Immagini della pagina
PDF
ePub

nave al figliuolo, che, in minor corso di un anno,

merse.

laidamente la som

Dietro al segretario ne venne il conte di Sarno, con un ufficiuolo in mano, ed una collanella al collo: e, giunto sopra il medesimo palco, voltosi a quelli che lo confortavano, disse loro ch' egli con pazienza sofferirebbe la morte, se fusse loro a grado, prima che morisse, di fargli vedere i figliuoli. Era stato detto al conte che il re celatamente gli aveva fatti morire. E benchè l'età e l' innocenza de'giovani ne lo dissuadesse, pure, per volere quella ultima ora trapassare con contento, disiava vederli; come che, essendo vivi, egli anche, in essi, si perpetuasse: unica consolazione de'padri che muojono. La qual cosa a coloro riferita nel cui potere si ritrovavano; forse più per afflizione che carità del conte, furono contenti se gli menassino : i quali, tremando, e piagnendo, n' andarono a far riverenza al padre. Come prima il conte gli ebbe veduti, vinto dal paterno affetto, a fatica si potè reggere in piedi, e verso loro distendere le braccia e nel vero a' riguardanti fu spettacolo oltre ogni usato miserabile, vedere il padre co' figliuoli abbracciato, e l' un fratello con l'altro, essendo tanti mesi stati in disparte prigioni, e ciascheduno temendo all'ora di dover morire. Di che avvedutosi il conte, e calendogli più il timore de' figliuoli che la propria morte, come potè raccôrre lo spirito e formar le parole, così lor ragionò :

Figliuoli, non senza cagione, prima che ponga il capo sotto a questo erro, vi ho fatti chiamare: parendomi ragionevele che, avendovi dato l'essere, per quanto il tempo sostiene, vi insegni anche il modo di conservarlo. Nè mi biasimi alcuno che, s'io fossi vivuto bene, ora non morrei sì male; perchè non sono il primo io che, saviamente operando, abbia sortito cattivo fine: essendo la fortuna in maggior parte arbitra e padrona delle umane azioni. La quale, apparecchiandosi di dare a questo regno ed alla casa reale, per li peccati di amendue, una scossa gravissima, ne toglie di mezzo me, che mi preparava a contrastare a' suoi disegni, e che voleva con la prudenza umana far riparo agli ordini de' Cieli. Ma ne rendo grazie a Dio; posciachè vecchio, e con fragil legno, dovea solcare questa imminente tempesta; duolmi di voi, figliuoli, che vi troverete assai giovani, poco pratichi, e, quel ch' è peggio, ricordevoli della vostra buona fortuna. Pure, se a mio senno farete, in nulla vi offenderà: e lo dovrete fare; non essendo solo ufficio di buon figliuolo piagnere la morte del padre, ma ricordarsi del suo volere, ed eseguirlo. Credo, da altri e da me più fiate abbiate udito come non nacqui abbondante di ricchezze, nè in signorile stato; ma, per venire a maggior fortuna, mi posi agli esercizii del mare; e ci divenni d'assai, e talmente ripulato, che fui chiamato dal re, ed in luogo ragguardevole collocato. Che se da per me andava dietro al cominciato lavoro, per avventura sarei giunto allo stesso grado onde son caduto: ma, vinto dall' ambizione, lo volli anzi con pericolo presto, che tardi con sicurtà: di maniera che nell' altrui opinione, ciò che ho avanzato, è stato del re, e quello che ho perduto, mio. Dicolo affinchè conosciate di non essere in peggior grado di quel ch' ero io; e che apprendiate, quelle sole ricchezze esser sicure e durabili, che col proprio ingegno e valore altri si acquista. Chè, sebbene il re, per amore,

1 Cioè menassero.

LEOPARDI, Crestomazia. I.

