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povere donne; e le promisero di seguirla, se bene n'andasse all' inferno. Ordinò loro adunque che, senza farne parola a persona, presisi per mano i figliuoli, le andassero dietro: ed ella con alquanti di casa a San Lionardo, nella maniera usata, se ne venne: ove postasi a far orazioni, mandò gli uomini in diversi servigi. Fattosi poi dal suo famigliare menare il brigantino, acciocchè i marinari non la conoscessero, in un velo (al costume delle donne napoletane) avviluppò il viso: e, voltasi all' immagine si san Lionardo, dis se: Divotissimo santo, tu vedi la purità della intenzione mia, e come la carità di questi fanciulli infelici mi fa gittar nel mare. Sia pregato il tuo altissimo nome di volergli da qualunque avversità custodire, e me e loro a più lieta fortuna conservare. Salita poi in barca, fe dar de' remi in acqua.

Parve che quel legno fusse spinto da soprannaturali forze perchè, non solamente lasciossi di lungo spazio addietro quelli del re che poco da poi rattamente la seguirono, ma in brevissimo tempo a Terracina, luogo di Roma, e d'indi alla terra de' Colonnesi, stretti parenti de' Sanseverini, la principessa condusse. La quale, fatta sicura e lieta, non si rimase di rimproverare al marito ed ai compagni, per la grandezza dell'animo suo, la sciocca dappocaggine loro.

PORZIO, Congiura de' baroni del Regno di Napoli contra il re Ferdinando I, libro III.

XVII. Il re Carlo nono di Francia, e la regina madre, passano da Meaux a Parigi per mezzo alle genti degli Ugonotti.

Sopraggiunti gli Svizzeri, e sapendosi che fra poche ore sarebbono sopraggiunti anco gli Ugonotti, si cominciò a trattare nel consiglio del re, se fosse meglio fermarsi, e aspettare l'assedio nel medesimo luogo, ovvero procurare di ritirarsi in Parigi (la qual città era dieci leghe discosta), con pericolo di combattere co' nemici per la strada. Il contestabile, tenendo per fermo che marciando sarebbono stati assaliti dagli Ugonotti, e stimando pericolosa la battaglia, per non avere dalla loro parte alcun numero di cavalli, in luoghi piani ed in campagna aperta; contendeva non doversi mettere la persona del re e della regina a rischio così evidente e così certo. Il duca di Nemours, all'incontro, stimava cosa, non solo indegna, ma molto più pericolosa ancora, l' aspettare l'assedio in una città piccola, e appena cinta d'antiche e dirupate mura, senza alcuna provisione e ordine militare.

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Tra le quali sentenze stando lungamente sospesi, sarebbe stata finalmente accettata l'opinione del contestabile, se il colonnello Fifer, avendo richiesto d'esser introdotto nel consiglio alla presenza del re, vesse con parole gravi ed efficaci supplicata la maestà sua a non voler permettere d'esser assediata in luogo così ignobile da una sollevazione dei suoi ribelli, ma che fosse contenta di confidare la sua persona, e quella della reina sua madre, alla fede e alla virtù degli Svizzeri; che, in numero di seimila, gli averebbono con la punta delle picche aperta la strada nel mezzo di qualsivoglia numeroso esercito de' suoi nemici. Le quali parole accompagnando con feroci preghiere i capitani svizzeri, ch'erano fermati su la medesima porta del consiglio; la regina, levata

in piedi, e laudando con parole onorevoli la fedeltà e la virtù loro, ordinò che attendessero a curare le persone quelle poche ore che restavano della notte; perchè la mattina averebbe con franco animo commessa al valore delle loro destre la maestà e la salute della corona di Francia. Alla quale risoluzione rimbombando l'aria d'altissime e ferocissime grida di tulta la nazione, andarono a prepararsi per la seguente giornata e i signori di corte attesero con gran diligenza a mettere in ordine gli arcieri della guardia del re, e le loro proprie famiglie.

Non fu molto passata la mezza notte, che gli Svizzeri, dato con grandissimo strepito ne' loro tamburi, s'avviarono un miglio fuori della città a mettersi in ordinanza e il re con la corte, attraversando il cammino per diversi sentieri, allo spuntare dell'alba si ritrovò nel medesimo luogo. Ove gli Svizzeri accoltolo nel mezzo del battaglione, insieme con la regina, con gli ambasciadori de' principi, e con tutte le dame della corte; cominciarono a marciare, con tanta ferocità e con tanta bravura, che da molti anni non aveva veduto la Francia spettacolo più ragguardevole di questo.

