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to autore fossino 'noti. Di tutte le istorie ebbe ottima cognizione:nè peca notizia ebbe ancora di oratori e di poeti. Le conclusioni di filosofia naturale li furono notissime. Tanto li piacque teologia, che molte volte si gloriò aver letto quattordici volte il Testamento vecchio e nuovo, con tulte sue chiose e commenti: in modo che, non solo le sentenzie, ma spesse volte le parole proprie del testo riferiva. E delle più ardue e difficili questioni che da'teologi si trattano, se qualche volta era domandato, subito e gravemente e da teologo rispondeva: se bene in lingua latina poche volte parlasse.

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Per amor singolare portava alle dottrine, e per denotare che la cognizione delle lettere massimamente alli principi conveniva, per insegna portava un libro aperto. Ed era usato di dire che migliori consiglieri non aveva che i morti (intendendo dei libri ): perocchè quelli senza paura, o vergogna, o grazia, o alcun rispetto, quello aveva a fare li dimostravano. E di tutte le prede e direzzioni delle città,niuna cosa gli era con più studio portata, nè egli con più grazia riceveva, che i libri. Per questo in molti lochi fece riparare ed ornare gli auditorii e scuole pubbli che: ed a molti poveri studiosi constituì provvisione, e spesso ancor fuor del regno, acciocchè potessinostudiare. E udendo una volta che un certo re di Spagna dicea, non convenire a generosi principi lo essere litterato; rispose, quella essere parola da un bue, e non da un re. Onde meritamente Giacomo da Isara, uomo di acutissimo giudicio, dir solea che, se Alfonso non fosse stato re, per ogni modo saria stato ottimo filosofo.

In ogni sua espedizione e viaggio, sempre con sè portava Tito Livio, e i Commentarii di Giulio Cesare i quali mai appena lasciò dì che non leggesse. E spesso di sè medesimo dicea, che egli a sè medesimo parea nelle cose militari, e nel maneggiar delle guerre, a rispetto di Cesare, essere inettissimo e rozzo. E in tanto amò il nome di Cesare, che le medaglie e le monete antiche ove la sua effigie era scolpita, per tutta Italia facea ricercare; e quelle, come cosa sacra e religiosa, in una ornata cassetta tenea: dicendo che solamente a mirarle, a lui parea che all'amor della virtù e della gloria si infiammasse.

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Ebbe in sua corte uomini d'ogni facoltà litteratissimi; jurisconsulti, filosofi, teologi: i quali tutti di salarii, di doni, di beneficii e di favori augumentava. Tra quali, alcuni in oratoria, e studii di umanità, dottissimi, ebbe in familiare conversazione e domestica: come Bartolomeo Facio, Giorgio Trabisonda, Lorenzo Valla romano, Giovanni Aurispa sicliano, Antonio cognominato Panormita, bolognese; che scrisse un piccolo libretto delli detti di Alfonso. Senza che ingegneri, scultori, architetti, naviganti, e tutti i meccanici che di qualche prestanzia fosseno, nella sua corte abbondavano: perocchè tutti come ad uno asilo ed un tempio dell' aureo secolo, vi correano. Per le quali cose appare, quel re essere stato virtuosissimo; avendo appresso di sè tenuto, e sempre appregiato, uomini virtuosi: essendo naturale che chi non ama le arti, non ammira nè onora gli artefici di quelle.

COLLENUCCIO, Compendio delle istorie del Regno di Napoli, libro VI. I Fossero. 2 Che portava. 3 Che aveva.

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Potessero.

6 Oltre che.

4 Saccheggiamenti.

7 Fossero.

XVIII. Il medesimo.

Ne'primi anni della sua gioventù dette saggio di quanta grandezza d'aeimo e ingegno doveva essere. Imperocchè insin allora si vedeva rilucer in lui una gran prudenza, con tutte l'altre doti dell' animo era vivace d'ingegno: pareva veramente nato per governar tutte le cose umane;ma, sopra tutte l'altre,a reggere stati.Preso dunque il dominio del regno paterno; benchè fusse giovene, dimostrò però una grandezza d'animo invitto, e dette ottima speranza di sè stesso.

