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ta, è il trasportare i concetti di un autore greco o latino con l' ordine e la forma che essi hanno nell'originale, ed esprimendoli o con la larghezza o con la brevità dello scrittor che si traduce, e dando loro o la forza e la robustezza o la grazia e la leggiadria onde quegli seppe da prima ornarli. E, se il tradurre a questo modo è difficilissima opera, e non da discen. te, ma da maestro, pure a questa perfezione bisogna a mano a mano condurre i giovani e co' consigli e con l'avvertenze, ed emendando i loro lavori,e lor dichiarando e sponendo i luoghi degli autori che essi debbon tradurre e tutti facendone lor vedere e considerare i pregi singolarissimi dell'invenzione, del disegno e dell'ordinamento, non che le venustà e le lucentezze dello stile. Egli è vero che lunga e faticosa è questa esercitazione; ma non si può nè dire nè agevolmente comprendere quanto torni profittevole ad imparar l'arte di scrivere: anzi la lunga esperienza di molti anni d' insegnamento non mi fa temer di affermare che altra migliore non ce ne ha, e che essa è la sola via che conduce a saper dare, scrivendo, a'concetti della nostra mente la forma l'eleganza che essi veramente richieggono. E, se i giovani avranno, per quanto la loro età il comporta, bene studiato, e non pedantescamente, il greco ed il latino, e con quello di queste due lingue avran congiunto lo studio ancora della toscana favella, ed assiduamente avran letto i migliori scrittori del trecento, e quelli altresì del decimosesto secolo; il lavoro del tradurre loro riuscirà assai più utile e molto meno difficile. Perocchè essi in questa guisa si aduseranno al chiaro, facile e ben regolato modo di ragionare e svolgere il lor pensiero alla maniera degli antichi; ed impareranno agevolmente ancora a bene adoperare i vocaboli ed i modi di dire della nostra lingua, che studiarono e vanno tuttavia studiando ne'classici. Conciossiachè, dovendo essi in tradurre non affaticarsi intorno alle cose nè all'ordine nè al fine dell'opera, ma solo a significare ed esprimere nella lor favella i concetti di un autore al modo che quegli nella sua gli espresse; la lor mente, poco abile ancora alla duplice operazione di trovare e di significare i pensieri, dovendo esprimer solo gli altrui, ha ad attendere ad una cosa sola, ed è soccorsa e guidata dall'esempio e dall'arte dello scrittore. Aggiungasi a questo, che la lingua latina e la gre ca, essendo l'una madre, come disse il Buommattei e l'altra avola dell'italiana, tutte e tre non differiscono gran fatto tra loro; anzi chi ben le considera scorge di leggieri che il nostro odierno idioma mantiene in sè gran parte delle qualità e de' pregi delle due lingue onde trasse l'origine. Perocchè, se la latina è mirabile per la forza, per la brevità, e per la sua dignità maestosa, la quale fa aperto che essa fu parlata da un popolo padrone del mondo; se la pieghevolezza, l'abbondanza, l'idoneità a significare i più minuti particolari delle cose, e la leggiadria e la grazia, sono i proprii pregi della greca; la nostra riunisce in sè le qualità e le doti dell' una e dell' altra. Dappoichè, per non entrare in più sottil disamina, chi non vede, per modo di esempio, o in frate Bartolommeo da San Concordio, o nel Passavanti, o nel Davanzati, la brevità e la forza di Tucidide, di Sallustio, e di Tacito ? Nelle divine Cantiche dell'Alighieri non sono innumerevoli e maravigliosi esempi di stil breve e reciso, di nobile e dignitoso, di aspro e fiero, di soave e di affettuoso? Non mostrò egli, spiegando sottilmente e chiaramente, ed in verso, tante filosofiche c

