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sarie dimostrazioni. Nè perciò deve diminuirsi la gloria del primo osservatore: nè io stimo meno, anzi ammiro più assai, il primo inventor della lira (benchè creder si debba che lo strumento fusse rozzissimamente fabbricato, e più rozzamente sonato), che cent' altri artisti che, nei conseguenti secoli, tal professione ridussero a grand'esquisitezza. E parmi che molto ragionevolmente l'antichità annumerasse tra gli Dei i primi inventori dell'arti nobili; già che noi veggiamo, il comune degl'ingegni umani esser di tanta poca curiosità, e così poco curanti delle cose pellegrine e gentili, che nel vederle e sentirle esercitar da professori esquisitamente, non perciò si muovono a desiderar d'apprenderle: or pensate se cervelli di questa sorta si sariano giammai applicati a volere investigar la fabbrica della lira, o all' invenzion della musica, allettati dal sibilo dei nervi secchi di una testuggine, o dalle percosse di quattro martelli. L'applicarsi a grandi invenzioni mosso da piccolissimi principii, e giudicar, sotto una prima e puerile apparenza potersi contenere arti maravigliose ; non è da ingegni dozzinali, ma son concetti e pensieri di spiriti sopraumani. Molti si pregiano di aver molte autorità di uomini per confermazione delle loro opinioni; ed io vorrei essere stato il primo e solo a trovarle.

GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, giornata III.

XXXII. Differenza grande che è da uomo a uomo.

La differenza che è tra gli uomini e gli altri animali (per grandissima che ella sia) chi dicesse poter darsi poco dissimile tra gli stessi uomini, forse non parlerebbe fuor di ragione. Qual proporzione ha da uno a mille? e pure è proverbio vulgato, che un solo uomo vaglia per mille, dove mille non vagliano per un solo. Tal differenza depende dalle abilità diverse degl' intelletti: il che io riduco all'essere o non esser filosofo: poichè la filosofia, come alimento proprio di quelli, chi può nutrirsene, il separa in effetto dal comune esser del volgo, in più e men degno grado, come che sia vario tal nutrimento. Chi mira più alto, si differenzia più altamente: e'l volgersi al gran libro della natura, che è'l proprio oggetto della filosofia, è il modo per alzar gli occhi.

Il medesimo, Dedicatoria del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano.

XXXIII. Perchè sogliono i vecchi lodare il passato,
e biasimare il presente.

La causa adunque di questa falsa opinione nei vecchi, estimo io per me ch'ella sia perchè gli anni, fuggendo, se ne portan seco molte comodità; e, tra l'altre, levano dal sangue gran parte degli spiriti vitali: onde la complession si muta, e divengon debili gli organi per i quali l' anima opera le sue virtù. Però dei cori nostri in quel tempo, come allo autunno le foglie degli arbori, caggiono i soavi fiori di contento; e nel loco dei sereni e chiari pensieri entra la nubilosa e torbida tristizia, di mille calamità accompagnata. Di modo che non solamente il corpo, ma l'ani

