piaceri del mondo non sono altro che dolori vestiti e ricoperti di un poco di diletto: dal quale ingannati gli uomini, si mettono a cercargli; e nella fine vi trovan dipoi più dolore che diletto. GELLI, Circe, dialogo III. XIX. La generazione dei suoni. Parmi d'aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri men ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne; e che, all' incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità. : Nacque già in un luogo assai solitario un uomo dotato dalla natura di un ingegno perspicacissimo e d' una curiosità straordinaria e per suo trastullo allevandosi diversi uccelli, gustava molto del lor canto; e con grandissima maraviglia andava osservando con che bell'artifizio colla stess' aria colla quale respiravano, ad arbitrio loro formavano canti diversi, e tutti soavissimi. Accadde che una notte, vicino a casa sua sentì un delicato suono; nè potendo immaginar che fusse altro che qualche uccelletto, si mosse per prenderlo. E venuto nella strada, trovò un pastorello, che soffiando in certo forato, e, movendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fori che vi erano, ne traeva quelle diverse voci, simili a quelle d'un uccello, ma con maniera diversissima. Stupefatto, e mosso dalla sua natural curiosità, donò al pastore un vitello per aver quello zufolo: e ritiratosi in sè stesso, e conoscendo che se non si abbatteva a passar colui, egli non avrebbe mai imparato che ci erano in natura due modi da formar voci e canti soavi, volle allontanarsi da casa, stimando di potere incontrare qualche altra avventura. Ed occorse, il giorno seguente, che passando presso a un piccolo tugurio, sentì risonarvi dentro una simil voce: e per certificarsi se era un zufolo o pure un merlo, entrò dentro; e trovò un fanciullo, che andava, con un archetto ch'ei teneva nella man destra, segando alcuni nervi tesi sopra certo legno concavo, e con la sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopra movendo le dita, e, senz'altro fiato, ne traeva voci diverse, e molto soavi. Or qual fusse il suo stupore, giudichilo chi partecipa dell'ingegno e della curiosità che aveva colui. Il qual vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed il canto, tanto inopinati, cominciò a creder ch' altri ancora ve ne potessero essere in natura. Ma qual fu la sua maraviglia quando, entrando in certo tempio, si mise a guardar dietro alla porta per veder chi aveva sonato, e s'accorse che 'l suono era uscito dagli arpioni e dalle bandelle nell'aprir la porta! Un'altra volta, spinto dalla curiosità, entrò in un' osteria; e credendo d' aver a vedere uno che coll'archetto toccasse leggermente le corde di un violino, vide uno che fregando il polpastrello d' un dito sopra l'orlo di un bicchiero, ne cavava soavissimo suono. Ma quando poi gli venne osservato che le vespe, le zanzare e i mosconi, non, come i suoi primi uccelli, col respirare formavano voci interrotte, ma col velocissimo batter dell'ali rendevano un suono perpetuo; quanto crebbe in esso lo stupore, tanto si scemò l'opinione ch' egli aveva circa il sapere come si generi suono. Nè tutte P'esperienze già vedute sarebbono state bastanti a fargli comprendere o credere che i grilli, giacchè non volavano, potessero, non col fiato, ma collo scuoter l'ali, cacciar sibili così dolci e sonori. Ma quando ei si credeva non poter esser quasi possibile che vi fussero altre maniere di formar voci, dopo l'avere, oltre a'modi narrati, osservato ancora tanti organi, trombe, pifferi, strumenti da corde di tante e tante sorte, e sino a quella linguetta di ferro che, sospesa fra i denti, si serve, con modo strano, della cavità della bocca per corpo della risonanza, e del fiato per