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leologiche dottrine, quanto la favella nostra si porga acconcia a trallar con minutezza e distinzione ogni più grave ed astrusa materia? L'attitudine della nostra lingua a significar le più sottili differenze e particolarità di ogni maniera di obbietti, tutte le più minute ed impercettibili loro parti, non men chiaramente che ne'versi di Dante, si ravvisa ancora nelle didascaliche prose del Giambullari, del Segni, dello Speroni, del Varchi, del Machiavelli, del Tasso, del Segneri, del Pallavicino, del Redi, del Bartoli, e spezialmente nell' utilissimo e dottissimo libro de'Capricci di Giusto Bottajo del Gelli. Nè la sua dignità ed il decoro meno risplende in altre opere pur di questi medesimi scrittori, e di altri ancora, come nelle prose del Bembo, del Casa, del Tasso,e nelle storie del Guicciardini, il quale, se non vince, agguaglia almeno sovente la splendidezza e la magniloquenza dello stesso Livio. E quanto alla grazia, là venustà e la leggiadria, niuno oserà dire che sia minore nella nostra lingua, che nella greca, se solo abbia letto le morbidissime prose del Firenzuola, la vaga versione di Longo Sofista del Caro, il Canzoniere del Petrarca, le rime del Poliziano, il Furioso dell'Ariosto, e l'Aminta del Tasso. Ma, tornando onde siamoci dipartiti, non temiamo di ripetere che, se necessario ed utile è lo studio de' classici scrittori toscani per imparar la lingua e l' arte del dettare, necessariissima ed utilissima a questo medesimo fine è l'esercitazion di traslatare dal greco e dal latino; chè sol da queste tre fonti si può attingere il mirabile magistero dello stile, che fa pregiate ed eterne le scritture.

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Ma, se lo studio de'classici scrittori, ed il traslatar di latino e di greco, sono utili e necessarii a chi vuole imparar l'arte dello scrivere, parimente, se non più, utile e necessaria è l'esercitazion del comporre. L'inventiva, non altrimenti che le altre facultà del nostro spirito, perchè si snodi e rinvigorisca, ha mestieri di essere esercitata, ma proporzionatamente e con modo. Se non si procede in questa parte con prudenza e giudizio,avviene degli uomini come delle piante: perocchè, come queste, se sono sforzate ancor tenere a fruttificare, danno non grati nè dolci frutti, e presto inaridiscono così, se si costringe i giovanetti ad inventare e comporre quando sono ancor deboli di mente e poveri di dottrina, o il loro ingegno si adusa a mal fare e si stravolge, o infiacchisce e si sfrutta. Laonde noi avvisiamo che l'esercitazion del comporre non debba esser così incessante ed assidua come l'altra del tradurre; e che i lavori che da'maestri sidanno da prima a fare a'giovani non possano essere di altra specie, che delle più semplici del genere narrativo, come sono i racconti di alcuni casi avvenuti che essi medesimi hanno visto o udito; delle narrazioni di fatti di pace o di guerra, tratti dalle storie di Grecia o di Roma, e che o essi ban letto, o che loro si porgeranno a leggere, e si dichiareranno dal maestro;"> qualche novella, ma di semplicissimo argomento, e senza intreccio o nodo, che richiegga molla arte per istringerlo e sciorre, e dove punto quasi non abbian luogo le passioni e gli affetti, i quali riescono sommamente difficili a trattare e ad esprimere ancora a quelli che sono già maturi di` età, e molto innanzi nella pratica dello scrivere. Le vite degli uomini chiari nelle lettere, nelle arti e nelle armi, ma condotte con la semplicità di Cornelio Nipote e del Vasari, sono pure una maniera di componimenti acconci ad esercitare i giovani, se il prudente e pratico maesti o saprà gui