2

per compassione, o per vostro merito, vi riconducesse nel grado primiero; fia sempre suo, e non vostro; anzi sottoposto a' medesimi pericoli ch'è soggiaciuto il mio. Fate, adunque, figliuoli, di dipendere dalla virtù sola: e gioveravvi assai più il poco, avuto da lei, che il molto, dall'altrui liberalità. Ella non è per mancar mai a’suoi seguaci del necessario e dell'utile: per essere del bene operare larghissima rimuneratrice. Il prender gli onori, i favori e l'autorità quando altri ve li porge, sarà meno invidioso, che il volergli da per voi procacciare. Nè abbiate a schifo che ieri dovevate esser parenti di un re, e dimane sarete de' vostri pari: perciocchè fia con più vostra lode e conlentezza; dovendo coloro onorarsi con voi, come voi con lui vi sareste onorati. Questa avversità dell' irata fortuna, fate v' abbia ad essere sprone alla fortezza ed al bene, e non alla disperazione ed al male; e che v'instighi a guadagnare giustamente quant'ora iniquamente vi toglie.Siate sempre, nelle felici e nelle avverse cose, uniti; più con timor di Dio che degli uomini: ne' quali quando si fonda tutta la speranza, accade altrui quel che a me vedete esser avvenuto. Di che acciocchè abbiate memoria, prendi tu, Marco, questa collana, in vece di quello stato che dopo la mia morte ti si perveniva; e tu, Filippo, che alle grandi prelature eri destinato, togli quest'ufficiuolo: pochi presenti alla indole vostra ed alle fatiche mie; ma convenevoli a chi ha il carnefice al lato e la mannaja sul collo, e molto più alle pessime condizioni in cui rimanete. Perciocchè, non vi disponendo a strignervi insieme con catena di amore, e con l'orazioni e buone opere farvi amici di Dio; nè tu lo stato ricupererai mai, nè tu altro, nella sua chiesa, onesto luogo conseguirai. >>

Furono le parole del conte con tanta pietà ne' cuori degli ascoltanti ricevute, che non vi fu persona che del suo grave infortunio altamente non si sentisse commuovere. Il quale, ribaciato che ebbe li figliuoli, e benedetti; come se fosse libero da tutti li debiti di questo mondo, fattosi intrepidamente troncare il collo, all'altro ne passò.

Questo infelice fine ebbe Francesco Coppola, conte di Sarno: barone certamente di non poca prudenza, di alto cuore e di elevato ingegno; avventuroso ne'traffichi, e nell'arte marinaresca espertissimo: le quali buone parti non furono da altro che dalla sua alterezza alquanto macchiate o guaste. Quella sola dannabil qualità, stimolata da giusto sospetto, lo fe prima partire dal suo signore; quella poi, irritata da nobile sdegno, da' congiurati lo disgiunse; quella finalmente, accecata dal parentado reale, lo potè trarre negli agguati di Ferdinando, e ne' suoi lacci farlo incapIl medesimo, ivi.

pare.

IV. Congiura contro i favoriti di Oddantonio, duca di Urbino; e morte di essi e del duca.

Querelatasi dunque colei dell'oltraggio col marito, ed egli co'parenti, fecesene fra loro grandissima doglianza. Il che venuto a notizia di Serafino, andò a trovargli; ed aggravando a più potere l'enormità di quello eccesso, dopo essersene condoluto con esso loro, esortógli alla vendetta, e si offerì pronto, quando si risolvessero, e volessero essere uomini, di ajutarli. Consentirono essi facilmente; e comunicato il fatto con alcu

ne altre persone offese, ed aderenti, conspirarono contro que'due al numero di dodici: al qual trattato diede comodità grande l'assenza del duca, il quale su que' giorni medesimi s' era condotto a Ferrara per visitar Isabella da Este, promessagli per moglie.

Dopo il suo ritorno, Serafino, ponendo in considerazione il pericolo della lunghezza, sollecitava a più potere i congiurati (alcuni de'quali pareva che fra la speranza ed il timore vacillassero) a venire speditamente ed animosamente all'effetto. Una domenica, dunque, precedente quell'anno al giorno dedicato a santa Maria Maddalena, si raccolsero ad uno ad uno, per non essere osservati, ben provveduti d' arme, in una casa vecchia e solitaria, posta ove si vede oggi fabbricato l'alloggiamento de' Peruli. Fra tanto, intorno alla mezza notte, uno de'congiurati, mosso non so se più dal desiderio della salute del principe, o dal timore, scoprendosi il trattato, del danno proprio, spiccandosi occultamente dagli altri, se n'andò alla corte, e picchiando alle porte, disse avere particolari importantissimi da notificare al duca. Ma i portinari, a'quali, come si pare, la determinazione fatta in cielo aveva levato l'ingegno, riprendendo colui d' importunità, e dicendogli che ritornasse ad ora più comoda, lo licenziarono.