Sofferiva tutte le fatiche fuor dell'opinione degli uomini, facendone bisogno. Fu illustre per molte virtù. Usò gran pietà o liberalità, non solo verso i suoi, ma ancora fu liberalissimo verso i poveri. Fu poi deside rosissimo dello studio delle buone lettere: per il che non lasciò mai alcun giorno, benchè occupato in gravissimi negozii, nel quale non udisse teologi, filosofi, oratori, poeti,o leggere, ovver disputare, ovvero orare. Se nella Europa era a'suoi tempi qualche persona nominata in lettere, subito era chiamata da lui, ed onorata con molti presenti. Fu tanto studioso e sollecito alle lettere, che ebbe cognizione facilmente di tutto ciò che posson saper gli uomini. Fabricossi una gran libreria: avendo adunato libri da tutte le parti del mondo. Fece anco tradurre a dottissimi uomini molti libri greci in lingua latina. Fiorirono nella sna corte molticapitani esperti nell'arte militare,i quali furono anco illustri in diverse guerre: vi riuscirono ancor molti poeti, retori, filosofi e teologi di gran conto. Fu liberalissimo: e particolarmente si mostrò cortese donatore verso quelli che gli avevano fatto servizio ; ovvero che eccedevano gli altri o di virtù o di qualche nobil arte, ovvero di onore. Era tanto cupido d'onore e di gloria, che, udendo qualche principe esserli anteposto in quelle cose delle quali egli faceva professione, di che deve essere ornato un principe e un re, n'aveva un'onesta invidia.

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Nel vestire, e negli ornamenti del corpo, fu modestissimo: e tanto riservato nel parlare, che non fu mai alcuno che gli sentisse uscire una trista nè una disonesta parola di bocca. E benchè egli superasse tutti i principi della sua età di ricchezza e di possanza, mai però non fece segno alcuno d'insolenzia. Non fu mai veduto sdegnato contra quelli che dicevano male di lui, ovvero che con poco riguardo ragionavano di lui. Il che fu cosa maravigliosa da vedere ; perocchè egli era naturalmente molto facile a sdegnarsi. Voleva che i suoi familiari e consiglieri fussero piacevolissimi; e, se ne trovava alcuno insolente, non lo volevasin corte, nè l'ammetteva ne'suoi consigli. Si astenne fuor di modo dal vino.E fu tanto cortese, che lasciava entrare nelle sue camere secrete, ove egli mangiava e dormiva e udiva le lezioni di gravissimi uomini, non solo le persone gradite,e poste in dignità, ma anco persone d'intima condizione. Ebbe l'animo costante in ritener sempre l'istesso aspetto; nè si mutò mai d'animo per cattiva o buona sorte che gli occorresse. Perdonava facilmente quelli che l'offendevano. Usava grandissima cortesia e misericordia, non solo a'vinti in guerra, ma anco a quelli che gli erano stati ni1 Cioè essergli.

LEOPARDI, Crestomazia. I.

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mici capitali, e gli avevano anco teso insidie per ammazzarlo. Il che gli apportò tanto splendore, che meritamente egli fu anteposto a tutti i principi della sua età da quelli che hanno scritto le cose fatte da lui. Placava con beneficii gli animi de' suoi avversarii; de' quali ebbe gran copia : e fu tanto pronto a far beneficio a tutti, che promise molto più di quello che poi poteva eseguire.

Amò sopra tutte l'altre cose ed abbracciò la giustizia: la qual non solamente egli mantenne, ma procurò ancora che ella fusse con ogni diligenzia eseguita da'suoi ministri. Fanno fede di questo molte sue lettere scritte a diversi presidenti di Sicilia: nelle quali con tanto fervore, e severità di parole gli riprende, che chi legge le dette lettere, gli pare di vedere il re Alfonso vivo e adirato.

Furono però tante sue virtù e rare qualità oscurate alquanto da alcuni mancamenti. Imperocchè egli fu biasimato che donasse a suoi amici buona parte delle gabelle, e molte nobilissime città; e medesimamente facesse presenti e doni molto maggiori delle sue forze, e che superavano di gran lunga le sue facoltà; e massime agli oratori di principi, ed a uomini illustri, che l' andavano a vedere o salutare. Per il che era costretto ad aggravar i suoi popoli molte volte con nuove angherie, per soddisfar a simili spese. Per questa occasione fu anco astretto a lasciar imperfette molte cose da lui cominciate con gran magnificenza. Era poi tanto dedito all'andar a caccia, che molte volte lasciava indietro le cose dello stato e di governo. E benchè si sforzasse di mitigar la sua naturale collera,siccome abbiam detto; nondimeno egli alcuna volta spinto da subita ira, fece cose indegne del nome e maestà regia. Sapeva finger facilmente ciò che gli piaceva. Fu, in oltre, molto libidinoso: si dava in sì fatta maniera in preda a questa passione, che, a richiesta di donne sue amiche, perdonò a diverse scelleratezze nefande, e le lasciò senza castigo.