darli ed ajutarli co'suoi consigli. Nè meno delle narrazioni, de' racconti, delle descrizioni, e delle vite, possono tornar profittevoli le lettere, solo che non si richiegga che sieno di subbietti troppo difficili a trattare e non proporzionati alla giovanile età, o eleganti e leggiadre quanto quelle del Casa o del Caro. Sicchè le lettere a parentie ad amici, con le quali si adempie quei debiti di civiltà che sono proprii delle gentili persone, possono essere una non disadatta nè poco utile esercitazione, e quelle anco ra dove si narra qualche lieto o tristo caso, o dove si descrive un paese, una contrada, un'amena e deliziosa villa, un bel giardino, un lago, un colle, o altro simile obbietto. Dappoichè, se le lettere, e spezialmente quelle che racchiudono di tal sorta narrazioni, sono un assai difficil lavoro, non pertanto sono pure molto accomodate a sciogliere ed allargar la vena de'giovani, a'quali conviene a quando a quando dar libero campo da poter tutte dispiegar le forze dell' ingegno e della lor fantasia. E questa specie di componimenti, oltre al conferire all'ammaestramento de'discepoli, è utile, d'altra parte, ancora a'maestri, i quali in questa guisa conoscer potranno di leggieri l'indole de' loro alunni, e vedere in chi di essi è abbondanza, in chi difetto d'immaginativa, ed o raffrenarli, o eccitare,correggendo i loro lavori, ed ordinando la lettura e lo studio degli autori per modo, che quelli trar ne possano, secondo che loro fa mestieri, o eccitamento e larghezza, o freno ed austerità.

Basilio PUOTI, L'arte di scrivere in prosa per esempii

e per teoriche. Prolegomeni.

32. Della imitazione nel fatto dello scrivere.

Per proceder con, ordine e chiarezza, sembrami esser mestieri esaminar da prima brevemente quante maniere d'imitazione ci sieno nel fatto dello scrivere, e di poi vedere se, scrivendo, convenga o no imitare. L'imitazione parmi esser di due sorte, di lingua cioè e di stile: chè de' classici scrittori si può imitare o le parole solamente e le frasi, o con esse la maniera ancora e la forma del dettare, che chiamasi stile. E, quanto ai modi di dire, ovvero quanto alla favella, non ci ha un dubbio al mondo che debba prendersi da'classici, e solo si potrebbe far quistione dagli scrittori di qual secolo debbasi prendere. Ma, quantunque non sien mancati di quelli, che, come dice il Salvini, «abbian tentato di spossessare quel vecchio secolo dell'onore della migliore e più scelta lingua,» pure io, tenendomi con questo valente uomo e con altri molti di non minor senno e giudizio, non temerò di affermare che dagli autori del trecento dobbiamo principalmente torre i vocaboli e le guise di favellare, e, dopo di questi, da quelli del cinquecento, e, da ultimo, da alcuni ancora del decimosettimo secolo. Dappoichè, oltre alle ragioni, che ho detto avanti, quando ho parlato degli scrittori di queste tre età della nostra letteratura, questa è pur la norma, che han tenuta i dotti compilatori del vocabolario dell' accademia della Crusca, non essendo chi ignori che quei dottissimi uomini nelle dichiarazioni delle voci dettero sempre il primo luogo e la maggiore autorità agli esempii de' padri della lingua nostra, ed allegarono quelli de' nuovi scrittori solo in difetto de' primi, e per meglio rifermar le cose. Ed a questa medesima norma sonosi conformati tutti i più eleganti detta

