sol perchè, quan ta alle materie sono divenuti di poco o di nessun conto. La sentenza noi teniamo essere troppo dura, se non arrischiata: come avremo più particolarmente ad osservare innanzi alla parte seconda del presente libro. Di ciò che per noi si è adoperato in questo lavoro ne sieno giudici gl' intendenti e pratichi delle nostre lettere, i cui consigli ed ammonimenti noi non pure accettiamo, ma chiedia. mo eziandio, promettendone gratitudine e riconoscenza. E perchè meglio ciò possa effettuarsi, e non si confonda il nostro col lavoro di Giacomo Leopardi, avvertiamo che i luoghi degli autori per noi trascelti trovansi controsegnati con le cifre de'numeri arabi, a differenza degli altri notati con le cifre de' numeri romani. Conchiudiamo queste brevi nostre parole raccomandando a' maestri di dovere, oggi più che mai, esser cauti e diligenti nel trascegliere i libri da dare in mano alla gioventù loro af fidata. Dappoichè, se abbiamo noi la ventura di vedere adempiuto il voto de'nostri padri, e nostro insieme, che la commune patria sia ritornata a dignità e forza di grande e libera nazione, noi ce ne mostreremmo al tutto indegni, disprezzando, o non curando quanto si conviene, quegli studii, per i quali solamente ella un tempo diè segno di non essere del tutto spenta, e che in gran parte contribuirono al suo riscatto ed al suo risorgimento. B. FABRICATORE.

AI LETTORI

Della utilità dei libri di questo genere si è ragionato in Francia ed in altre parti più e più volte, tanto che il farne altre parole sarebbe soverchio. Già in tutte le lingue culte abbiamo di così fatti libri: ne abbiamo anche nella italiana un buon numero. Ma tutte le antologie italiane(o qualunque altro titolo) sono lontanissime da quello che io mi ho proposto che debba essere questo libro: il quale, con nome più proprio ed usato dai Greci antichi in opere simili, intitolo CRESTOMAZIA.

Perocchè, primieramente, io ho voluto che questo libro servisse si ai giovani italiani studiosi dell'arte dello scrivere, e sì agli stranieri che vogliono esercitarsi nella lingua nostra. E in ajuto di questi principalmente, quando io ho trovato, nelle parole che reco degli autori, qualche difficoltà nella quale ho giudicato non poter valere o non essere sufficienti i vocabolarii, ho posto appiè delle pagine certe noterelle, che dichiarano brevissimamente quelle tali voci o locuzioni difficili. Le quali noterelle, atteso la intenzione mia nel porle, mi saranno perdonate facilmente da quegl'italiani ai quali, altrimenti, sarebbero potute parere inutili.

Secondariamente, ho voluto che questo riuscisse come un saggio e uno specchio della letteratura italiana. Perciò sono andato scorrendo per tutti i secoli di quella; ed eccettuati solo que'moderni che sono stimati scorretti nella lingua, e quelli che ancora vivono, ho tolto da scrittori di ogni qualità, e da libri di ogni materia: tenendomi tuttavia per lo più, come dico nel titolo, agli autori eccellenti. E, acciocchè tutti quelli che leggeranno, possano sapere il tempo di ciascuno autore che si vedrà nominato in questa Crestomazia (essendo, massimamente, che la importanza di molti di questi passi dipende per non piccola parte dal tempo in cui furono scritti), ho aggiunto in fine del volume una tavola degli autori, nella quale si mostra la età di ciascuno.

LEOPARDI, Crestomazia. I.