[ocr errors]

Già era levato da poco il sole, ed aperte le porte principali del palazzo; e quelle senza alcuna guardia; perciocchè tale era l'uso, per la consueta bontà de' principi, che di nulla gli dava occasione di sospettare. I congiurati, ristretti in un drappello, se n'andarono con gran prestezza e silenzio, per la più breve, inverso la corte: ove giunti, precedendo Serafino, ed esortando gli altri, con basse, ma gagliarde parole, a levarsi le macchie della vergogna col sangue degl'ingiuriosi, furono alle camere del duca: per le quali, volendosi andare alle stanze di quegli altri, era necessario di passare. Trovati gli usci chiusi; perciocchè tutti su quell'ora erano in letto; gittandogli in terra con alcuni grossi legni, de' quali s'erano provveduti per que l'uso, furiosamente si spinsero dentro.

Il duca ed alcuni pochi della camera, svegliati allo strepito, tra 'l sonno, la meraviglia ed il timore, uscirono per vedere ciò che si fosse quel rumore: e si dice che il duca medesimo ne richiedesse Serafino, e lo pregasse ad aver cura della sua salute; e ch'egli con volto composto fra la riverenza, la compassione e lo sdegno, rispondesse: Dio mi guardi dall'imbrattarmi le mani nel sangue de' signori. lo non cerco voi, ma quel traditore di Manfredi. Guardatevi pure da costoro (accennando la turba de' congiurati) che mi seguono. E, ciò detto. se n'andasse con alcuni pochi verso l'appartamento di colui. Siasi come se voglia, certo è che il duca, ripieno di timore, per sottrarsi alla furia di coloro (perciocchè non si fidò, con le parcle, e con l'autorità della presenza, di potergli placare), si ritirò dietro al letto: ma, scoperto, nel sopraggiungere della moltitudine, da un villano, di cui, per la sua viltà e per la bruttezza del fatto,a noi non è giunto il nome (alcuni vogliono che fosse dal castello di Pietralata, altri dalla villa di Salsula, o di San Martino); fu con una ronca (detestando gli altri, che ciò viddero, e riconobbero il principe, la gravità del delitto) miseramente ucciso. Nel qual tempo Serafino, giunto alle stanze di Manfredi, e giltate le porte per terra, entrovvi furiosamente. Ma questi, desto allo strepito, come era giovane, e di corpo e d'animo feroce e robusto; presa una spa

da, si venne, per quanto si dice, difendendo; finchè, percosso il capo da un colpo d'alabarda, cadde in terra: e Serafino, serratoglisi addosso, insultandolo con gravi ed ingiuriose parole, il mostrò a'compagni; che, insanguinati anch'essi, per isfogare lo sdegno, fecero poi del suo corpo erudelissimo strazio. Tommaso nel medesimo tempo, risvegliato anch'esso al rumore, conscio a sè medesimo delle sue iniquità, e perciò dubbioso della propria salute, prima che sopraggiungesse co' suoi seguaci il Ric ciarelli, si nascose vilmente, per quanto si dice, sotto un letto; onde tratto a forza, fu a colpi d'aste e di spade ucciso, e, tra'rimproveri delle sue scelleratezze, crudelmente trattato.

Non fu, dunque, come appare dalle cose narrate, questa congiura diretta contro la persona del principe; ma contro coloro che, facendosi mezzo de' suoi favori, ed abusando l'autorità concessa loro da lui, senza niun rispetto le loro sfrenate voglie adempivano. Ed è falsissimo quello, che scrivono alcuni, dell' oltraggio fatto al suo cadavere: avendo essi, o per malignità, o per falsa informazione, attribuito a lui quello che fu eseguito in quegli altri; contro a'quali esercitò pienamente, come dicevamo, le sue forze, la crudeltà rusticana e la rabbia popolare. Anzi fu egli pianto da'buoni cittadini, obbligati non meno a lui che alla memoria del padre e degli avi. È sepolto nella chiesa di san Donato, fuori della città; e vedesi la pietra (conforme all' infelicità sua), dall' arme in fuori, semplice, e senza epitaffio nè ornamento alcuno.

Ma non ci pare degno d'essere taciuto, parlandosi della morte di questo principe, quello che lasciò scritto il Dati nelle sue lettere: cioè che la sera precedente al caso, dopo avere udita da lui, secondo il solito, una lezione degli Ufficii di Cicerone, entrò per sè stesso a ragionare della morte, e di coloro che fra gli antichi l'avevano fortemente sostenuta; presago quasi, come notò quell' uomo da bene, dell' infortunio che già gli era imminente e vicino.

Sollevato frattanto il rumore per tutta la città, ed omesso ogni altro affare, d'altro fra le case e per le piazze, a pieni circoli, non si ragionava, che dell'orribilità di quel fatto: lodandolo i più feroci, ed in qualche modo ingiuriati; e, dall'altra parte, quanto all'uccisione del principe, riprendendolo i più prudenti e migliori. Non fu però alcuno che ne castigasse i malfattori: o perchè non ardissero i buoni di opporsi alla plebe furiosa ed armata; o perchè la maggior parte non istimasse degni di castigo i vendicatori delle pubbliche offese.