tori che nel passato secolo ed in questo nostro ancora fiorirono in Italia, e in ispezialtà il Gozzi, Niccolò Amenta, e, più vicino a noi, il Cesari, il Perticari, il Botta, Paolo Costa, il Colombo, quel maraviglioso ingegno del Leopardi, il Montrone che non ha guari avemmo la sventura di perdere, ed il Giordani ora gravemente infermo, di che tutti i buoni sono solleciti e si dolgono '. Ma i giovani in imitar la lingua de' classici autori convien che procedano molto dilingentemente, e tengano sempre dinanzi agli occhi l'esempio di que'nobilissimi ingegni testè nominati, i quali seppero con sommo giudizio e finissimo gusto andar scegliendo dalle opere in ispezialtà del trecento, e da quelle ancora degli altri secoli, i vocaboli, le frasi ed i modi di favellare non sol più vaghi e significativi, ma che ben potessero stare insieme per la forma ed il suono. Perocchè, se essi non pongono ben mente a questa scelta, e senza verun discernimento van raccogliendo voci squallide e fuori di uso, e scure e vecchie frasi, e guise di parlar troppo rozze e stantie, e co' più nuovi vocaboli le congiungono e co' modi di dire freschi e recenti; le loro scritture saranno simili a quel mostro di Orazio, o ad un lavoro di oreficeria, dove senza verun' arte si veggono mescolati l'oro, le perle, i diamanti, col piombo, col vetro, e le pomici. Venendo poi a parlare dell'altra maniera d'imitazione, di quella cioè dello stile, dirò pur liberamente quello che il lungo studio mi ha insegnato, e costantemente mi è stato rifermato dalla esperienza. Nel lavorarsi lo stile niuna cosa riesce più nocevole a' giovani del proporsi ad esempio un solo ed unico scrittore, e sia ancora il più puro ed eccellente. Dappoichè, se lo stile altro non è, se non la forma e la dipintura del nostro modo di sentire e di considerar le cose, sentendo ogni uomo e considerando le cose in una sua propria e particolar maniera, ne seguita che, volendo noi imitare l'altrui stile, dobbiamo sforzare e mutar quasi la nostra natura. E, scrivendo in questa guisa, che non è propria nostra e naturale, le scritture, che anderemo componendo, saranno prive di ogni calore di affetto, di naturalezza e di evidenza. Senzachè non ci ha chi ignori in quanto poco pregio sempre sieno stati i gretti imitatori, e come vengan chiamati mandra di vilissimi schiavi e miseri infilzatori di parole, che non sanno nè sentire col cuore, nè pensare con la loro ragione. Il perchè mai non cesserò di esortar la gioventù che debba imitare tutti gli eccellenti scrittori, e niuno di essi singolarmente, e neppur quelli di un solo de'tre mentovati secoli, ma i migliori di ciascuna età. E dalle opere del trecento è mestieri sforzarsi di ritrarre quella non artificiata grazia, e quella vaga semplicità, che tanto alletta, e rende sì caro quel beato secolo; da quelle del cinquecento l'eleganza, lo splendore, e il decoro; e da quelle del decimosettimo secolo la vivacità ed il brio. Ma, dappoichè, come in tutte le altre cose, così ancora nel fatto dello stile, le virtù sono prossime a' vizii, è uopo che i giovani, studiandosi d' imitar la semplicità de' padri della nostra favella, si guardino a tutt'uomo di cader nella viltà e nella bassezza: chè, se non si pone ben mente, non è difficile di torre l'una in iscambio dell'altra. Ancora, in isforzarsi di derivar da quelle del cinquecento nelle loro scritture la splendidezza ed il decoro, non essendo punto agevol cosa il non trasandare anche in questo i giusti termini ed esser tratti in errore, è parimente necessario che si brighino di tenersi lontani dal vano 'Il Puoti scriveva queste cose nel maggio del 1847.

ec. III. Filosofia speculativa. XX、HI. XXXIV. Filosofia pratica. X.
XXIII. XXXVIII. Řelazioni, ec. XXV. Paralleli. I. Filologia. XXXI.
Cavalca. Sec. XIV. - Vite de'santi Padri. Narrazioni. 3.

Cavalcanti, Sec. XVI. - Rettorica. Definizioni, ec. XXII.
Cellini. Sec. XVI.

Trattato dell' Orificeria. Descrizioni, ec. XII.
Cesari. Sec. XIX. - Le Grazie. Filologia, 27.-Lettere. 28.
Chiabrera. Sec. XVI. XVII. -Vita sua. Relazioni, ec. XIII.
Collenuccio. Sec. XV.

ni, ec. XVII.
Colletta. Sec. XIX.-

Colombo. Sec. XIX.