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In terzo luogo, il proposito mio è stato che questa Crestomazia, non solo giovasse, ma dilettasse; e che dilettasse e giovasse, non solo ai giovani, ma anche agli uomini fatti; e non solo agli studiosi dell'arte dello scrivere o della lingua, ma ad ogni sorte di lettori. Il quale intento non si poteva ottenere se non con una condizione : che nei passi, che si scegliessero, la bellezza del dire non fosse scompagnata dalla importanza dei pensieri e delle cose. E questa condizione non fu difficile a quei Francesi che presero a far libri di questo genere; non fu difficile agl' Inglesi e agli altri la cui letteratura, nata o fiorita di fresco, abbonda di materie che ancora importano. Ma la letteratura italiana, nata e fiorita già è gran tempo, consiste principalmente in libri tali, che quanto allo stile, alla maniera e alla lingua, sono tenuti ed usati dai moderni per esemplari; quanto alle materie, sono divenuti di poco o di nessun conto. Quello che, in dispetto di questa grandissima difficoltà, mi sia venuto fatto per conseguimento del proposito mio, si giudichi da quelli che leggeranno. E, per conchiudere, io ho voluto che questo libro dovesse potere esser letto da chicchessia con profitto e piacere, dall' un capo all' altro, e che il medesimo fosse di . tal qualità, che eziandio trasportato in un' altra lingua, non avesse a perdere ogni suo pregio, e dovesse poter essere un libro buono. Le quali cose è manifesto non aver luogo in alcuna delle Antologie italiane divulgate finora.

Mi restano da aggiungere tre brevi avvertenze. La prima, che io medesimo ho letto tutta intera, o per lo meno scorso accuratamente, ciascuna delle opere che sono citate in questa Crestomazia. L'altra, che dagli scritti di Daniele Bartoli, dai quali si sarebbe potuto trarre un gran numero di passi bellissimi, in tanto io non ho tolto che un luogo solo, in quanto, vedendosi moltiplicare ogni giorno le raccolte di descrizioni e di narrazioni di quell'autore, ed ogni sorte di spogli delle sue opere, io non ho voluto fare il già fatto. La terza, che, se questa Crestomazia de' prosatori sarà bene accettata dal pubblico, forse si farà cogli stessi ordini, e nella stessa forma, una Crestomazia de' poeti, da essere contenuta in un volume della stessa mole.

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1. Origine de Guelfi e de' Ghibellini.

Dopo molti antichi mali ricevuti per le discordie de' suoi cittadini, una ne fu generata nella detta città, la quale divise tutti i suoi cittadini in tal modo, che le due parti nimiche s' appellarono per due nuovi nomi, cioè Guelfi e Ghibellini. E di ciò fu cagione in Firenze, che un nobile giovane cittadino, chiamato Buondelmonte de' Buondelmonti, avea promesso tôrre per sua donna una figliuola di messer Oderigo Giantrufetti. Passando di poi un giorno da casa i Donati, una gentil donna, chiamata madonna Aldruda, donna di messer Forteguerra Donati, che avea due figliuole molto belle, stando a' balconi del suo palagio, lo vide passare, e chiamollo, e mostrógli una delle dette figliuole, e dissegli: Chi hai tu tolta per moglie? io ti serbava questa. La quale guardando', molto gli piacque, e rispose: Non posso altro oramai. A cui madonna Aldruda disse: Si, puoi: che la pena pagherò io per te. A cui Buondelmonte rispose: E io la voglio; e tolsela per moglie, lasciando quella che avea tolto e giurata. Onde messer Oderigo dolendosene co' parenti e amici suoi, deliberarono di vendicarsi, e di batterlo e fargli vergogna. Il che sentendo gli Uberti, nobilissima famiglia e potente, e i suoi parenti, dissero che voleano fosse morto: chè così fia grande l'odio della morte come delle ferite. Cosa fatta capo ha. E ordinarono ucciderlo il dì che menasse la donna: e così fecero. Onde di tal morte i cittadini se ne divisero; e trassersi insieme i parentadi e le amistà d' ambedue le parti: per modo che la detta divisione mai non finì. Onde nacquero molti scandali e omicidii e battaglie cittadinesche. DINO COMPAGNI, Cronaca.

2. Del Veglio della Montagna; e come fece il Paradiso e gli

Assassini.