Non ebbero così marciato lo spazio di due miglia (precedendo il duca di Nemours con i cavalli della guardia del re, seguendo dopo il battaglione il contestabile con i gentiluomini della corte), che si videro comparire le schiere della cavalleria ugonotta, la quale veniva di buon passo, per attaccare la battaglia. Fermarono gli Svizzeri l'ordinanza; e, abbassando le picche, si mostrarono così intrepidi a ricevere l'assalto de' nemici, che il principe e l'ammiraglio, i quali con uno squadrone di secento cavalli s'erano accostati alla retroguardia; caracollando, e aggirandosi per la campagna, non ardirono d'investire nel battaglione il quale, con foltissimi ordini, vibrando ferocemente l'aste, mostrava di temer poco la furia de' loro cavalli.

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Ma sopraggiunto il conte della Roccafocaut con una truppa di trecento cavalli, e Andelotto con una di dugento, tornarono risolutamente per attaccar furiosamente alle spalle. Allora gli Svizzeri, con mirabile prontezza, voltarono la faccia per combattere e il re con molto ardire, si spinse alla fronte della battaglia; seguitato da' signori più riguardevoli della corte; ma per il più non armati se non di spada; non si ritrovando alcun di loro nè armature di dosso, nè archibugi da guerra, nè altre arme proporzionate a combattere alla campagna. Furono sparate dagli Ugonotti alcune archibugiate, mostrando pure di voler attaccare il fatto d'arme: ma, vedendo la franca risoluzione ch' era negli Svizzeri, tornarono ad allontanarsi, e a caracollare per la campagna.

Così, era marciando, ora fermandosi al seguitare de' nemici, camminarono con mirabile costanza lo spazio di sette leghe: sinche i capitani ugonotti, stanchi, e vedendo di non fare alcun frutto, parte per la bravura degli Svizzeri, parte perchè non erano arrivate al punto destinato tutte le forze, tralasciarono di seguitarli, e, declinando già il giorno, si ritirarono ad alloggiare ne' villaggi vicini. Il che come fu riconosciuto da' signori cattolici, per non s'esporre il giorno seguente al medesimo o a maggior pericolo, deliberarono che, restando il contestabile e il duca di Nemours con gli Svizzeri, il re e la regina dovessero avanzarsi verso Parigi. Il che fu eseguito più che di passo; nè senza molto spavento, e

grandissimo pericolo: perchè, se gl' inimici se ne avvedevano, potevano sorprenderli, avanzandosi su la strada con dugento soli cavalli. Commosse grandemente gli animi degli assistenti il veder la regina, con tutti i suoi figliuoli, attorniata di modo da' nemici, che in un punto solo si poteva perdere tutta la casa reale. E fu gran ventura che così duro caso non succedesse: come anco era stata gran fortuna che negli Svizzeri fosse stala tanta prontezza; perchè, senza essi, era impossibile di poter fuggire dalle mani degli Ugonotti.

Giunto il re a Parigi, fu ricevuto dal popolo con molta allegrezza, e sino con l'effusione delle lagrime per tenerezza. E il duca'd' Omala, che prima si trovava in quella città, andò con trecento cavalli, che si erano ammassati, ad incontrare gli Svizzeri; che non arrivarono se non dopo la mezza notte ne' borghi. Entrarono la seguente mattina nella città, con il medesimo ordine e con l' istessa bravura; ricevuti dal re, che personalmente gli aspettava, alla porta di San Martino e con grandissime laudi, e con donativo d'una paga, come sogliono avere i vincitori, furono rimandati ne' borghi, al quartiere apparecchiato per loro.

DAVILA, Istoria delle guerre civili di Francia, libro IV.