-

Compendio delle istorie del regno di Napoli. Relazio-

Storia del Reame di Napoli. Narrazioni. 12.
-Delle doti di una colta favella. Filologia. 18.

Compagni. Sec. XIII.- Cronaca Fiorentina. Narrazioni. 1.
Costanzo. V. Di Costanzo.

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Convito. Definizioni, ec. IV.

Davanzati. Sec. XVI.-Lezione delle monete. Definizioni, ec. VI. VII.-No-
tizia de' cambii. Definizioni, ec. VIII. — Orazione in morte del granduca di
Toscana Cosimo primo. Eloquenza. III. IV.

Davila. Sec. XVII. — Istoria delle guerre civili di Francia. Narrazioni. VII.
XVIII, XIX. Relazioni, ec. XXI. XXII.

Della Casa. Sec. XVI.

· Galateo. Definizioni, ec. II. Discorsi, ec. IV. Fi-
losofia prat. XX, XXI. - Lettere. Definizioni, ec. XVIII. Lettere. IX.
X. Frammento di un trattato delle tre lingue, greca, latina e toscana. Defi-
nizioni, ec. XXI.

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De'Medici Lorenzo, detto il Magnifico. Sec. XV. Lettere. Lettere. II.
De'Medici Lorenzo, detto Lorenzinò. Sec. XVI.-Apologia. Eloquenza. VI.
Di Costanzo, Sec. XVI.-Istoria del regno di Napoli. Narrazioni. XIV. XV,
Lettere. 1.

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Erizzo. Sec. XVI.-Discorso sopra le medaglie degli antichi. Filologia. XXXIV.
Firenzuola. Sec. XVI.- Novelle. Descrizioni, ec. VIII. ·
Discorsi degli a-
nimali. Apologhi. X. XI. XII. XIII.
Fornaciari. Sec. XIX. Della povertà in Lucca. Eloquenza. 16.
Galilei. Sec. XVI. Saggiatore. Apologhi. XIX. Filosofia. spec. II. XIII.
XVIII. Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e coper-
nicano. Filosofia spec. V. XIV. XIX. XXIV. XXIX. XXXI, XXXII.
Pensieri varii. Filosofia spec. XI. XII. Lettera a Gallanzone Gallanzoni in
risposta alle difficoltà promosse intorno all' inegualità della luna da Lodovico
delle Colombe. Filosofia spec. XXII. Istoria e dimostrazioni intorno alle
macchie solari e loro accidenti. Filosofia spec. XX. XXVII.- Lettera a mon-
signor Dini sopra l'uso del cannocchiale e de' pianeti medicei. Filosofia spec.
XXIII.

Gelli. Sec. XVI.-Circe Apologhi. XVIII. Filosofia spec. XXI.XXV.XXXVII.
XXXVIII. XLI. XLII. Filosofia pratica. XXIX.

Giambullari. Sec. XVI. Istoria dell' Europa. Narrazioni, I. V. X. XI.
XXII. Relazioni, ec. III.

Gioberti. Sec. XIX.-Del Bello. Filosofia speculativa. 15.-Del Buono. Filos.
pratica. 20. 21. Paralleli. 22. 23. 24. 25.

Giordani. Sec. XIX.-Prose. Eloquenza. 13. Filos, pratica.16. Filologia.30.
Girardi. Sec. XVI.- Lettere. Lettere. XV.

Gori. Sec. XVIII.

ralleli. IX.

Gozzi. Sec. XVIII.

Volgarizzamento del trattato del sublime di Longino. Pa-

Osservatore. Apologhi. VIII. IX. Allegorie, ec. V. VI.
Discorsi ec. X. XI. Filosofia pratica. Ỉ, XXX, Relazioni, ec, XXV. XXVII.

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