Fu però di tanta autorità per le virtù che si ritrovavano in lui, che egli era in suo arbitrio di pacificare tutta l'Italia, e similmente di sollevarla, e concitarla all'armi.

REMIGIO FIORENTINO, Volgarizzamento della Storia di Sicilia del Fazello, deca II, libro IX.

XIX. Leone decimo e Clemente settimo papi.

Leone, che portò la prima grandezza ecclesiastica nella casa de'Medici, e con l'autorità del cardinalato sostenne tanto sè e quella famiglia, caduta di luogo eccelso in somma declinazione, che potettero aspettare il ritorno della prospera fortuna; fu uomo di somma liberalità : se però si conviene questo nome a quello spendere eccessivo, che passa ogni misura. In cos'ui, assunto al pontificato, apparì tanta magnificenza e splendore, e animo veramente reale, che e' sarebbe stato maraviglioso eziandio in uno che fosse per lunga successione disceso di re o d'imperatori.

Ebbe costui, tra le altre sue felicità, che furono grandissime,non piccola ventura di avere appresso di sè Giulio de' Medici, suo cugino: quale di cavaliere di Rodi, benchè non fosse di natali legittimi, esaltò al 1 Cioè il quale.

cardinalato. Perchè, essendo Giulio di natura grave, diligente, assiduo alle faccende, alieno dai piacer:, ordinato e assegnato in ogni cosa; avendo in mano, per volontà di Leone, tutti i negozii importanti del pontificato; sosteneva e moderava molti disordini che procedevano dalla sua larghezza e facilità. E, quel che è più, non seguendo il costume degli altri nipoti e fratelli dei pontefici, preponendo l'onore e la grandezza di Leone agli appoggi potesse farsi per dopo la sua morte ; gli era in modo fedelissimo e obbed entissimo, che pareva che veramente fosse un altro lui. Per il che fu sempre più esaltato dal pontefice, e rimesse a lui ogni giorno più le faccende. Le quali, in mano di due nature tanto diverse mostravano quanto qualche volta convenga bene insieme la mistura di due contrarii: l'assiduità, la diligenza, l'ordine, la gravità dei costumi la facilità, la prodigalità, i piaceri e la ilarità. Le quali cose facevano credere a molti che Leone fosse governato da Giulio; e che egli per sè stesso non fosse uomo da reggere tanto peso, non da nuocere ad alcuno, e desiderosissimo di godersi i comodi del pontificato; e, all'incontro, che in Giulio fosse animo, ambizione, cupidità di cose nuove. In modo che tutte le severità, tutti i movimenti, tutte le imprese che si fecero a tempo di Leone, si credeva procedessero per instigazione di Giulio; riputato uomo maligno, ma d'ingegno e di animo grande.

La quale opinione del valore suo si confermò e accrebbe dopo la morte di Leone perchè in tante condradizioni e difficultà che ebbe, sostenne con tanta dignità le cose sue che pareva quasi pontefice; e si conservò in modo l'autorità appresso a molti cardinali, che, entrato in due conclavi assoluto padrone di sedici voti, aggiunse finalmente, nonostante infinite contradizioni della maggior parte e dei più vecchi del Collegio, dopo la morte di Adriano, al pontificato; nou finiti ancora due anni dalla morte di Leone. Dove entrò con tanta espettazione, che fu fatto giudizio universale che avesse a essere maggiore pontefice, e a fare cose maggiori, che mai avessero fatte alcuni di coloro che avevano insino a quel giorno seduto in quella sedia.