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Milice è una contrada dove il Veglio della Montagna soleva dimorare anticamente. Or vi conteremo l'affare, secondo che messer Marco intese da più uomini. Lo Veglio è chiamato in lor lingua Aloodin. Egli avea fatto fare fra due montagne in una valle lo più bello giardino e 'l più grande del mondo.Quivi avea 2 tutti frutti 3, e li più belli palagi del mondo, tutti dipinti ad oro e a bestie e a uccelli: quivi era condotti; per tale veniva acqua,e per tale mele, e per tale vino. Quivi era donzelli e donzelle gli più belli del mondo e che meglio sapevano cantare e sonare e ballare: e face1 Cioè quegli. 2 Erano. 3 Cioè tutti i frutti.

va lo Veglio credere a costoro che quello era lo paradiso. E gli Saracini di quella contrada credevano veramente che quello fosse lo paradiso; e in questo giardino non entrava se non colui, cui egli voleva fare assassino. All'entrata del giardino avea un castello sì forte, che non temeva niuno uomo del mondo. Lo Veglio teneva in sua corte tutti giovani di dodici anni, li quali gli paressono da diventare prodi uomini. Quando lo Veglio ne faceva mettere nel giardino, a quattro, a dieci, a venti, egli faceva loro dare bere oppio; e quegli dormivano bene tre dì; e facevagli portare nel giardino, e al tempo gli faceva ispogliare. Quando gli giovani si svegliavano, e egli si trovavano là entro,e vedevano tutte queste cose, veramente si credevano essere in paradiso. E queste donzelle sempre istavano con loro in canti e in grandi sollazzi: donde egli aveano si quello che volevano, che mai per loro volere non si sarebbono partiti di quello giardino. Il Veglio tiene bella corte e ricca, e fa credere a quegli di quella montagna che così sia, com' io vho detto; e quando egli ne vuole mandare niuno di quelli giovani in niuno luogo, fa loro dare beveraggio che dormano, e fagli recare fuori del giardino in sul suo palagio. Quando coloro si svegliano, trovansi quivi, molto si maravigliano, e sono molto tristi che si trovano fuori del paradiso. Egli se ne vanno incontanente dinanzi al Veglio, credendo che sia un gran profeta, e inginocchiansi. Egli li domanda: Onde venite? Rispondono: Dal paradiso. E contangli quello che v' hanno veduto entro; e hanno gran voglia di tornarvi. E quando il Veglio vuole fare uccidere alcuna persona, egli fa torre quello lo quale sia più vigoroso, e fagli uccidere quello cui egli vuole; e coloro lo fanno volentieri per ritornare nel paradiso. Se scampano, ritornano al loro signore; se è preso, vuole morire, credendo ritornare al paradiso. E quando lo Veglio vuole fare uccidere niuno uomo, egli lo prende e dice: Va', fa' tal cosa; e questo ti fo, perchè ti voglio fare ritornare al paradiso. E gli assassini vanno e fannolo molto volentieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio della Montagna, a cui egli lo vuole fare; e sì vi dico, che più re gli fanno tributo per quella paura. Egli è vero che negli auni 1277 Alau, signore dei Tartari del Levaate, che sapeva tutte queste malvagità, pensò tra sè medesimo di volerlo distruggere ; e mandò de' suoi baroni a questo giardino, e isteltonyi tre anni attorno al castello prima che l'avessono; nè mai non lo avrebbono avuto, se non per fame. Allora per fame fu preso, e fu morto lo Veglio e sua gente tutta ; e d'allora in qua non vi fu più Veglio niuno. MARCO POLO.

3 Di Eulogio, che prese a servire un lebbroso molto orribile;
e d'una visione di sant' Antonio.

Un buon uoino d'Alessandria, lo quale avea nome Eulogio, ed era molto savio di Scrittura, acceso di desiderio della vita immortale, dispregiò questa vita mortale e misera, e ritenne alcuna pecunia per avere onde vivere; perocchè non sapeva lavorare, nè fare altro, onde vivesse. E dopo alcun tempo, considerando egli ch'e' non era sì perfetto, che fosse per lui istare solitario; nè anche era acconcio a stare a obbedienza, sì per la lunga usanza di stare in sua libertà, e sì perchè era già antico, e 1 Dare a bere. 2 Eglino. 3 Dotto nelle cose della Scrittura.

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