veicolo del suono; quando, dico, ei credeva di aver veduto il tutto, trovos si più che mai rinvolto nell' ignoranza e nello stupore, nel capitarli' in mano una cicala, e che nè per serrarle la bocca, nè per fermarle l'ali, poteva nè pur diminuire il suo altissimo stridore; nè le vedeva muovere squame, nè altra parte; e che finalmente alzandole il casso del petto, e vedendovi sotto alcune cartilagini dure ma sottili, e credendo che lo strepito derivasse dallo scuoter di quelle, si ridusse a romperle, per farla chetare, e tutto fu invano; sinchè, spingendo l' ago più a dentro, non le tolse, trafiggendola, colla voce la vita; sicchè nè anco potè accertarsi se il canto derivava da quelle. Onde si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere, che domandato come si generavano i suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo, potervene essere cento altri, incogniti ed inopinabili. Io potrei con molti altri esempii spiegar la ricchezza della natura nel produr suoi effetti con maniere inescogitabili da noi, quando il senso e l'esperienza non lo ci mostrasse. La quale anco talvolta non basta a supplire alla nostra incapacità. Onde, se io non saprò precisamente determinar la maniera della produzion della cometa, non vi dovrà esser negata la scusa; e tanto più, quant'io non mi son mai arrogato di poter ciò fare, conoscendo potere essere che ella si faccia in alcun modo lontano da ogui nostra immaginazione. E la difficoltà dell'intendere come si formi il canto della cicala, mentr'ella ci canta in mano,scusa di soverchio il non sapere come in tanta lontananza si generi la cometa. XX. Apologhi varii brevi. GALILEI, Saggiatore. Il giglio pavonazzo diceva al bianco. Perchè sei tu così superbo, sendo nato di fetidissima radice? A cui il bianco: Se la mia radice è fetida ed io sono odorifero. Ma che vai tu tacciando gli altri, se, nato da radicë soave, sei d'ingrato odore, e di color oscuro? Una pietra condotta dalla pietraja alla bottega d'uno scultore, domandata dall' altre, ove se n' andasse, men vo, disse, a diventar imagine. Risposero le pietre: Ricordati di soffrire; chè, prima che tu ci arrivi, toccherai di molte picchiate. Uno specchio si vantava di far ritratti più al naturale di qual si voglia pittore. La cui arroganza non essendo sofferta, udì: Sì; ma le tue imagini spariscono con lo sparir dell' obbietto. La vite, potata da un villano, piangeva, dicendo: E dove è la giustizia? Questo è 'l merito del vino che ti diedi? A cui il villano: Tu non sai dunque che appresso de'cattivi giudici, dove è l'utile, la giustizia muore? Cioè capitargli. Gli Acrocerauni domandarono a Giove che gli facesse eminenti. Facciasi, diss' egli,; ma non vi lamentate se spesso sarete percossi dalle mie saette. Un poeta cantando le lodi d' un eroe già gran tempo morto, fu addimandato perchè più tosto non cantasse di qualche vivo. Rispose: Per non aver a dolermi dell' ingratitudine. Un picchio, sdegnandosi di far più il nido ne' tronchi degli alberi, si abbattè in una colonna di porfido; e postosi a percuoterla col becco, dopo molto affaticarsi indarno, per consolarsi del tempo e della fatica gittata, disse: Non m' accorgeva che la stanza sarebbe troppo fredda. La scopa si gloriava d'esser quella che tenesse puliti i palazzi e le strade. Onde un non so chi, non soffrendo la sua arroganzia, le disse: Ma per nettar altri, brutti te medesima. La castagna domandava il fico perchè, sendo maturo, portasse le vesti stracciate. A cui il fico: Perchè per esser buono di dentro, poco mi curo del di fuori. Dal quale se pendesse la bontà di dentro, non se ne sarebbono tante della tua razza, putrefatte e guaste. Uno desiderava saper dal compasso perchè, facendo il