Ma si conobbe presto quanto erano stati vani i giudizii fatti di Leone e di lui. Perchè in Leone fu di gran lunga più sufficienza che bontà ; Giulio ebbe molte condizioni diverse da quello che prima era stato creduto di lui. Conciosiachè non vi fosse nè quella cupidità di cose nuove, quella grandezza e inclinazione di animo a fini generosi e magnanimi, che prima era stata la opinione; e fosse stato più presto oppresso a Leo1 ne esecutore e ministro dei suoi disegni, che indirizzatore e introduttore dei suoi consigli e delle sue volontà. E ancorchè avesse l' intelletto capacissimo, e notizia maravigliosa di tutte le cose del mondo; nondimeno non corrispondeva nella risoluzione ed esecuzione. Perchè, impedito, non solamente dalla timidità dell'animo (che in lui non era piccola), dalla cupidità di non spendere, ma eziandio da una certa irresoluzione e perplessità che gli era naturale; stesse quasi sempre sospeso e ambiguo quando era condotto alla determinazione di quelle cose le quali aveva da lontano molte volte previste, considerate, e quasi risolute. Donde e nel deliberarsi, e nell' eseguire quel che pure avesse deliberato, ogni piccolo rispetto che di nuovo se gli scoprisse, ogni leggiero impedimento se gli attraversasse, pareva bastante a farlo ritornare in quella con

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fusione nella quale era stato innanzi deliberasse: parendogli sempre, poichè aveva deliberato, che il consiglio stato rifiutato da lui fosse migliore. Perchè, rappresentandosegli allora innanzi solamente quelle ragioni che erano state neglette da lui, non rivocava nel suo discorso le ragioni che l'avevano mosso a eleggere; per la convenzione e comparazione delle quali, si sarebbe indebolito il peso delle ragioni contrarie: nè avendo per la memoria di avere temuto molte volte vanamente, preso esperienza di non si lasciare sopraffare al timore. Nella qual natura implicata, e modo confuso di procedere, lasciandosi spesso traportare dai ministri, pareva più presto menato da loro, che consigliato.

Francesco GUICCIARDINI, Istoria d'Italia, libro XVI.

XX. Carlo ottavo, re di Francia.

Carlo, insino da puerizia, fu di complessione molte debole, e di corpo non sano di statura piccolo; e d'aspetto, se tu gli levi il vigore e la dignità degli occhi, bruttissimo; e l'altre membra proporzionate in modo, che pareva quasi più simile a mostro che a uomo. Nè solo senza alcuna notizia delle buone arti, ma appena gli furono cogniti i caratteri delle lettere. Animo cupido d' imperare; ma abile più ad ogni altra cosa perchè, aggirato sempre da' suoi, non riteneva con loro nè maestà nè autorità; alieno da tutte le fatiche e faccende, e in quelle alle quali pure attendeva, povero di prudenza e di giudicio. Se pure alcuna cosa pareva in lui degna di laude; riguardata intrinsecamente, era più lontana dalla virtù che dal vizio. Inclinazione alla gloria; ma più presto con impeto che con consiglio liberalità; ma inconsiderata, e senza misura, o distinzione immutabile talvolta nelle deliberazioni; ma spesso più ostinazione mal fondata, che costanza: e quello che molti chiamavano bontà, meritava più convenientemente nome di freddezza, e di remissione d'animo. Il medesimo, ivi, libro I.

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XXI. Enrico duca di Guisa.

In questo modo morì Enrico di Lorena, duca di Guisa: principe riguardevole per l'altezza del suo lignaggio, e per il merito e grandezza de' suoi maggiori; ma molto più conspicuo per la grande eminenza del proprio suo valore. Poichè in lui furono accumulate doti molto prestanti: vivacità nel comprendere, prudenza nel consigliare, animosità nell' eseguire, ferocia nel combatiere, magnanimità nelle cose prospere, costanza nelle avverse, costumi popolari, maniera di conversare affabile, somma industria di conciliarsi gli animi e le volontà di ciascheduno, liberalità degna di grandissima fortuna, segretezza e dissimulazione pari alla grandezza de' negozii, ingegno versatile, spiritoso, pieno di risoluzione e di partiti, ed appunto eguale a quei tempi ne' quali s'era incon

trato.

A queste condizioni dell' animo erano aggiunti non minori ornamenti del corpo tolleranza delle fatiche, sobrietà singolare, aspetto venerabile insieme e grazioso, complessione robusta e militare, agilità di membra, così ben disposte, che molte volte fu veduto a nuotare coperto di tutte

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