mo ancora è infermo; nè dei passati piaceri riserva altro che una tenace memoria, e la imagine di quel caro tempo della tenera età; nella quale quando ci ritroviamo, ci pare che sempre il cielo e la terra ed ogni cosa faccia festa e rida intorno agli occhi nostri, e nel pensiero, come in un delizioso e vago giardino, fiorisca la dolce primavera d' allegrezza. Onde forse saria utile, quando già nella fredda stagione comincia il sole della nostra vita, spogliandoci di quei piaceri, andarsene verso l'accaso; perdere, insieme con essi, ancor la loro memoria, e trovar, come disse Temistocle, un' arte che a scordar insegnasse. Perchè tanto sono fallaci i sensi del corpo nostro, che spesso ingannano ancora il giudicio della mente. Però parmi che i vecchi siano alla condizion di quelli che, partendosi dal porto, tengon gli occhi in terra, e par loro che la nave stia ferma, e la riva si parta: e pur è il contrario, che il porto, e medesimamente il tempo e i piaceri, restano nel suo stato; e noi con la nave della mortalità fuggendo n'andiamo l'un dopo l'altro per quel procelloso mare ch'ogni cosa assorbe e divora: nè mai più ripigliar terra ci è concesso ; anzi, sempre da contrari venti combattuti, al fine in qualche scoglio la nave rompemo. Per esser adunque l'animo senile, subbietto disproporzionato a molti piaceri, gustar non gli può: e come ai febricitanti,quando dai vapori corrotti hanno il palato guasto, pajono tutti i vini amarissimi, benchè preziosi e delicati siano; così ai vecchi per la loro indisposizione, alla qual però non manca il desiderio, pajon i piaceri insipidi e freddi, e molto differenti da quelli che già provati aver si ricordano, benchè i piaceri in sè siano i medesimi. Però, sentendosene privi, si dolgono, e biasimano il tempo presente come malo, non discernendo che quella mutazione da sè, e non dal tempo, procede: e, per contrario, recandosi a memoria i passati piaceri, si arrecano ancora il tempo nel quale avuti gli hanno; e però lo laudano come buono, perchè pare che seco porti un odore di quello che in esso sentivano quando era presente.Perchè in effetto gli animi nostri hanno in odio tutte le cose che state sono compagne de'nostri dispiaceri, ed amano quelle che state sono compagne dei piaceri. Onde accade che ad uno amante è carissimo talor vedere una finestra, benchè chiusa, perchè alcuna volta quivi avrà avuto grazia di contemplar la sua donna; medesimamente veder un anello, una lettera, un giardino o altro loco, o qual si voglia cosa, che gli paja esser stata consapevol testimonio de' suoi piaceri : e, per lo contrario, spesso una camera ornatissima e bella sarà nojosa a chi dentro vi sia stato prigione, o patito v' abbia qualche altro dispiacere. Ed ho già conosciuto alcuni che mai non beveriano in un vaso simile a quello nel quale già avessero, essendo infermi, preso bevanda medicinale. Perchè così come quella finestra, o l'anello o la lettera, all'uno rappresenta la dolce memoria che tanto li diletta, per parergli che quella già fosse una parte de' suoi piaceri; così all'altro la camera o'l vaso par che, insieme con la memoria, rapporti la infirmità o la prigionia. Questa medesima cagion credo che muova i vecchi a laudare il passato tempo, e biasimare il presente. CASTIGLIONE, Cortegiano, libro II.

1 Cioè rompiamo.

XXXIV. La bellezza suole esser congiunta colla bontà.

Rare volte mala anima abita bel corpo. E perciò la bellezza estrinseca è vero segno della bontà intrinseca; e nei corpi è impressa quella grazia più e meno, quasi per un carattere dell' anima, per lo quale essa estrinsecamente è conosciuta. Come negli alberi; ne' quali la bellezza dei fiori fa testimonio della bontà dei frutti. E questo medesimo interviene nei corpi: come si vede che i fisonomi al volto conoscono spesso i costumi, e talora i pensieri degli uomini ; e, che è più, nelle bestie si comprende ancora allo aspetto la qualità dell' animo, il quale nel corpo esprime sè stesso più che può. Pensate come chiaramente nella faccia del leone, del cavallo, dell'aquila, si conosce l'ira, la ferocità e la superbia; negli agnelli e nelle colombe, una pura e semplice innocenzia; la malizia astuta nelle volpi e nei lupi; e così quasi di tutti gli altri animali. Ibrutti adunque per lo più sono ancora mali, e gli belli buoni. E dir si può che la bellezza sia la faccia piacevole, allegra, grata e desiderabile del bene; e la bruttezza, la faccia oscura, molesta, dispiacevole e trista del male.