circolo, stesse con un piè saldo, e con l' altro si movesse. A cui il compasso : Perchè egli è impossibile che tu facci cosa perfetta, ove la costanza non accompagni la fatica. Il fuoco riprendea la terra di pigrizia. A cui diceva la terra: Taci; chè, se tutti gli elementi fossero del tuo umore, già sarebbe distrutto l'uni verso. Sendo già per uscir l'autunno, la rapa si sforzava di persuadere alla squilla che per scaricarsi ti tante toniche, le ne prestasse qualcuna. A cui disse la squilla: Se ti movesse l'util mio, tu me l'aresti detto di uglio. Un artefice, fabbricando una statua di stucco, la riempiva di stracci, di stoppa e d'altre materie vili; ed avendola fornita con materia più ncbile, la indorò. Addimandato perchè ciò facesse, rispose: Per soddisfar al mondo, che non mira oltra la veste. Una carrucola da pozzo, nel girare strideva. E perchè stridi tu? le disse il secchio. A cui la carrucola: E perchè non debbo io piangere, se corteggiando e servendo eternamente questo ingrato pozzo, non si degnò mai, di tante acque ch'egli ha, di darmene pur una gocciola per bagnarmi la lingua? Un ramo d'un fiume, entrato in un campo vicino,cominciò a compiacers del riposo. A cui disse un non so chi: Ma tu ti immarcirai. Addimandavano l'api alle mosche perchè si compiacessero di cose così impure, ed abborrissero i fiori, e le cose odorifere. Perchè, dissero, a noi pute quello che odora a voi. Un uomo di volto storto, specchiandosi, riprese lo specchio di falsità: il che facendo più volte con più specchi, sempre incolpò loro e non sè. Al fine abbattutosi in uno specchio storto, che gli dirizzò la stortezza della faccia, tutto lieto, disse: pur ne trovai uno al fine, che mi scoperse il vero. BALDI, Cento Apologi. COMPARAZIONI E SIMILITUDINI I. Delle comparazioni, similitudini e allegorie. Poche, secondo il giustissimo suo criterio, sono le comparazioni che meritino che un uomo di fino giudizio se le tenga a mente. Quale è cavata di troppo vicino, quale di troppo basso luogo; qual manca di giustezza, qual di novità. Eccogliene alcune che mi sovvengono. Io gliele accenno, poichè ella così desidera; ed ella poi darà loro la prova nel crogiuolo della sua critica. La Motte paragona il cuore umano con la secchia delle Danaidi: e Rousseau il poeta, la fama di un uomo con la sua ombra, che ora lo seguita, ora lo precede; ora è più lunga di lui, ora è più corta. Le idee metafisiche, dice Fontenelle, sono, per la maggior parte degli uomini, come la fiamma dello spirito di vino, che è troppo sottile per ardere il legno. Vivissima è questa sua espressione, che i testacei e i pesci impietriti sono le medaglie del diluvio. E lo Sprat, che fu il Fontenelle dell' Accademia inglese, dice che la poca scienza degli Arabi in mezzo a tanta loro ignoranza, tiene del loro medesimo paese, dove s'incontrano poche fontane, e qualche boschetto di palme, in mezzo a tratti vastissimi di sabbia. Non è egli il Voltaire il quale dice che gli uomini dotti sogliono scriver male le lettere famigliari come i ballerini fan male la riverenza? Quintiliano paragona coloro i quali, nello scrivere, scrupoleggiano sopra ogni voce, sul dubbio di peccare contro alla gramatica; alli funambuli, che avanzano lenti lenti, timorosi sempre di metter piede in fallo, e dare in terra. La solitudine è la dieta dell'anima, disse sensalamente non so chi. E Fabio Verrucoio, al riferire di Seneca (se ben mi ricorda), chiamava pane inferigno que'benefizii i quali stentatamente e di mala grazia vengon fatti. I Pari ecclesiastici d'Inghilterra, che, come creature della corte, non si oppongon mai alla volontà del re, il famoso Locke li chiamava il caput mortuum della Camera alta. Notissima è la comparazione, che fa il