XVIII. Il duca di Guisa entra in Parigi, e comparisce innanzi alla regina madre e al re Enrico terzo.

Entrò il duca di Guisa in Parigi il lunedì, nono giorno di maggio, che era già vicino il mezzo giorno; non con maggior comitiva che di sette cavalli, tra gentiluomini e servitori. Ma come una piccola palla di neve che, scendendo dall' erto, si va tanto ingrossando, che nel fine diviene quasi una montagna eminente; così, abbandonando il popolo le case e le botteghe, con plauso e con allegrezza, per seguitarlo, non fu a mezzo la città, che aveva dietro più di trenta mila persone: ed era tanta la calca, che appena egli medesimo poteva seguitare la sua strada. Andavano le grida del popolo insino al cielo; nè mai fu con tanto applauso gridato, viva il re, con quanto ora si gridava, viva Guisa. Chi lo salutava, chi lo ringraziava, chi se gl' inchinava, chi gli baciava le falde de' vestimenti, chi, non potendo accostarsi, con le mani, e con i gesti di tutto il corpo dava segni profusi d'allegrezza; e furono veduti di quelli che, adorandolo come santo, lo toccavano con le corone e le medesime poi o baciavano, o con esse si toccavano gli occhi e la fronte: e sino le donne dalle finestre spargendo fiori e frondi, onoravano e benedicevano la sua venuta. Egli all' incontro, con viso popolare e con faccia ridente, altri accarezzava con le parole, altri risalutava con i gesti, altri rallegrava con l'occhio; e traversando le caterve del popolo con la testa scoverta, non pretermetteva cosa alcuna che fosse a proposito per finire di conciliarsi la benevolenza e l' applauso popolare.

In questa maniera, senza fermarsi alla sua casa, andò a dirittura a smontare a Sant' Eustachio, al palazzo della regina madre: la quale, mezza attonita per il suo venire improviso ( perchè monsignore di Bellievre, arrivato tre ore innanzi, aveva posto in dubbio la sua venuta), lo ricevè pallida in volto, tutta tremante, e, contra l'ordinario costume della natura sua, quasi smarrita. Le dimostrazioni del duca di Guisa furono pie

ne d'affettuosa umiltà e di profonda sommissione: le parole della regina, ambigue; dicendoli che lo vedeva volentieri, ma che molto più volentieri l' arebbe 2 veduto in altro tempo. Alla quale egli rispose, con sembiante modestissimo, ma con parole altiere: ch'egli era buon servitore del re; e che, avendo intese le calunnie date all' innocenza sua, e le cose che si trattavano contra la religione, e contra gli uomini da bene di quel popolo, era venuto o per divertire il male, ed espurgare sè stesso, o vero per lasciar la vita in servizio di santa Chiesa, e della salute universale. La regina, interrotto il ragionamento, mentre egli salutava, come è solito, le altre dame della corte, chiamò Luigi Davila, suo gentiluomo d'onore, e gli commise che facesse intendere al re ch' era arrivato il duca di Guisa, e ch' ella fra poco l'avrebbe condotto al Lovero personalmente.

Si commosse di maniera il re, ch' era nel suo gabinetto, con monsignore di Villaclera, con Bellievre e con l'abate del Bene, che fu astretto appoggiarsi col braccio, coprendosi la faccia, al tavolino: ed interrogato il Davila d'ogni particolare, gli comandò che dicesse segretamente alla regina che frammettesse più tempo che fosse possibile alla venuta. L'abate del Bene, ed il colonnello Alfonso Corso, il quale entrò in questo punto nel gabinetto (ed era confidentissimo servitore del re, e pieno di meriti verso la corona ), lo consigliavano che, ricevendo il duca di Guisa nel medesimo gabinetto, lo facesse uccidere subito nell' istesso luogo. Ma Villaclera, Bellievre, ed il gran cancelliere, che sopravvenne, furono di contrario parere allegando esser tanta la commozione del popolo, che, in caso tale, sprezzando la maestà regia, e rompendo tutti i vincoli delle leggi, sarebbe corso a precipitosa vendetta; e che, non essendo le cose ancora apparecchiate per la difesa propria e per frenare il furore della città, le forze de' Parigini erano troppo poderose per stuzzicarle. Mentre il re sta dubbioso nell' animo, sopraggiunse la regina, che conduceva il duca di Guisa, con tanto seguito e frequenza di gente, che tutta la città pareva ridotta nel giro del cortile del Lovero, e nelle strade vicine. Traversarono fra la spalliera de soldati, essendo presente monsignor di Griglione, maestro di campo della guardia; il quale, uomo lil ero e militare, e poco amico del duca di Guisa, mentre egli s' inchina ad ogni privato soldato, fece pochissimo sembiante di riverirlo. Il che da lui fù, con qualche pallidezza del volto, ben osservato: la quale continuò maggiormente poichè vide gli Svizzeri far spalliera con l' armi a' piedi della scala, e nella scala gli arcieri, e nelle camere i gentiluomini tutti radunati per aspettarlo.