E se considerate tutte le cose, trovarete che sempre quelle che son buone ed utili, hanno ancor grazia di bellezza. Eccovi lo stato di questa gran macchina del mondo, la qual per salute e conservazion d'ogni cosa creata, è stata da Dio fabbricata. Il ciel rotondo, ornato di tanti divini lumi. E nel centro la terra, circondata dagli elementi, e dal suo peso istesso sostenuta. Il sole, che girando illumina il tutto, e nel verno s'accosta al più basso segno, poi a poco a poco ascende all' altra parte. La luna, che da quello piglia la sua luce, secondo che se le appropinqua o se le allontana; e l'altre cinque stelle, che, diversamente, fan quel medesimo corso. Queste cose tra sè han tanta forza, per la connession d'un ordine composto così necessariamente, che mutandole pur un punto, non potriano star insieme, e ruinarebbe il mondo: hanno ancora tanta bellezza e grazia, che non possono gli ingegni umani imaginar cosa più bella. Pensate or della figura dell' uomo, che si può dir piccol mondo. Nel quale vedesi ogni parte del corpo esser composta necessariamente, per arte e non a caso; e poi tutta la forma insieme esser bellissima: talchè difficilmente si potria giudicar qual più, o utilità o grazia, diano al volto umano, ed al resto del corpo, tutte le membra; come gli occhi, il naso, la bocca, l'orecchie, le braccia, il petto, e così l' altre parti. Il medesimo si può dir di tutti gli animali. Eccovi le penne negli uccelli, le foglie e rami negli alberi, che dati gli sono da natura per conservar lo esser loro, e pur hanno ancor grandissima vaghezza.

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Lasciate la natura, e venite all'arte. Qual cosa tanto è necessaria nelle navi, quanto la prora, i lati, le antenne, l'albero, le vele, il timone, i remi, l'ancore e le sarte? tutte queste cose però hanno tanto di venustà che par a chi le mira, che così siano trovate per piacere, come per utilità. Sostengon le colonne e gli architravi le alte logge e palazzi; nè però son meno piacevoli agli occhi di chi le mira, che utili agli edificii. Quando prima cominciarono gli uomini ad edificare, posero nei tempii e nelle case quel colmo di mezzo, non perchè avessero gli edificii più di grazia ma acciocchè dall' una parte e l' altra comodamente potessero discorrer

l'acque: nientedimeno all'utile subito fu congiunta la venustà: talchè se sotto a quel cielo ove non cade grandine o pioggia, si fabbricasse un tempio, non parrebbe che senza il colmo aver potesse dignità o bellezza al

cuna.

Dassi adunque molta laude, non che ad altro, al mondo, dicendo ch' egli è bello; laudasi, dicendo, bel cielo, bella terra, bel mare, bei fiumi, bei paesi, belle selve, alberi, giardini, belle città, bei tempii, case, esercizii in somma ad ogni cosa dà supremo ornamento questa graziosa e sacra bellezza. E dir si può che 'l buono e'l bello, a qualche modo siano una medesima cosa e massimamente nei corpi umani. Della bellezza de' quali la più propinqua causa estimo io che sia la bellezza dell' anima; che illustra e fa bello ciò ch' ella tocca, e specialmente se quel corpo ov' ella abita, non è di così vil materia, ch' ella non possa imprimergli la sua qualità Il medesimo, ivi, libro IV.

XXXV. Piacere che nasce da un certo torpore della mente.

Egli intanto ritornò agli ospiti, radunati intorno di una fonte; alla quale tutti fissavano gli attenti sguardi, con le labbra chiuse nel silenzio. Per verità, disse Eutichio, io vorrei sapere qual volume di arcana filosofia voi leggereste con tanta gravità, con quanta rimirate queste acque, le quali in un tratto hanno spento in voi l'ardore delle contese. Onde è verisimile l'accusa di questa amabile fanciulla, che alle medesime vi eccitasse in parte il vapore del vino: imperocchè osservando, che queste fresche acque hanno in voi calmata la filosofica eloquenza, sembra che in voi la commovesse piuttosto la ilarità di Bacco, che la inspirazione di Minerva. Si alzarono tutti sorridendo a quel rimprovero, ed invitarono la fanciulla a sedere con loro ; ed avendo ella accettato l'invito, si collocarono tutti ne' lucidi marmorei sedili ch'erano d'intorno alla zampillante fontana. Quindi Eutichio riassumendo la materia del ragionamento: Voi credete 9 disse, ospiti cortesi, che sia vano il proposto argomento, donde provenga l'attenzione con la quale si rimirano i fonti; e pure egli è meritevole, forse quanto altri gravemente discussi, della vostra meditazione. Anzi io vi proporrò non meno l' altra questione, che vi ha qualche corrispondenza : perchè mai nell' inverno nevoso sia tanto piacevole adunarsi intorno al domestico focolare, non solo per lo tiepido conforto dell' igneo vapore, ma forse anche più per certo incognito diletto che la vivace fiamma desta in noi di modo, che talvolta a sè richiama tutti i nostri pensieri in contemplarla. E vero, rispose Nomofilo: ma, se ben si consideri quell' attenzioaltro non è che un riposo di pensieri, coll' apparenza di gravissima speculazione. E noi tutti, che qui, siccome vedesti, eravamo intenti alla fonte con atti veramente degui di filosofica scuola; altri appoggiando il mento alla mano, altri ponendo la destra su la fronte, altri con le braccia sul petto, e il capo inclinato; i quali sono atteggiamenti convenevoli alle profonde meditazioni; noi tutti (ed io sarò mallevadore per altri) avevamo l'intelletto così vuoto di pensieri, che ciascuno troverà difficile il dirti quali erano i suoi; quantunque fosse così maestoso il silenzio. La quale asserzione non avendo alcuno impugnata: Or dunque, disse Eutichio, voi ben vedete che se il pascere l'intelletto con la indagazione del vero, è