BALDI, Vita e fatti di Federigo di Montefeltro, libro I.

V. Combattimento, seguito nel nono secolo, di un cavaliero bavaro e di uno italiano.

Stettero gli eserciti a riscontro l'un dell'altro circa a tre settimane o meglio, senza mai venire alle mani, salvo che in piccole scaramucce. Con le quali tentandosi pure qualche volta, accadde che un cavaliero bavaro, dello esercito di Suembaldo, assuefattosi a chiamare ogni giorno gl'Italiani, poltroni e dappoco nel maneggiare i cavalli da guerra; per non avere trovato chi sino a quivi gli rispondesse, si aveva preso molto 1 Cioè o più.

più animo che le sue forze non comportavano. Per il che, presumendo molto di sè medesimo, fece impeto un dì negli Spuletini del re Guido; e, tolto l'asta di mano a uno, si tornò salvo alla banda sua. Di questo atto gloriandosi i Bavari sopra modo, e con essi tutto lo esercito di Suembaldo, e dispregiandone gl'Italiani; non potè sopportarlo Ubaldo, pa dre di quel Bonifazio che negli anni seguenti fu fatto marchese di Camerino. Anzi, per ricuperare lo onore della Italia, imbracciato lo scudo, sospinto il cavallo nel fiume, chiamò il Bavaro ad alte voci, e dirizzossi alla volta sua. Il Bavaro, dall'altra banda, superbo dello onore acquista to, lo ricevette in sulla riva: e, correndoli1 subito incontro, quando fu vicino al colpirlo, volse le redini al suo cavallo; non per paura già che egli avesse, nè per altro sinistro sopravvenutogli, ma perchè, tenendosi buon maestro di questo giuoco, voleva ferire lo avversario senza pericolo di sè medesimo; pensandosi che nel maneggiare il cavallo a più bande, e nello scherzargli quasi d'intorno con infinite ruote e ritrosi, gli venisse fatto una volta di potergli colpire le spalle. Ma Ubaldo, che deliberatamente correva per combattere da cavaliero, e non per gioco di armeggeria; sollecitando il suo con gli sproni, anzi cacciandolo, con maggior fretta che quell' altro non si pensava; gli fu così tosto addosso con la punta della sua lancia, che, avanti che e' si volgesse, gli passò per le reni il cuore. E racquistato il cavallo di quello, e pigliatolo per le redini, se lo tirò dietro nella fiumara: dove lasciando il cavaliere morto, ritornò lieto con la vittoria, e con gran festa fu ricevuto. Questa battaglia, sebbene ella fu di duoi 2 solamente, accrebbe tanto lo ardire e la audacia nello esercito del re Guido, e ne tolse tanto a' nemici, che i Germani, consigliatisi tra loro medesimi, accettate non so che paghe, se ne tornarono di là dall' Alpi, e Berengario con esso loro.

GIAMBULLARI, Istoria dell'Europa, lib. I.

VI. Battaglia di Novara, tra Francesi e Svizzeri.

Alle parole di Mottino 3, gridò ferocemente tutta la moltitudine, approvando ciascuno col braccio disteso il detto suo. E di poi egli, promettendo la vittoria certa, comandò che andassero a riposarsi, e procurare le persone loro; per mettersi, quando col suono de' tamburi fossero chiamati, negli squadroni. Non fece mai la nazione degli Svizzeri nè la più superba nè la più feroce deliberazione. Pochi contro a molti; senza cavalli e senza artiglierie, contro a un esercito potentissimo di queste cose; non indotti da alcuna necessità, perchè Novara era liberata dal pericolo, e aspettavano il giorno seguente non piccolo accrescimento di soldati; elessero spontaneamente di tentare piuttosto quella via nella quale la sicurtà fosse minore, ma la speranza della gloria maggiore, che quella nella quale dalla sicurtà maggiore risultasse gloria minore.

Uscirono, adunque, con impeto grandissimo, dopo la mezza notte, di Novara; il sesto giorno di giugno; in numero circa di diecimila; distribuitisi con quest'ordine. Settemila per assaltare le artiglierie; intorno alle quali alloggiavano i fanti tedeschi 4; il rimanente per fermarsi con 1 Correndogli. 2 Due. 3 Capitano degli Svizzeri. 4 Che erano nell'esercito de' Francesi.

« IndietroContinua »