Entrarono nella camera del re: il quale, mentre il duca di Guisa con profonda riverenza se gl' inchinò, con viso scorrucciato gli disse: lo vi aveva fatto intendere che non veniste. A queste parole il duca, con l'istessa sommissione che aveva fatto alla regina, ma con parole più rite-nute, rispose ch' egli era venuto a mettersi nelle braccia della giustizia di sua maestà, per iscolparsi delle calunnie che gli erano opposte da'suoi nemici e che nondimeno non sarebbe venuto, quando gli fosse stato detto chiaramente che sua maestà comandava che non venisse. Il re, rivolto a Bellievre, alteratamente lo dimandò s' era vero che gli avesse data commissione di dire al duca di Guisa che non venisse, se non voleva esser 'Cioè dicendogli. 2 Avrebbe.

tenuto per autore degli scandali e delle sollevazioni de' Parigini. Monsignore di Bellievre si fece innanzi, e volle render conto dell'ambasciata sua; ma nel principio del parlare il re l' interruppe, dicendoli che bastava: e, rivolto al duca di Guisa, disse che non sapeva ch' egli fosse stato calunniato da persona alcuna; ma che la sua innocenza sarebbe apparsa chiara, quando dalla sua venuta non fosse nata alcuna novità, ed interrotta la quiete del governo, come si prevedeva.

La regina, pratica della natura del re, conoscendolo dalla faccia inclinato a qualche gagliarda risoluzione, lo tirò da parte, e gli disse in sostanza quello aveva veduto della concorrenza del popolo; e che non pensasse a deliberazioni precipitose, perchè non era tempo. Il medesimo soggiunse la duchessa d'Uzes, che gli era vicina. Ed il duca di Guisa, osservando attentamente ogni minuzia, come vide quella fluttuazione per non dar tempo al re di deliberare, si finse stracco dal viaggio; e licenziandosi brevemente da lui, accompagnato dall' istessa frequenza di popolo, ma da niuno di quelli della corte, si ritirò nella strada di Santo Antonio alle sue case.

Molti dannarono il re che non avesse saputo risolversi di levarselo a questa occasione dinanzi: molti, conscii dell' animo e delle forze de' Parigini, e che nella corte medesima aveva molti aderenti, la stimarono prudente e misurata deliberazione. Il medesimo, ivi, libro IX.

XIX. Modi di procedere usati dal re Enrico IV di Francia

nel cominciamento del suo regno.

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Il re, accomodato l' animo e'l volto alla necessità del presente bisogno, avendo assunto il nome e l'insegna del re di Francia, nè potendo, per la strettezza in che si ritrovava, far nuove spese; si valeva delle suppellettili del re defonto: servendo il medesimo colore violato a portare il lutto del suo precessore, ch' egli per la morte della madre ancora adoperava. Conoscendo gli animi non ancora assuefatti all' ubbidienza sua e la propria debolezza essere da molti disprezzata; con la vivezza dello spirito, con la prontezza delle risposte, con la copia delle parole, con la domestichezza della conversazione, facendo più il compagno che il principe, ed aggiungendo promesse larghissime alla strettezza della condizione presente, procurava di soddisfare a tutti, e di conciliarsi la benevolenza di ciascheduno, mostrando ora con questo ora con quello separatamente, di riconoscere il reame e la riputazione dall' opera sua, e di essere apparecchiato con l'animo ad incontrare quelle occasioni, che si rappresentassero, di ricompensa. Agli Ugonotti mostrava di aprire e di confidare l'intimo de' suoi sentimenti, e di riconoscere in loro il fondamento delle speranze sue: a' Cattolici faceva grandissimo onore; e parlando-con molta venerazione del pontefice e della sede apostolica, onorando l'ordine ecclesiastico, e mostrandosi sempre inclinato alla religione romana, dava segno di presta ed indubitabile conversione. Ai plebei si mostrava compassionevole delle loro gravezze, e delle calamità della guerra; ed iscusava anco con i minori la necessità di nodrire e di alimentare i soldati, riversando la colpa ne' suoi nemici: a' nobili, con termini e parole di gran rispetto, dava la gloria di veri Francesi, di conservatori della

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