ne,

nutrimento così grato quanto ci promettono i filosofi; anche la indolenza de' pensieri, e la indeterminata loro sospensione, produce una calma piacevole di modo che abbia le sue dolcezze la stupidità, non meno de' più sublimi ragionamenti. Oh, interruppe Saffo, pur troppo è vano l' orgoglio delle filosofiche esortazioni se pretende vincere le angosce di un animo infelice col mezzo de' raziocinii. Ma una fonte che mormora, gli uccelli che garriscono, il mare che sia placido, il vento che susurra, e più di tutti l'armonioso concento della musica e de' carmi, rattemprano, almeno in parte, i più atroci dolori dell' animo nostro.

VERRI, Avventure di Saffo, libro II.

XXXVI. Debolezza dell' odorato dell'uomo.

Io ho più volte fatto riflessione, onde avvenga che di tutte le specie che riceviamo da' sensi esteriori, quelle degli odori sieno le più difficili di tutte le altre ad eccitarcisi nella fantasia senza la presenza dell' oggetto; a segno che nè anche dormendo ce li sogniamo, o almeno radissime volte. La ragione credo che sia che 'l nostro organo dell' odorato è il più debole di tutti gli altri e quando il senso è debole, bisogna che anche la scienza del sensibile sia esigua; perciocchè ogni cognizione naturale depende dal fantasma. E così non potendo le specie degli odori esser molto profondamente intagliate nell' immaginativa, non è gran fatto che ci voglia sempre una presente e molto valida pressura del sigillo per rilevarle.

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MAGALOTTI, Lettere familiari, parte I, lettera XXVI.

XXXVII. L'uomo paragonato agli altri animali in rispetto
della sanità e delle malattie.

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SERPE. Voi siete sottoposti a tante sorti d'infermità, che non si può dire che voi siate mai sani perfettamente come noi; ed oltre a questo, non siate nai tanto gagliardi, che per ogni piccol disordine che voi facciate, voi non debbiate temer d'ammalare.ULISSE. Questo l'ha fatto la natura perchè noi possiamo far meglio le operazioni nostre; il che non aremmo potuto far sì facilmente se ella ci avesse composti di materia e d'umori e sangui grossi e gagliardi, come ella ha fatto voi. SERPE. Anzi l' ha fatto per farvi i più infermi ed i più deboli animali che si trovino al mondo. ULISSE. E quando questo che tu di', fusse pur il vero, non possiamo noi guardarci da quel che ci offende, con quella prudenza che ella ci ha dato? Serpe. In qualche parte sì; ma egli è tanto difficile, che tu vedi quanti pochi lo fanno. Ma vuoi tu vedere s'ella l' ha fatto solamente per essere vostra nimica? che ella vi ha aggiunto uno appetito del cibarvi con tanta insaziabilità, ed una voglia tanto immoderata, che voi non restate di cercare continuamente nuovi cibi ; e trovatigli che vi piaccino 4, non potete di poi temperarvi (o difficilissimamente) a mangiare solo il bisogno vostro. Donde nascono in voi dipoi tante e tante, così varie e gravi malattie. ULISSE. E quali son questi cibi che noi usiamo, che non sieno stati fatti dalla natura per il mantenimento e per la conservazion nostra? SERPE. Come, quali sono? Infiniti; e particolarmente tutte quelle cose che voi adoperate per I Cioè siete. Dobbiate. 2 Avremmo. -4Piacciano.

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