Gravina, del sonetto al letto di Procuste; e il cavalier Temple, dell' ot timo governo, in cui tutti gli ordini dello stato hanno parte, col re alla testa, alla figura della piramide, la più ferma di tutte, che con una gran base posa in terra, e termina in punta Dagli autori profani, dice ingegnosamente un santo Padre (se non erro), egli ti basti prendere la eloquenza del parlare e gli ornamenti della lingua, come spoglie da'nemici. I libri nel tempo, mi scrisse un tratto in bei versi il mio Milord Hervey (ch'ella avrebbe pur amato, ed egli lei), sono come i telescopii nello spazło: così gli uni come gli altri ne avvicinano gli oggetti lontani. Per ben condurre gli affari di stato, dice un Inglese, ci vuol piuttosto un grosso buon senso, che grande raffinatezza d'ingegno. Una stecca di avorio taglia la carta a diritto; il filo del rasojo la taglierebbe di sghembo. L'ingegno e 'l giudizio, dice Pope, sono sempre in lite tra loro, come marito e la moglie, benchè fatti per tenersi compagnia ed ajutarsi l'un altro. Graziosissima è la comparazione con che il faceto Buttler, nel suo inimitabile Hudibras, spiega per che cagione al suono del tamburo s'infiamma il coraggio de'soldati. Al suono del tamburo, dice egli, si aguzza il valore, come al rumor del tuono inacetisce la birra. Dal Boerhaave venina rassomigliata la satira alle scintille d'un gran fuoco, che levano incendio se vi soffi su, muojono di per sè se le lasci stare. Assai conveniente è quella comparazione di cui servivasi il buon re Jacopo primo per esortare i gentiluomini inglesi a lasciare la città, o starsene alla campagna, dove gli facevano meno ombra. Udite, siguori miei, diceva egli loro: a Londra, voi siete come una nave in mare, che pare un niente; nelle vostre ville, come una nave entrata in un fiume, dove ha sembianza di qualche gran cosa. Gli epiteti de'poeti mediocri sono riempitivi, dice un critico francese, come i guardinfanti delle donne, che tengono tutto un canapè. L'affettazione nel linguaggio, la soverchia ricercatezza dell' espressione, disse un altro, è un confessare la sterilità del pensare, è una specie di falsa moneta, a cui non si ha ricorso che nella somma indigenza. Poche comparazioni si trovano nel Segretario fiorentino; ma quelle poche sono significantissime. Così come coloro che disegnano i paesi, si pongono bassi nel piano a considerare la natura de'monti e de'luoghi alti, e per considerare quella dei bassi si pongono alti sopra i monti, similmente a conoscer bene la natura de'popoli bisogna esser principe, e a conoscer bene quella dei principi conviene esser popolare. Le buone forme del combattere, dice egli in un altro luogo, si possono imprimere negli uomini semplici e rozzi, non in quelli che sono già avvezzi ne' cattivi ordini: come uno scultore non caverà mai una bella statua da un pezzo di marmo male abbozzato, ma sì bene da un rozzo. Molto ingegnosa è la similitudine del cavalier Bernini per cui egli era solito dire, tanto più di pregio recare all'opera la umiltà dell'artista, quanto, più aggiugne di valore al numero la nullità del zero. E d'un istesso colore è quella sua allegoria per cui, parlando di quanto eragli avvenuto alla corte di Francia quando vi fu chiamato da Luigi decimoquarto, diceva, come egli era ben naturale che coloro i quali erano stati favoriti dai re, oltre all'oro dei regali e l'incenso delle lodi, avessero anche la mirra della maldicenza. I filosofi sogliono di comparazioni essere scarsi. Chi passeggia può cogliere de'fiori tra via, non così chi fa cammino. In tutte le opere del Neutono non ci è forse che una comparazione sula. Come nell' algebra, dice egli, dove finiscono le quantità positive, ivi cominciano le negative; così |